A parte alcune disavventure personali che non è il caso di menzionare qui, il 2010 di Mondi Immaginari si è segnalato per una novità, se così la possiamo chiamare.
Non ho assegnato il "Premio Immaginario" per il miglior esordiente italiano, e penso che non lo farò nemmeno negli anni seguenti. Per fare una valutazione avrei dovuto leggerne diversi, e non l'ho fatto. Perché?
Perché, al di là di qualche sorpresa positiva, il livello generale degli esordienti è piuttosto basso (mi espongo ovviamente alla medesima critica, se riuscissi a farmi finalmente pubblicare...) e non ci sono forti particolarità che spingano a seguire uno scrittore italiano piuttosto che uno straniero. Non che debba esistere per forza una "scuola italiana" del fantasy, ovviamente, anzi forse è meglio che non esista. Ma stabilito questo non c'è allora alcun motivo (salvo qualche saltuario brivido di entusiasmo patriottico) per leggere un italiano piuttosto che un anglosassone o uno scrittore di altra nazionalità.
O meglio un motivo di scelta c'è, quello della qualità: e in tal caso è più sicuro preferire autori già noti agli esordienti, salvo quelli che abbiano veramente "fatto il botto," e anche lì bisogna stare molto attenti. E se proprio si vuol leggere un esordiente, meglio correre il rischio con un anglosassone piuttosto che con un italiano. Come mai? I motivi sono parecchi, le colpe (se così vogliamo chiamarle) probabilmente se le devono spartire gli autori con le case editrici e anche (non ultimi) con i lettori.
Una mancanza a cui sto cercando di rimediare è lo scarso uso (pigrizia!) del sito associato al blog, la Vetrina di Mondi Immaginari. Oltre al fantastico talvolta vorrei parlare di storia, qualche volta di politica (ma poi mi viene la nausea). Spero di proporre qualcosa per l'anno prossimo...
Una cosa che finalmente ho fatto, è aggiornare i link (di lato sulla destra) che permettono di andare agli elenchi di recensioni divise per libri italiani, libri stranieri, giochi ecc...).
Meglio tardi che mai.
Buon 2011 a tutti.
giovedì 30 dicembre 2010
domenica 26 dicembre 2010
I Racconti di Sanctuary, e gli Ebook
Novità nella "Vetrina di Mondi Immaginari" (ovvero il sito collegato al blog).
I Racconti Perduti di Sanctuary, che avevo ospitato per un annetto, hanno avuto permanenza più lunga (avrei douto toglierli quest'estate) ma adesso sono definitivamente rimossi. Non è stata una cattiva iniziativa: è arrivata qualche decina di lettori per i volonterosi non-selezionati (tra questi, il sottoscritto) dell'antologia Asengard. Da ringraziare anche Fantasy Magazine che ha dato pubblicità alla mia iniziativa.
Un nuovo articolo raccoglie due delle mie elucubrazioni riguardo al futuro dell'editoria nell'era del libro digitale. Se avete già letto i miei post, di nuovo c'è solo un pugno di righe iniziali dove faccio un paio di conti su quello che sta succedendo e su come si collochino rispetto alla realtà le mie passate ipotesi. Visto che il DRM più o meno la sta facendo da padrone non c'è da essere troppo ottimisti, per il momento.
Se non avevate letto i miei articoli (un annetto e rotti fa) c'è abbondante pane per i vostri denti. Se c'è qualche commento, per favore postatelo qui.
Pubblico volentieri articoli in materia, sempre che qualcuno abbia voglia di scriverne e propormeli.
I Racconti Perduti di Sanctuary, che avevo ospitato per un annetto, hanno avuto permanenza più lunga (avrei douto toglierli quest'estate) ma adesso sono definitivamente rimossi. Non è stata una cattiva iniziativa: è arrivata qualche decina di lettori per i volonterosi non-selezionati (tra questi, il sottoscritto) dell'antologia Asengard. Da ringraziare anche Fantasy Magazine che ha dato pubblicità alla mia iniziativa.
Un nuovo articolo raccoglie due delle mie elucubrazioni riguardo al futuro dell'editoria nell'era del libro digitale. Se avete già letto i miei post, di nuovo c'è solo un pugno di righe iniziali dove faccio un paio di conti su quello che sta succedendo e su come si collochino rispetto alla realtà le mie passate ipotesi. Visto che il DRM più o meno la sta facendo da padrone non c'è da essere troppo ottimisti, per il momento.
Se non avevate letto i miei articoli (un annetto e rotti fa) c'è abbondante pane per i vostri denti. Se c'è qualche commento, per favore postatelo qui.
Pubblico volentieri articoli in materia, sempre che qualcuno abbia voglia di scriverne e propormeli.
giovedì 23 dicembre 2010
Fatti di Sangue
Fatti di Sangue è una raccolta di tre racconti di Angelo Cavallaro (ovvero sommobuta, blogger in quel di Napoli o dintorni) distribuita gratuitamente formato ebook e reperibile a questo indirizzo:
http://www.lulu.com/product/ebook/fatti-di-sangue/11716272
Dei tre il migliore è il primo: Game Over, che rappresenta bene il rimbecillimento da videogame nella furia omicida del videogiocatore frustrato per essersi visto sottrarre lo scettro di più bravo del reame da un misterioso nuovo arrivato. Divertente la comparsa dell'autore (potremmo chiamarlo un cameo?) col nickname di blogger nelle schermate del gioco, dove viene massacrato. Anche la forma e i dialoghi sono resi più che adeguatamente.
Il Presepe è un po' più debole, anche formalmente, l'idea di fondo su cui si basa mi è parsa un po' gratuita e il finale piuttosto scontato.
Il Vampiro mi è piaciuto perché appare un po' come presa in giro della mania del momento, con questi vampiri così affascinanti che i loro svantaggi passano decisamente in secondo piano. Il protagonista lo capisce e vuole essere vampirizzato. Qualcosa di non molto diverso avevo scritto io nel mio commento a Twilight.
