Ecco una nuova Alice, una piccola gladiatrice senza futuro prigioniera e sfruttata in un posto sordido: salvata da bambina da un professore in gamba e avventuroso, portata nella civiltà. Un fast-forward precipitoso, e la nostra Alice è grande, vive a Londra, ma è insoddisfatta. Vuole assaporare di nuovo i bassifondi da cui è stata salvata: perché Londra è una fortezza di sanità mentale attorniata dal mondo dello Steamland, un deserto invaso da cumuli di spazzatura tecnologica (i tecnorifiuti) e da una nebbia che provoca allucinazioni, la Vaporità. Nebbia che, a saperla usare, può servire anche a sostenersi in volo, a far funzionare delle apparecchiature, ecc...
Questo perché siamo in un romanzo "steampunk" o "steamfantasy" e si paga pegno ai suoi cliché, né più né meno che quando compare il nano con la lunga barba e la grande ascia in un romanzo tolkieniano. Questa è la moda, questa l'ambientazione "nuova" anche se lo steam ha i suoi venti o trent'anni. A me piace Francesco Dimitri, però non mi piacciono le mode. Nemmeno quella che ha voluto l'imitiazione continua di Tolkien, comunque.
Oso però immaginare che l'autore questo omaggio al gusto dominante lo abbia fatto un po' controvoglia, perché la storia acquista senso e significato, e diventa interessante, quando Dimitri torna al suo discorso (l'Incanto, la Carne, il Sogno) e alla sua visione della realtà. Lo steam rimane a far da contorno.
Contorno già visto in effetti: non c'è nulla di nuovo in una tecnologia da retro-futuro (dove tutto funziona a vapore, ovviamente) in un mondo pieno di rottami, monitor, copertoni ecc... di un passato da apocalisse dove una civiltà tecnologica ha incontrato il suo declino. Questa l'ambientazione, che ci porta in un lontano futuro. Anche se i segni del tecno-passato sono lì, evidenti, non sepolti dal passare dei secoli. Insomma, come in un film di quelli a zero budget ci sono le rocce di cartapesta, qui i personaggi si muovono tra prop prese dallo sfasciacarrozze. L'autore gigioneggia facendoci riscoprire in un rifugio antichissime copie del Signore degli Anelli e del suo Pan... del resto Dimitri non è nuovo ad intromissioni anche forti nelle storie che scrive.
L'apparizione di un personaggio da manga, monaco ammazzasette con la katana, non mi ha reso migliore la partenza in questa lettura. Ma poiché bisogna sempre passare oltre la superficie e guardare al valore della storia, ammetterò che le idee in effetti ci sono, anche se non è il caso di anticipare troppo qui. In Alice nel Paese della Vaporità (editore: Salani) abbiamo un viaggio iniziatico che porta la protagonista alla comprensione, alla partecipazione ad una crociata contro un potere oppressivo (la Regina), alla necessità di una rifondazione della realtà. E abbiamo detto fin troppo.
Dalla metà del libro in poi, più o meno, Dimitri padroneggia la situazione con grande stile e riesce a creare un senso di credibilità che sfida qualunque scetticismo del lettore, nonostante sia una realtà sconvolta e drogata. Tutti gli elementi presi a prestito dal tecno-fantasy a vapore e dai cartoni animati giapponesi vengono piegati a quello che è il suo mondo. E la storia, che inizialmente sembrava molto lineare e intuibile in anticipo, si è fatta interessante: potevo ancora vedere dove voleva andare a parare, ero spiazzato dal come.
Una sola anticipazione (se non la volete, saltate questo paragrafo): quando sembra che la missione di Alice si compia piantando il fiore di cristallo che contiene la realtà "unificata" da donare al mondo dello Steamland, scopre che la Regina cattiva non aspetta altro che lo faccia! Perché versando il proprio sangue sul fiore e narrando la "favola" che vuol fare avverare, è la Regina che minaccia di definire il mondo che deve venire a crearsi, dando ad esso la propria storia, il proprio logos. Bella trovata, ben raccontata in un finale serrato, direi la migliore del libro.
Per concludere: se amate il vapore questo libro probabilmente vi piacerà moltissimo, se questa nuova (?) moda vi ha già stancato la partenza sarà piuttosto difficile, ma il libro è breve e prende abbastanza presto forma e direzione. Per alcuni versi ovviamene ricorda Pan, che andrebbe letto prima di questo (se non lo avete ancora letto). Anche perché, pur riconoscendo ad Alice i suoi meriti, Pan è un opera di un ordine di grandezza superiore.
domenica 30 maggio 2010
martedì 25 maggio 2010
Comunicazione di servizio
Dopo un periodo di malanno strisciante, m'è esplosa una febbre (39 nei momenti peggiori) più bronchite più tosse ecc... che mi lascerà fuori combatimento almeno fino a domenica.