Nel complesso la raccolta è una lettura piacevole, rapida e per giunta gratuita, perciò posso sentirmi di consigliarvela.
http://www.lulu.com/product/ebook/fatti-di-sangue/11716272
Dei tre il migliore è il primo: Game Over, che rappresenta bene il rimbecillimento da videogame nella furia omicida del videogiocatore frustrato per essersi visto sottrarre lo scettro di più bravo del reame da un misterioso nuovo arrivato. Divertente la comparsa dell'autore (potremmo chiamarlo un cameo?) col nickname di blogger nelle schermate del gioco, dove viene massacrato. Anche la forma e i dialoghi sono resi più che adeguatamente.
Il Presepe è un po' più debole, anche formalmente, l'idea di fondo su cui si basa mi è parsa un po' gratuita e il finale piuttosto scontato.
Il Vampiro mi è piaciuto perché appare un po' come presa in giro della mania del momento, con questi vampiri così affascinanti che i loro svantaggi passano decisamente in secondo piano. Il protagonista lo capisce e vuole essere vampirizzato. Qualcosa di non molto diverso avevo scritto io nel mio commento a Twilight.
Nel complesso la raccolta è una lettura piacevole, rapida e per giunta gratuita, perciò posso sentirmi di consigliarvela.
sabato 18 dicembre 2010
Le distopie di 35 anni fa
Rollerball è un film di fantascienza che mi rimase molto impresso per un semplice motivo: lo vidi da ragazzino e il livello di violenza era molto insolito per l'epoca. Parlo ovviamente del primo, quello del 1975, e non del remake osceno fatto oltre 20 anni dopo.
Il film si avvale della regia di Norman Jewison (quello del primo Jesus Christ Superstar, e pure qui bisogna distinguere, perché anche di quel film è stato fatto un goffo remake), e di una buona performance di James Caan, nei suoi anni migliori. Ottimo uso di musica classica per la colonna sonora. Pessimo uso di un dialogo iniziale (dopo la prima partita) dove vediamo Caan parlare con un dirigente che sarà il suo antagonista principale: uno degli infodump più pesanti e palesi della storia del cinema, pessimo modo di iniziare un film. Forse era meglio mettere delle scritte in sovraimpressione all'inizio, come si fa tanto spesso (senza che nessuno si scandalizzi).
In un mondo dove non ci sono più i poveri ma governa un potere anonimo che crea una inconsapevole insoddisfazione nella gente (che assume psicofarmaci in continuazione), Caan interpreta Jonathan, stella di uno sport violentissimo diventata "troppo" importante in un mondo dove, bandite le guerre, la violenza è confinata in passatempi cretini. Peccato che il passatempo cretino per eccellenza, il Rollerball che consumava i suoi campioni velocemente, ora ha creato un personaggio che per la gente è un eroe. Non un eroe scomodo, all'inizio. A Jonathan hanno portato via la moglie perché il dirigente di una Corporazione se n'era invaghito, senza che lui protestasse (le Corporazioni governano tutto, non ci sono più gli stati, ed è stata fatta un'operazione di riscrittura del passato in stile orwelliano), e all'inizio sembra solo insoddisfatto e confuso, ma non ribelle di fronte all'intimazione di lasciare il Rollerball. (Da qui in poi: SPOILER). Caan è molto bravo a interpretare questo stato d'animo di Jonathan che comincia a "prendere coscienza" e a cercare di indagare il mondo attorno a sé: egli non ha, visto il mondo da cui proviene, gli strumenti culturali per sviluppare più di tanto questa consapevolezza (per dirla in maniera raffinata), e del resto non trova nessuno che lo aiuti (sembrano tutti ignoranti e superficiali, un po' come in Fahrenheit 451). Tuttavia saprà andare dritto al sodo, vincendo l'ultima partita che è stata trasformata in un gioco al massacro manipolando le regole allo scopo di sconfiggerlo.
Così, mentre Jonathan sembrava un personaggio accomodante e facilmente manipolabile, che accettava le amanti inviategli dalla corporazione limitandosi a rivedere le immagini filmate della moglie che gli è stata tolta, e sfogava tutto nel gioco, ora diventa cocciuto, cerca ostinatamente la verità e si oppone alla volontà dei padroni del mondo.
Fermo restando che per il contenuto di violenza questo film dovrebbe essere vietato ai minori, io l'ho trovato bello; allo stesso tempo molto valido per alcuni aspetti, e molto curioso per come sia, da altri punti di vista, così datato e ingenuo. Innanzitutto c'è la ricerca della verità storica da parte di Jonathan, e la scoperta che il passato oltre che manipolato a piacere è praticamente ormai dimenticato, depositato nelle memorie di un'intelligenza artificiale che lo nasconde; il tema del libero arbitrio, dell'impossibilità di essere felici anche quando, superficialmente, si vive in una società che soddisfa tutti i bisogni; la rivincita dell'individualità incarnata dal campione di Rollerball è allo stesso tempo sinistra, dal momento che si tratta di un eroe che uccide in uno sport sanguinario. Le stesse riflessioni di Jonathan mentre osserva un compagno di squadra ridotto a un vegetale in coma sono esplicite, quando sospetta che quella sia l'unica felicità possibile, vivere come una pianta senza pensieri. Non sempre queste tematiche sono portate avanti in maniera avvincente o convincente, a volte sono troppo semplificate, ma il film non è affatto superficiale, pur con questo curioso miscelare ragionamenti e scene di azione brutali.
Rollerball peraltro offre tanti paradossi, visto adesso. In parte era una contestazione al welfare state "dalla culla alla tomba" che poteva esser visto, ai tempi, come un probabile futuro dell'umanità. Comodo ma spersonalizzante, soffocante.
Oggi che stiamo finendo nella palta così velocemente dal punto di vista economico, un mondo di super aziende che ti assicurano un decente benessere (purché non rompi troppo le scatole e le lasci comandare) potrebbe sembrare quasi un paradiso. Guarda un po' che preoccupazioni si facevano, trentacinque anni fa.
Buffa anche l'importanza che vien data allo spettacolo televisivo "tutto per Jonathan" come se uno show dovesse avere chissà quale influenza, e curioso il fatto che un personaggio tutto sommato accomodante venga visto come un pericolo. Oggi vediamo il mondo "corporate" fare i salti mortali per aggiudicarsi un personaggio celebre come testimonial. Ammettiamo che in un mondo in cui l'individualismo è stato volutamente smorzato ci si comporterebbe in modo diverso, ammettiamo anche che le Corporazioni del film (che hanno in passato avuto delle guerre fra loro) debbano stare attente a rispettare una delicata etichetta nei loro rapporti. E Jonathan è simbolo di una sola di esse, (la Corporazione dell'Energia con sede a Huston, stesso posto da cui prende il nome la squadra) quindi creerebbe un problema di equilibri con le altre. Ma comunque resta la sensazione che sarebbe più conveniente aspettare che diventi vecchio e debba ritirarsi comunque, piuttosto che volerlo eliminare a tutti i costi.
Quanto meno, il film fallisce nel creare l'idea di un mondo dove l'individualismo sia stato messo ai margini. Anzi viene messa in evidenza l'ammirazione per i giocatori di Rollerball. Sono visti come dei superuomini, l'importante è che non stiano in circolazione troppo a lungo da diventare una specie di supereroi.
Esiste una sola donna dirigente nel gruppo dei capi di alto livello (si vede in una teleconferenza), per il resto le donne sono lavoratrici (alcune infermiere che si vedono nel film, una massaggiatrice...) oppure bellissime donne con sorrisi stereotipati (mogli, amanti...) che danno un'idea di donne oggetto di lusso. Non poi molto diverso dalla realtà di oggi, forse.
La scena in cui i festaioli (donne in prima fila!) bruciano gli alberi per divertimento poteva esser fatta meglio, resta importante per creare il tono di una società alienata. Anche la scena dello scienziato che dovrebbe svelare la realtà storica a Jonathan e va in crisi di nervi di fronte al computer che nega le notizie è un momento che va dritto allo scopo, sebbene la scena sia ridicola con gli occhi di oggi. Un altro paio di tocchi di questo genere, magari più azzeccati, e avremmo avuto un ritratto della società meglio comprensibile, il che avrebbe conferito maggior realtà e spessore al film.
Al coperto della loro soffice dittatura, i dirigenti della corporazione fanno i loro porci comodi: lo si vede da come hanno spezzato il matrimonio di Jonathan che pure è un privilegiato (tener presente comunque che la ex moglie ha una differente spiegazione). Ma i loro comodi li fanno dopo aver provveduto ai bisogni essenziali di tutti. Non sembrano neanche un po' i pazzi criminali di oggi, che si giocano in borsa, con i derivati, il diritto a una scodella di riso per milioni di persone. Sono antipatici, non si riesce però a odiarli davvero.
Curioso anche il fatto che, nonostante in qualche scena la Corporazione tolga i guanti bianchi e digrigni i denti nei confronti di Jonathan, dimostrando che in fin dei conti il potere non perde mai la propria brutalità, nella riunione (telematica) fra grandi dirigenti si preferisca togliere le regole alla finale del campionato, e sperare che il campione ci rimanga secco, piuttosto che sporcarsi le mani con un omicidio politico.
Da questo punto di vista il film visto oggi è indebolito in uno degli aspetti principali di allora, la "lotta contro il sistema," ma questo offre ancor più grande risalto a un'altra riflessione: al fatto che l'uomo resta sempre una bestia che ha bisogno di affrontare problemi, di combattere, di distruggere o autodistruggersi, e la sua violenza difficilmente può essere esorcizzata (un simile discorso lo faceva anche l'Agente Smith in Matrix, ricordate? Quando diceva che era stato sperimentato un mondo paradisiaco per la Matrice, ma agli uomini che dovevano esserne prigionieri non piaceva). Jonathan il ribelle che "riafferma l'uomo" in un mondo che cercava di vivere una vita forse noiosa ma libera della violenza che lo ha devastato nel passato, potrebbe essere la causa di nuove stragi e nuove sofferenze.
Curioso come oggi Rollerball sia un film ancora interessante, ma un altro film rispetto al giorno in cui uscì nei cinema.
Il film si avvale della regia di Norman Jewison (quello del primo Jesus Christ Superstar, e pure qui bisogna distinguere, perché anche di quel film è stato fatto un goffo remake), e di una buona performance di James Caan, nei suoi anni migliori. Ottimo uso di musica classica per la colonna sonora. Pessimo uso di un dialogo iniziale (dopo la prima partita) dove vediamo Caan parlare con un dirigente che sarà il suo antagonista principale: uno degli infodump più pesanti e palesi della storia del cinema, pessimo modo di iniziare un film. Forse era meglio mettere delle scritte in sovraimpressione all'inizio, come si fa tanto spesso (senza che nessuno si scandalizzi).
In un mondo dove non ci sono più i poveri ma governa un potere anonimo che crea una inconsapevole insoddisfazione nella gente (che assume psicofarmaci in continuazione), Caan interpreta Jonathan, stella di uno sport violentissimo diventata "troppo" importante in un mondo dove, bandite le guerre, la violenza è confinata in passatempi cretini. Peccato che il passatempo cretino per eccellenza, il Rollerball che consumava i suoi campioni velocemente, ora ha creato un personaggio che per la gente è un eroe. Non un eroe scomodo, all'inizio. A Jonathan hanno portato via la moglie perché il dirigente di una Corporazione se n'era invaghito, senza che lui protestasse (le Corporazioni governano tutto, non ci sono più gli stati, ed è stata fatta un'operazione di riscrittura del passato in stile orwelliano), e all'inizio sembra solo insoddisfatto e confuso, ma non ribelle di fronte all'intimazione di lasciare il Rollerball. (Da qui in poi: SPOILER). Caan è molto bravo a interpretare questo stato d'animo di Jonathan che comincia a "prendere coscienza" e a cercare di indagare il mondo attorno a sé: egli non ha, visto il mondo da cui proviene, gli strumenti culturali per sviluppare più di tanto questa consapevolezza (per dirla in maniera raffinata), e del resto non trova nessuno che lo aiuti (sembrano tutti ignoranti e superficiali, un po' come in Fahrenheit 451). Tuttavia saprà andare dritto al sodo, vincendo l'ultima partita che è stata trasformata in un gioco al massacro manipolando le regole allo scopo di sconfiggerlo.
Così, mentre Jonathan sembrava un personaggio accomodante e facilmente manipolabile, che accettava le amanti inviategli dalla corporazione limitandosi a rivedere le immagini filmate della moglie che gli è stata tolta, e sfogava tutto nel gioco, ora diventa cocciuto, cerca ostinatamente la verità e si oppone alla volontà dei padroni del mondo.