Buona notizia invece: m'è arrivato finalmente Alice di Dimitri. Spero di finirlo a breve.
Buona notizia invece: m'è arrivato finalmente Alice di Dimitri. Spero di finirlo a breve.
giovedì 20 maggio 2010
Prince of Persia
Cosa dire di questo fumettone disneyano? Per certi aspetti è accattivante, sebbene si svolga in un oriente di cartapesta zeppo di anacronismi e perfino con riferimenti alla modernità. Non è nemmeno possibile giudicarlo troppo severamente per questo, a un aggancio vero con qualche realtà storica non ci prova neanche e non lo nasconde. Prince of Persia sono andato a vederlo praticamente per un solo motivo, perché mi piace Jake Gyllenhaal come attore (anche se qua, pur palestrato al massimo, nella parte dell'agile e forzuto ammazzasette riesce a entrare fino a un certo punto).
L'azione mozzafiato non manca, anche se mancano lo splatter e gli sbudellamenti (del resto è un film della Disney!). Freddina la Arterton, protagonista insieme a Gyllenhaal, ma Ben Kingsley ci fa una figura migliore che nell'ultima pellicola dove lo avevo visto (il penosissimo L'Ultima Legione). La trama, be', la trama è quella che è. In definitiva questo Prince of Persia è solo un film per passare un paio d'orette sgranocchiando i pop corn. D'altra parte vista la premessa (film ispirato a un videogame e realizzato dalla Disney) non c'era da aspettarsi di meglio. L'unica notizia davvero allarmante è che dovrebbe essere il primo di una lunga serie. Speriamo di no.
L'azione mozzafiato non manca, anche se mancano lo splatter e gli sbudellamenti (del resto è un film della Disney!). Freddina la Arterton, protagonista insieme a Gyllenhaal, ma Ben Kingsley ci fa una figura migliore che nell'ultima pellicola dove lo avevo visto (il penosissimo L'Ultima Legione). La trama, be', la trama è quella che è. In definitiva questo Prince of Persia è solo un film per passare un paio d'orette sgranocchiando i pop corn. D'altra parte vista la premessa (film ispirato a un videogame e realizzato dalla Disney) non c'era da aspettarsi di meglio. L'unica notizia davvero allarmante è che dovrebbe essere il primo di una lunga serie. Speriamo di no.
domenica 16 maggio 2010
Star Trek
Non sono mai stato un fan di Star Trek e non conosco tutti i vari spin-off e i film derivati da questa veneranda serie TV datata ormai dagli anni '60 dello scorso secolo (quando io ero in fasce...). So l'impressione generale che mi dà: anche quando c'è lo spettacolo, non mi ispira per niente. E spesso lo spettacolo non c'è, perché Star Trek è stato prodotto con un budget molto limitato, soprattutto agli inizi.
Se devo essere sincero, la fantascienza vista in TV e sul grande schermo mi ha deluso spesso. Penso che non abbia ricevuto un trattamento molto gentile, anche se di recente abbiamo avuto una discreta eccezione (la serie di Battlestar Galactica reimmaginata). Purtroppo per ogni film o serie televisiva di buona fattura ce ne sono almeno cinque o sei che sono veramente terribili.
Star Trek, con le sue invenzioni bislacche a ogni episodio (dicono sia fantascienza coerente, ma il risultato finale mi sembra un universo di cartapesta) e la sua etica imperniata su un moralismo yankee-centrico mi è sempre stato difficile da digerire (al confronto la saga di Guerre Stellari, che pure è fantascienza solo nel look, è una spanna superiore).
Dopo aver spremuto il cast originale con una serie di film (ma dopo il primo di essi Gene Roddenberry fu disarcionato dal comando della sua creatura: motivo, s'erano guadagnati dei bei quattrini ma non abbastanza viste le aspettative) Star Trek ha continuato a marciare con diversi attori e serie televisive, ambientate in un'epoca differente dello stesso universo narrativo. Ma alla fine il mondo di Star Trek era diventato noioso e ripetitivo anche per i fan più duri a morire. Così l'ultima serie TV ha avuto fine e c'è stata una pausa di riflessione.