Fermo restando che per il contenuto di violenza questo film dovrebbe essere vietato ai minori, io l'ho trovato bello; allo stesso tempo molto valido per alcuni aspetti, e molto curioso per come sia, da altri punti di vista, così datato e ingenuo. Innanzitutto c'è la ricerca della verità storica da parte di Jonathan, e la scoperta che il passato oltre che manipolato a piacere è praticamente ormai dimenticato, depositato nelle memorie di un'intelligenza artificiale che lo nasconde; il tema del libero arbitrio, dell'impossibilità di essere felici anche quando, superficialmente, si vive in una società che soddisfa tutti i bisogni; la rivincita dell'individualità incarnata dal campione di Rollerball è allo stesso tempo sinistra, dal momento che si tratta di un eroe che uccide in uno sport sanguinario. Le stesse riflessioni di Jonathan mentre osserva un compagno di squadra ridotto a un vegetale in coma sono esplicite, quando sospetta che quella sia l'unica felicità possibile, vivere come una pianta senza pensieri. Non sempre queste tematiche sono portate avanti in maniera avvincente o convincente, a volte sono troppo semplificate, ma il film non è affatto superficiale, pur con questo curioso miscelare ragionamenti e scene di azione brutali.
Rollerball peraltro offre tanti paradossi, visto adesso. In parte era una contestazione al welfare state "dalla culla alla tomba" che poteva esser visto, ai tempi, come un probabile futuro dell'umanità. Comodo ma spersonalizzante, soffocante.
Oggi che stiamo finendo nella palta così velocemente dal punto di vista economico, un mondo di super aziende che ti assicurano un decente benessere (purché non rompi troppo le scatole e le lasci comandare) potrebbe sembrare quasi un paradiso. Guarda un po' che preoccupazioni si facevano, trentacinque anni fa.
Buffa anche l'importanza che vien data allo spettacolo televisivo "tutto per Jonathan" come se uno show dovesse avere chissà quale influenza, e curioso il fatto che un personaggio tutto sommato accomodante venga visto come un pericolo. Oggi vediamo il mondo "corporate" fare i salti mortali per aggiudicarsi un personaggio celebre come testimonial. Ammettiamo che in un mondo in cui l'individualismo è stato volutamente smorzato ci si comporterebbe in modo diverso, ammettiamo anche che le Corporazioni del film (che hanno in passato avuto delle guerre fra loro) debbano stare attente a rispettare una delicata etichetta nei loro rapporti. E Jonathan è simbolo di una sola di esse, (la Corporazione dell'Energia con sede a Huston, stesso posto da cui prende il nome la squadra) quindi creerebbe un problema di equilibri con le altre. Ma comunque resta la sensazione che sarebbe più conveniente aspettare che diventi vecchio e debba ritirarsi comunque, piuttosto che volerlo eliminare a tutti i costi.
Quanto meno, il film fallisce nel creare l'idea di un mondo dove l'individualismo sia stato messo ai margini. Anzi viene messa in evidenza l'ammirazione per i giocatori di Rollerball. Sono visti come dei superuomini, l'importante è che non stiano in circolazione troppo a lungo da diventare una specie di supereroi.
Esiste una sola donna dirigente nel gruppo dei capi di alto livello (si vede in una teleconferenza), per il resto le donne sono lavoratrici (alcune infermiere che si vedono nel film, una massaggiatrice...) oppure bellissime donne con sorrisi stereotipati (mogli, amanti...) che danno un'idea di donne oggetto di lusso. Non poi molto diverso dalla realtà di oggi, forse.
La scena in cui i festaioli (donne in prima fila!) bruciano gli alberi per divertimento poteva esser fatta meglio, resta importante per creare il tono di una società alienata. Anche la scena dello scienziato che dovrebbe svelare la realtà storica a Jonathan e va in crisi di nervi di fronte al computer che nega le notizie è un momento che va dritto allo scopo, sebbene la scena sia ridicola con gli occhi di oggi. Un altro paio di tocchi di questo genere, magari più azzeccati, e avremmo avuto un ritratto della società meglio comprensibile, il che avrebbe conferito maggior realtà e spessore al film.
Al coperto della loro soffice dittatura, i dirigenti della corporazione fanno i loro porci comodi: lo si vede da come hanno spezzato il matrimonio di Jonathan che pure è un privilegiato (tener presente comunque che la ex moglie ha una differente spiegazione). Ma i loro comodi li fanno dopo aver provveduto ai bisogni essenziali di tutti. Non sembrano neanche un po' i pazzi criminali di oggi, che si giocano in borsa, con i derivati, il diritto a una scodella di riso per milioni di persone. Sono antipatici, non si riesce però a odiarli davvero.
Curioso anche il fatto che, nonostante in qualche scena la Corporazione tolga i guanti bianchi e digrigni i denti nei confronti di Jonathan, dimostrando che in fin dei conti il potere non perde mai la propria brutalità, nella riunione (telematica) fra grandi dirigenti si preferisca togliere le regole alla finale del campionato, e sperare che il campione ci rimanga secco, piuttosto che sporcarsi le mani con un omicidio politico.
Da questo punto di vista il film visto oggi è indebolito in uno degli aspetti principali di allora, la "lotta contro il sistema," ma questo offre ancor più grande risalto a un'altra riflessione: al fatto che l'uomo resta sempre una bestia che ha bisogno di affrontare problemi, di combattere, di distruggere o autodistruggersi, e la sua violenza difficilmente può essere esorcizzata (un simile discorso lo faceva anche l'Agente Smith in Matrix, ricordate? Quando diceva che era stato sperimentato un mondo paradisiaco per la Matrice, ma agli uomini che dovevano esserne prigionieri non piaceva). Jonathan il ribelle che "riafferma l'uomo" in un mondo che cercava di vivere una vita forse noiosa ma libera della violenza che lo ha devastato nel passato, potrebbe essere la causa di nuove stragi e nuove sofferenze.
Curioso come oggi Rollerball sia un film ancora interessante, ma un altro film rispetto al giorno in cui uscì nei cinema.
venerdì 17 dicembre 2010
martedì 14 dicembre 2010
Gabe Chouinard, chi è costui?
Colgo l'occasione di un articolo interessante (vecchio, ma l'argomento può essere attuale) per portare la vostra attenzione sulla rivista in inglese Locus (dove era stato pubblicato) e sull'ottima pagina Magrathea (valido portale sul fantastico, in italiano) dove l'ho trovato tradotto.
L'articolo, di Gabe Chouinard, opinionista a me sconosciuto, afferma praticamente che nessun autore di fantasy epico ha saputo far di meglio che: o imitare Tolkien, o cercare una via diversa, ma facendo peggio di Tolkien e fallendo nel tentativo di creare una comparabile grandiosità.
Ognuno può pensarla come vuole; io non sono d'accordo. Trovo anche che sia un buon esempio di come usare troppe categorie possa confondere una riflessione.
Ho avuto l'occasione di avere uno scambio di opinioni sulla questione. Segnalo il tutto a questo indirizzo.
L'articolo, di Gabe Chouinard, opinionista a me sconosciuto, afferma praticamente che nessun autore di fantasy epico ha saputo far di meglio che: o imitare Tolkien, o cercare una via diversa, ma facendo peggio di Tolkien e fallendo nel tentativo di creare una comparabile grandiosità.
Ognuno può pensarla come vuole; io non sono d'accordo. Trovo anche che sia un buon esempio di come usare troppe categorie possa confondere una riflessione.
Ho avuto l'occasione di avere uno scambio di opinioni sulla questione. Segnalo il tutto a questo indirizzo.
venerdì 10 dicembre 2010
Un maiale che non vola è solo un maiale
Dopo un sacco di tempo, arriva sugli schermi italiani (e col contagocce) il film di Miyazaki, Porco Rosso, un'epopea d'avventura che si svolge nell'Adriatico con elementi di fantasia mescolati a un'ambientazione italiana non proprio precisa ma nemmeno così mal riuscita.
Questo anime mescola i toni epici di una grande storia di eroi hollywoodiani con la passione del disegnatore per gli idrovolanti e la loro epopea, i dolci paesaggi marini, un'umanità mista di canaglie, gente che se la cava come può, eroi non proprio immacolati e assi dell'aviazione (tra cui un altro "outsider," l'americano venuto a sfidare Porco Rosso). Numerosi omaggi a personaggi dell'aeronautica italiana (e non solo). Anche il nome della banda di pirati, i "Mamma Aiuto," è un riferimento a un modello di aereo italiano e a uno stormo che lo portava in volo.
Ovviamente l'immaginazione corre sfrenata, come accade spesso con gli artisti giapponesi: dopo aver visto tutti i suoi compagni italiani (e un bel po' di avversari) "ascendere in cielo" dopo una battaglia aerea della prima guerra mondiale, il nostro eroe è trasformato in maiale e non si sa bene cosa possa liberarlo da questa maledizione. Peraltro, nessuno sembra trovarci niente di così strano, lui si da delle arie da Humphrey Bogart senza problemi, e le donne non smettono di esserne terribilmente attratte, con molto dispiacere del rivale americano. (Peraltro, è l'unico elemento fantastico in una trama che non rispetta la realtà storica, ma è fatta di elementi realistici, il che del resto è raro per questo regista).
Con la fantasia di Miyazaki l'Adriatico diventa il set per grandi sfide e duelli di eroi romantici e indipendenti, nonché covo di pirati (pirati dell'aria, però), quasi una specie di far west dove però i cattivi non sono poi così cattivi, dove nessuno resta ucciso anche se si sparano raffiche a non finire, dove tutti sono cavalieri verso donne e ragazze, perfino i delinquenti.
Non sono molto per le animazioni nipponiche, ma questo è un capolavoro.
Questo anime mescola i toni epici di una grande storia di eroi hollywoodiani con la passione del disegnatore per gli idrovolanti e la loro epopea, i dolci paesaggi marini, un'umanità mista di canaglie, gente che se la cava come può, eroi non proprio immacolati e assi dell'aviazione (tra cui un altro "outsider," l'americano venuto a sfidare Porco Rosso). Numerosi omaggi a personaggi dell'aeronautica italiana (e non solo). Anche il nome della banda di pirati, i "Mamma Aiuto," è un riferimento a un modello di aereo italiano e a uno stormo che lo portava in volo.
Ovviamente l'immaginazione corre sfrenata, come accade spesso con gli artisti giapponesi: dopo aver visto tutti i suoi compagni italiani (e un bel po' di avversari) "ascendere in cielo" dopo una battaglia aerea della prima guerra mondiale, il nostro eroe è trasformato in maiale e non si sa bene cosa possa liberarlo da questa maledizione. Peraltro, nessuno sembra trovarci niente di così strano, lui si da delle arie da Humphrey Bogart senza problemi, e le donne non smettono di esserne terribilmente attratte, con molto dispiacere del rivale americano. (Peraltro, è l'unico elemento fantastico in una trama che non rispetta la realtà storica, ma è fatta di elementi realistici, il che del resto è raro per questo regista).
Con la fantasia di Miyazaki l'Adriatico diventa il set per grandi sfide e duelli di eroi romantici e indipendenti, nonché covo di pirati (pirati dell'aria, però), quasi una specie di far west dove però i cattivi non sono poi così cattivi, dove nessuno resta ucciso anche se si sparano raffiche a non finire, dove tutti sono cavalieri verso donne e ragazze, perfino i delinquenti.
Non sono molto per le animazioni nipponiche, ma questo è un capolavoro.
sabato 4 dicembre 2010
Finzioni
Il famoso Borges nella sua produzione ha scritto molti racconti inerenti il fantastico, talvolta con risultati esilaranti, ma chi cerca un facile intrattenimento deve fare attenzione, perché assieme all'elemento bizzarro e fantastico ci sono tutti i discorsi letterari e le tematiche intellettuali di un uomo colto e complesso, e la prosa di Borges, distaccata e fredda, potrebbe non piacere a tutti.