Questo nuovo Star Trek (uscito l'anno scorso) ripropone i vecchi personaggi con facce nuove, anziché cercare di utilizzare quelli delle serie televisive più recenti. In pratica un nuovo inizio, un "reboot" della serie, come si suol dire. La formula che doveva ravvivare Star Trek è, secondo gli sceneggiatori e il regista, un cambio di "tempo", insomma un ritmo più moderno di quello che caratterizzava questa serie ai bei tempi andati. Queste le dichiarazioni negli extra del DVD che ho visto. Altra affermazione, con cui sono decisamente d'accordo, è che era ora di poter fare spettacolo avendo i mezzi per poterlo fare. Anche io che non amo la serie originale devo ammettere che i suoi creatori facevano miracoli con pochissimi quattrini a disposizione.
Il nuovo film quindi ha molta azione, un ritmo narrativo sostenuto, effetti speciali in abbondanza anche se si è cercato di limitare dove possibile l'uso degli effetti speciali e dello "schermo verde" proprio perché obbliga l'attore a recitare nel nulla dovendo interagire con qualcosa creato in seguito dalla computer grafica. Si è preferito un aspetto realistico, dove possibile.
Gli attori sono stati scelti anche per la somiglianza a quelli della serie originale, somiglianza che comunque non è poi così estrema. E' stata data loro la possibilità di adottare qualcuno a scelta dei manierismi e delle caratteristiche dei vecchi personaggi, e allo stesso tempo di sviluppare un proprio modo di interpretarli. Se devo essere sincero Chris Pine nel ruolo del Capitano Kirk mi è sembrato meglio di William Shatner. Migliore il personaggio (vivace e giovanile), migliore la prestanza dell'attore. Il vulcaniano Spock è interpretato da Zachary Quinto (attore mezzo italiano e mezzo irlandese) che pur con il vantaggio di avere la consulenza di Leonard Nimoy (l'originale, che compare anche nel film) non mi sembra un sostituto abbastanza efficace. Scott e McCoy sono stati sostituiti degnamente a mio parere (l'originale Dr McCoy mi era davvero antipatico e qui ogni cambiamento per me può essere solo un passo avanti). Lo stesso potrei dire di Sulu e Chekov (simpatico Anton Yelchin nel ruolo del giovanissimo navigatore russo). Dopo aver visto Zoe Saldana in Avatar ovviamente mi è sembrata poco sfruttata qui nel ruolo di Uhura; mi pare anche poco adatta, a dir la verità. Forse non ha la stessa presenza scenica. Non che Uhura facesse moltissimo nella serie originale, a dire il vero, ma in qualche modo la ricordo come un personaggio importante.
Il cattivo di turno è un Romulano, Nero, interpretato da Eric Bana. Un attore che mi piace e che ha dato al film una delle migliori performance. Nero vuole vendicarsi per qualcosa che è successo.... nel futuro. Il che potrebbe essere un buon metodo per creare il "reboot" di una serie, visto che alterando il passato si crea una linea di eventi alternativa. Qui però iniziano i problemi che il sottoscritto ha con la serie di Star Trek in generale: lasciando perdere la trama per non creare anticipazioni, abbiamo viaggi nel tempo (originati dal finire dentro un buco nero, come se fosse l'esito più probabile), la possibilità di distruggere interi pianeti usando buchi neri artificiali, personaggi che incontrano... sé stessi.
C'è chi dice che l'universo di Star Trek è coerente nel suo uso della tecnologia, pur inventando quello che gli serve (in fondo è fantascienza). Io penso che si inventino quello che vogliono a onta di qualsiasi verosimiglianza e ragionevolezza, per questo mi è sempre sembrato un universo di cartapesta. Al punto che non vale nemmeno la pena di ragionare sulla logica della trama, tanto al momento giusto viene sempre inventato qualcosa che risolve le situazioni. Di sicuro Star Trek non sarà mai la mia religione.
Detto questo, il film tutto sommato riesce a essere quello che i produttori volevano che fosse: sempre Star Trek, ma con più brio e in grande stile e spettacolarità. Il successo al botteghino non è mancato e anche io non posso dire che mi sia spiaciuto vederlo. Spero solo che adesso non ne facciano un'altra dozzina a scapito di qualche idea fresca.
Una divertente presa in giro (o forse dovrei dire una critica feroce) di Star Trek da parte di Ron Moore (Battlestar Galactica). Pagina in inglese purtroppo.
Se devo essere sincero, la fantascienza vista in TV e sul grande schermo mi ha deluso spesso. Penso che non abbia ricevuto un trattamento molto gentile, anche se di recente abbiamo avuto una discreta eccezione (la serie di Battlestar Galactica reimmaginata). Purtroppo per ogni film o serie televisiva di buona fattura ce ne sono almeno cinque o sei che sono veramente terribili.