Dopo aver avvertito correttamente i naviganti, due parole sull'autore: uno dei massimi intellettuali sudamericani del '900, Jorge Luis Borges fu influenzato dalla cultura europea e anglosassone per via del padre (per metà inglese). Si segnalò per lo stile surrealista e fantastico con cui indagava la realtà, ma faticò a vivere dei suoi scritti, e riuscì a farsi un bel po' di nemici per l'abitudine di esprimere senza mezzi termini le sue idee politiche conservatrici. Fermamente anticomunista ma anche (e soprattutto) oppositore del populismo peronista, ebbe qualche simpatia di troppo per le giunte militari, il che gli costò probabilmente il premio Nobel. Non so cosa pensarne. Si sa che gli svedesi che assegnano il premio sono dei progressisti spocchiosi e un po' snob, e comunque spesso assegnano quei premi a vanvera perciò il nostro Borges non aveva in realtà motivo di crucciarsi più di tanto, ma gli era proprio necessario andare a una cerimonia con Pinochet?
Borges divenne cieco in età adulta ma proseguì nella produzione artistica fino alla morte. Delle sue opere dispone oggi la donna che sposò poco prima di morire.
In Finzioni le tematiche sono le sue classiche, le ambiguità dei significati che diamo alle cose, il rapporto tra parola (e letteratura) e realtà, la natura del tempo, i misteri e gli enigmi.
Fanno comparsa anche i mondi immaginari in Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, racconto basato sull'indagine riguardo a una stranezza, un'enciclopedia "clandestina" creata da vari intellettuali, che immaginando un mondo lo rendono reale, influenzando il nostro. Assai piacevole e stimolante, ma in realtà è un ginepraio di idee filosofiche e politiche e anche un pretesto per lanciare invettive: difficile da comprendere al cento per cento senza conoscere bene tutti i riferimenti.
Nella Biblioteca di Babele si immagina una biblioteca infinita, assurda, e tutte le implicazioni della sua esistenza. In Tre Versioni di Giuda si esplora un'ipotesi teologica quantomeno... azzardata. Con La Morte e la Bussola abbiamo, oltre ai richiami cabbalistici, un altro dei temi più amati di Borges, ovvero l'identità tra carnefice e vittima, richiamata in maniera non evidente anche nel nome di due personaggi. La trama è di tipo poliziesco: parla di un investigatore che segue degli indizi molto sottili, che sembrano lasciati apposta da un assassino, delitto dopo delitto, per farsi prendere. Le cose, tuttavia, non stanno esattamente così. Il Miracolo Segreto parla di un ultimo desiderio, espresso da un condannato a morte (uno scrittore) che vuol terminare la propria opera. Come dice il titolo, il desiderio è esaudito, ma non lo saprà nessuno.
Non so se vi ho incuriosito, ma se volete conciliare la letteratura colta con la passione per il fantastico, questa raccolta è un'ottima occasione.
Dopo aver avvertito correttamente i naviganti, due parole sull'autore: uno dei massimi intellettuali sudamericani del '900, Jorge Luis Borges fu influenzato dalla cultura europea e anglosassone per via del padre (per metà inglese). Si segnalò per lo stile surrealista e fantastico con cui indagava la realtà, ma faticò a vivere dei suoi scritti, e riuscì a farsi un bel po' di nemici per l'abitudine di esprimere senza mezzi termini le sue idee politiche conservatrici. Fermamente anticomunista ma anche (e soprattutto) oppositore del populismo peronista, ebbe qualche simpatia di troppo per le giunte militari, il che gli costò probabilmente il premio Nobel. Non so cosa pensarne. Si sa che gli svedesi che assegnano il premio sono dei progressisti spocchiosi e un po' snob, e comunque spesso assegnano quei premi a vanvera perciò il nostro Borges non aveva in realtà motivo di crucciarsi più di tanto, ma gli era proprio necessario andare a una cerimonia con Pinochet?
Borges divenne cieco in età adulta ma proseguì nella produzione artistica fino alla morte. Delle sue opere dispone oggi la donna che sposò poco prima di morire.
In Finzioni le tematiche sono le sue classiche, le ambiguità dei significati che diamo alle cose, il rapporto tra parola (e letteratura) e realtà, la natura del tempo, i misteri e gli enigmi.
Fanno comparsa anche i mondi immaginari in Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, racconto basato sull'indagine riguardo a una stranezza, un'enciclopedia "clandestina" creata da vari intellettuali, che immaginando un mondo lo rendono reale, influenzando il nostro. Assai piacevole e stimolante, ma in realtà è un ginepraio di idee filosofiche e politiche e anche un pretesto per lanciare invettive: difficile da comprendere al cento per cento senza conoscere bene tutti i riferimenti.
Nella Biblioteca di Babele si immagina una biblioteca infinita, assurda, e tutte le implicazioni della sua esistenza. In Tre Versioni di Giuda si esplora un'ipotesi teologica quantomeno... azzardata. Con La Morte e la Bussola abbiamo, oltre ai richiami cabbalistici, un altro dei temi più amati di Borges, ovvero l'identità tra carnefice e vittima, richiamata in maniera non evidente anche nel nome di due personaggi. La trama è di tipo poliziesco: parla di un investigatore che segue degli indizi molto sottili, che sembrano lasciati apposta da un assassino, delitto dopo delitto, per farsi prendere. Le cose, tuttavia, non stanno esattamente così. Il Miracolo Segreto parla di un ultimo desiderio, espresso da un condannato a morte (uno scrittore) che vuol terminare la propria opera. Come dice il titolo, il desiderio è esaudito, ma non lo saprà nessuno.
Non so se vi ho incuriosito, ma se volete conciliare la letteratura colta con la passione per il fantastico, questa raccolta è un'ottima occasione.
mercoledì 1 dicembre 2010
Un necrologio e una diatriba
La morte di Mario Monicelli val la pena di menzionarla anche se non si è appassionati di cinema italiano, almeno per due motivi: primo, per un film eccezionale (anche se magari di... scarse pretese culturali) come L'Armata Brancaleone; secondo, per la polemica che aveva portato avanti contro i tagli ai finanziamenti per la cultura.
Dal momento che quella polemica è infuriata recentemente per via di ulteriori decurtazioni, m'è capitato di riflettere sull'utilità dei finanziamenti al cinema italiano: di solito non ci penso un gran che, nel senso che quando leggo delle cifre che vengono sborsate, per poi avere pochissimi film guardabili prodotti nel nostro paese, mi viene in mente solo qualche parolaccia.
Ma se un tale gigante (un gigante del passato, e legato alla commedia all'italiana ormai declinata, ma pur sempre un gigante) ha protestato fino alla fine contro i tagli a questa spesa di denaro, forse è il caso di pensarci un po' di più.
La comparazione con il cinema australiano, che cominciò negli anni '70 a svilupparsi sotto gli auspici di un'agenzia governativa che lo finanziava, potrebbe essere illuminante.
Prima riflessione: è difficile avere un grande ritorno economico. Gli australiani hanno prodotto alcuni film di successo a livello internazionale, come noi non ci sogniamo nemmeno (magari sono aiutati dalla lingua inglese, però il divario rimane fortissimo), eppure nonostante tutto non hanno rotto l'egemonia di Hollywood. Mentre una cinquantina di anni fa negli USA il pubblico si metteva in fila per vedere i film del neorealismo italiano, oggi esiste un sistema di produzione e distribuzione che controlla il mercato in maniera tale da marginalizzare inevitabilmente la concorrenza. De Laurentiis, di recente scomparso, era l'unico italiano che aveva rapporti con quell'ambiente e poteva garantirsi una distribuzione decente. Pertanto oggi difficilmente sarebbe possibile produrre colossal con budget paragonabili ai vari Batman o Avatar e recuperare quei soldi (se anche qualcuno ce li mettesse!).
Seconda riflessione: è difficile creare una scuola locale. Nel mondo globalizzato chi ha delle capacità va a lavorare per chi gli permette di metterle a frutto. Sempre per fare un paragone con l'Australia, che investito nel proprio cinema e visto nascere dei talenti: nomi come Mel Gibson o Nicole Kidman sono legati più a un discorso mondiale che a uno locale. C'è da temere che se dai nostri schermi spuntasse fuori qualche attore davvero capace (qualcuno bravino ovviamente esiste ma la maggior parte sono ingessati in maniera impressionante, o eccedono nei propri atteggiamenti) troverebbe subito la strada di Hollywood.
Quando col denaro pubblico si è creata una "scuola" per la produzione di effetti speciali italiana qualcosa si è anche tirato fuori. Mi viene in mente la produzione spagnola di Donkey Xote con la grafica dell'italiana Lumiq: a parte il modesto successo del film (scarsa distribuzione o era brutto? non so, non l'ho visto) non mi pare che la cosa abbia avuto gran seguito, o che il nostro cinema finalmente cominci a sfoderare buoni effetti speciali ecc... Chissà se i tecnici che hanno imparato qualcosa hanno ancora voglia di lavorare in Italia o se sono all'estero da un pezzo.
Terza... ma con il cinema si finanzia l'espressione della cultura di un paese, o il cinema è un'industria qualsiasi? Se è un'industria qualsiasi, che lo si finanzi solo se c'è modo che presto stia in piedi con le proprie gambe, altrimenti potrebbe andare a finire come con la Fiat, ovvero sostegni statali immensi e di lungo periodo, per poi vedere che l'azienda scappa altrove e insulta il paese che l'ha fatta sopravvivere.
E se invece decidiamo che il cinema ci serve per consentire al paese di farsi sentire, di essere percepito nel discorso culturale mondiale? Io sono per questa seconda ipotesi.
Continuiamo con il paragone con gli Australiani.
Essi sono riusciti a produrre film che hanno guadagnato dei soldi, e anche a parlare al mondo di qualcosa che riguarda la loro storia (esempio: Gli Anni Spezzati), noi no.
Facciamo dei film che uno straniero difficilmente capirebbe come tematiche; e spesso l'uso di modi di fare troppo nostrani o del dialetto è parte irrinunciabile dello stile in cui sono girati. Oppure facciamo film volgari di serie B, e anche questi non so se riusciamo a esportarli (be', in verità spero di no...).
Ma a volte i film finanziati con il denaro pubblico non arrivano nemmeno nei nostri cinema perché non hanno la capacità di attrarre gli spettatori. A questo punto il loro valore diventa quasi impossibile da giudicare: diventa un discorso tra qualche politico che decide come spendere il denaro e tanti artisti che ne vogliono almeno un po'. Il risultato finale è un vivacchiare inutile, sia perché si disperdono le risorse in mille rivoli, sia per le ovvie implicazioni di corruzione, mercato delle vacche ecc... sia perché il risultato che (per me) sarebbe desiderabile, ovvero dire qualcosa di noi al mondo, non può certo essere raggiunto in questa maniera.
Quindi è così immorale o inutile spendere del denaro per finanziare il cinema? No, io credo che in linea di principio non lo sia e non è colpa degli artisti se l'Italia difficilmente potrà recuperare le posizioni che ha avuto in passato. Le circostanze sono diverse, e sfavorevoli. Però non credo che sia di interesse per la collettività produrre spettacoli che non abbiano la possibilità di toccare un pubblico abbastanza ampio. Le elucubrazioni degli intellettuali indecifrabili e i film che non vuol veder nessuno dovrebbero essere finanziati da privati (se ce n'è disposti a farlo) o scomparire. I criteri per sborsare denaro pubblico dovrebbero essere l'argomento almeno in parte attinente al nostro paese e alla sua storia o cultura (in senso lato, non sto parlando di intellettualismi), e la ricerca di un (almeno) decente successo di pubblico. Non penso che bisognerebbe insistere su attori, registi ecc... che non ottengono questi risultati.
Mi viene in mente almeno un film (El Alamein, la Linea del Fuoco di Monteleone) che, aiutato ma non abbastanza dal denaro pubblico, è rimasto pressoché sconosciuto a livello internazionale anche per la disastrosa mancanza di mezzi che è fin troppo evidente nella pellicola, e, immagino, per la debolezza della distribuzione. Idee e artisti ci sono, quello è solo un esempio.
Se si concentrassero i mezzi là dove ne vale la pena, mi sembra che i quattrini disponibili non sarebbero neanche pochissimi. Bene o male si tratta di centinaia di milioni di euro.
Mi sembra evidente, visti i risultati, che non si sa come spenderli.
Dal momento che quella polemica è infuriata recentemente per via di ulteriori decurtazioni, m'è capitato di riflettere sull'utilità dei finanziamenti al cinema italiano: di solito non ci penso un gran che, nel senso che quando leggo delle cifre che vengono sborsate, per poi avere pochissimi film guardabili prodotti nel nostro paese, mi viene in mente solo qualche parolaccia.
Ma se un tale gigante (un gigante del passato, e legato alla commedia all'italiana ormai declinata, ma pur sempre un gigante) ha protestato fino alla fine contro i tagli a questa spesa di denaro, forse è il caso di pensarci un po' di più.
La comparazione con il cinema australiano, che cominciò negli anni '70 a svilupparsi sotto gli auspici di un'agenzia governativa che lo finanziava, potrebbe essere illuminante.
Prima riflessione: è difficile avere un grande ritorno economico. Gli australiani hanno prodotto alcuni film di successo a livello internazionale, come noi non ci sogniamo nemmeno (magari sono aiutati dalla lingua inglese, però il divario rimane fortissimo), eppure nonostante tutto non hanno rotto l'egemonia di Hollywood. Mentre una cinquantina di anni fa negli USA il pubblico si metteva in fila per vedere i film del neorealismo italiano, oggi esiste un sistema di produzione e distribuzione che controlla il mercato in maniera tale da marginalizzare inevitabilmente la concorrenza. De Laurentiis, di recente scomparso, era l'unico italiano che aveva rapporti con quell'ambiente e poteva garantirsi una distribuzione decente. Pertanto oggi difficilmente sarebbe possibile produrre colossal con budget paragonabili ai vari Batman o Avatar e recuperare quei soldi (se anche qualcuno ce li mettesse!).
Seconda riflessione: è difficile creare una scuola locale. Nel mondo globalizzato chi ha delle capacità va a lavorare per chi gli permette di metterle a frutto. Sempre per fare un paragone con l'Australia, che investito nel proprio cinema e visto nascere dei talenti: nomi come Mel Gibson o Nicole Kidman sono legati più a un discorso mondiale che a uno locale. C'è da temere che se dai nostri schermi spuntasse fuori qualche attore davvero capace (qualcuno bravino ovviamente esiste ma la maggior parte sono ingessati in maniera impressionante, o eccedono nei propri atteggiamenti) troverebbe subito la strada di Hollywood.
Quando col denaro pubblico si è creata una "scuola" per la produzione di effetti speciali italiana qualcosa si è anche tirato fuori. Mi viene in mente la produzione spagnola di Donkey Xote con la grafica dell'italiana Lumiq: a parte il modesto successo del film (scarsa distribuzione o era brutto? non so, non l'ho visto) non mi pare che la cosa abbia avuto gran seguito, o che il nostro cinema finalmente cominci a sfoderare buoni effetti speciali ecc... Chissà se i tecnici che hanno imparato qualcosa hanno ancora voglia di lavorare in Italia o se sono all'estero da un pezzo.
Terza... ma con il cinema si finanzia l'espressione della cultura di un paese, o il cinema è un'industria qualsiasi? Se è un'industria qualsiasi, che lo si finanzi solo se c'è modo che presto stia in piedi con le proprie gambe, altrimenti potrebbe andare a finire come con la Fiat, ovvero sostegni statali immensi e di lungo periodo, per poi vedere che l'azienda scappa altrove e insulta il paese che l'ha fatta sopravvivere.
E se invece decidiamo che il cinema ci serve per consentire al paese di farsi sentire, di essere percepito nel discorso culturale mondiale? Io sono per questa seconda ipotesi.
Continuiamo con il paragone con gli Australiani.
Essi sono riusciti a produrre film che hanno guadagnato dei soldi, e anche a parlare al mondo di qualcosa che riguarda la loro storia (esempio: Gli Anni Spezzati), noi no.
Facciamo dei film che uno straniero difficilmente capirebbe come tematiche; e spesso l'uso di modi di fare troppo nostrani o del dialetto è parte irrinunciabile dello stile in cui sono girati. Oppure facciamo film volgari di serie B, e anche questi non so se riusciamo a esportarli (be', in verità spero di no...).
Ma a volte i film finanziati con il denaro pubblico non arrivano nemmeno nei nostri cinema perché non hanno la capacità di attrarre gli spettatori. A questo punto il loro valore diventa quasi impossibile da giudicare: diventa un discorso tra qualche politico che decide come spendere il denaro e tanti artisti che ne vogliono almeno un po'. Il risultato finale è un vivacchiare inutile, sia perché si disperdono le risorse in mille rivoli, sia per le ovvie implicazioni di corruzione, mercato delle vacche ecc... sia perché il risultato che (per me) sarebbe desiderabile, ovvero dire qualcosa di noi al mondo, non può certo essere raggiunto in questa maniera.
Quindi è così immorale o inutile spendere del denaro per finanziare il cinema? No, io credo che in linea di principio non lo sia e non è colpa degli artisti se l'Italia difficilmente potrà recuperare le posizioni che ha avuto in passato. Le circostanze sono diverse, e sfavorevoli. Però non credo che sia di interesse per la collettività produrre spettacoli che non abbiano la possibilità di toccare un pubblico abbastanza ampio. Le elucubrazioni degli intellettuali indecifrabili e i film che non vuol veder nessuno dovrebbero essere finanziati da privati (se ce n'è disposti a farlo) o scomparire. I criteri per sborsare denaro pubblico dovrebbero essere l'argomento almeno in parte attinente al nostro paese e alla sua storia o cultura (in senso lato, non sto parlando di intellettualismi), e la ricerca di un (almeno) decente successo di pubblico. Non penso che bisognerebbe insistere su attori, registi ecc... che non ottengono questi risultati.
Mi viene in mente almeno un film (El Alamein, la Linea del Fuoco di Monteleone) che, aiutato ma non abbastanza dal denaro pubblico, è rimasto pressoché sconosciuto a livello internazionale anche per la disastrosa mancanza di mezzi che è fin troppo evidente nella pellicola, e, immagino, per la debolezza della distribuzione. Idee e artisti ci sono, quello è solo un esempio.
Se si concentrassero i mezzi là dove ne vale la pena, mi sembra che i quattrini disponibili non sarebbero neanche pochissimi. Bene o male si tratta di centinaia di milioni di euro.
Mi sembra evidente, visti i risultati, che non si sa come spenderli.