Star Trek, con le sue invenzioni bislacche a ogni episodio (dicono sia fantascienza coerente, ma il risultato finale mi sembra un universo di cartapesta) e la sua etica imperniata su un moralismo yankee-centrico mi è sempre stato difficile da digerire (al confronto la saga di Guerre Stellari, che pure è fantascienza solo nel look, è una spanna superiore).
Dopo aver spremuto il cast originale con una serie di film (ma dopo il primo di essi Gene Roddenberry fu disarcionato dal comando della sua creatura: motivo, s'erano guadagnati dei bei quattrini ma non abbastanza viste le aspettative) Star Trek ha continuato a marciare con diversi attori e serie televisive, ambientate in un'epoca differente dello stesso universo narrativo. Ma alla fine il mondo di Star Trek era diventato noioso e ripetitivo anche per i fan più duri a morire. Così l'ultima serie TV ha avuto fine e c'è stata una pausa di riflessione.
Questo nuovo Star Trek (uscito l'anno scorso) ripropone i vecchi personaggi con facce nuove, anziché cercare di utilizzare quelli delle serie televisive più recenti. In pratica un nuovo inizio, un "reboot" della serie, come si suol dire. La formula che doveva ravvivare Star Trek è, secondo gli sceneggiatori e il regista, un cambio di "tempo", insomma un ritmo più moderno di quello che caratterizzava questa serie ai bei tempi andati. Queste le dichiarazioni negli extra del DVD che ho visto. Altra affermazione, con cui sono decisamente d'accordo, è che era ora di poter fare spettacolo avendo i mezzi per poterlo fare. Anche io che non amo la serie originale devo ammettere che i suoi creatori facevano miracoli con pochissimi quattrini a disposizione.
Il nuovo film quindi ha molta azione, un ritmo narrativo sostenuto, effetti speciali in abbondanza anche se si è cercato di limitare dove possibile l'uso degli effetti speciali e dello "schermo verde" proprio perché obbliga l'attore a recitare nel nulla dovendo interagire con qualcosa creato in seguito dalla computer grafica. Si è preferito un aspetto realistico, dove possibile.
Gli attori sono stati scelti anche per la somiglianza a quelli della serie originale, somiglianza che comunque non è poi così estrema. E' stata data loro la possibilità di adottare qualcuno a scelta dei manierismi e delle caratteristiche dei vecchi personaggi, e allo stesso tempo di sviluppare un proprio modo di interpretarli. Se devo essere sincero Chris Pine nel ruolo del Capitano Kirk mi è sembrato meglio di William Shatner. Migliore il personaggio (vivace e giovanile), migliore la prestanza dell'attore. Il vulcaniano Spock è interpretato da Zachary Quinto (attore mezzo italiano e mezzo irlandese) che pur con il vantaggio di avere la consulenza di Leonard Nimoy (l'originale, che compare anche nel film) non mi sembra un sostituto abbastanza efficace. Scott e McCoy sono stati sostituiti degnamente a mio parere (l'originale Dr McCoy mi era davvero antipatico e qui ogni cambiamento per me può essere solo un passo avanti). Lo stesso potrei dire di Sulu e Chekov (simpatico Anton Yelchin nel ruolo del giovanissimo navigatore russo). Dopo aver visto Zoe Saldana in Avatar ovviamente mi è sembrata poco sfruttata qui nel ruolo di Uhura; mi pare anche poco adatta, a dir la verità. Forse non ha la stessa presenza scenica. Non che Uhura facesse moltissimo nella serie originale, a dire il vero, ma in qualche modo la ricordo come un personaggio importante.
Il cattivo di turno è un Romulano, Nero, interpretato da Eric Bana. Un attore che mi piace e che ha dato al film una delle migliori performance. Nero vuole vendicarsi per qualcosa che è successo.... nel futuro. Il che potrebbe essere un buon metodo per creare il "reboot" di una serie, visto che alterando il passato si crea una linea di eventi alternativa. Qui però iniziano i problemi che il sottoscritto ha con la serie di Star Trek in generale: lasciando perdere la trama per non creare anticipazioni, abbiamo viaggi nel tempo (originati dal finire dentro un buco nero, come se fosse l'esito più probabile), la possibilità di distruggere interi pianeti usando buchi neri artificiali, personaggi che incontrano... sé stessi.
C'è chi dice che l'universo di Star Trek è coerente nel suo uso della tecnologia, pur inventando quello che gli serve (in fondo è fantascienza). Io penso che si inventino quello che vogliono a onta di qualsiasi verosimiglianza e ragionevolezza, per questo mi è sempre sembrato un universo di cartapesta. Al punto che non vale nemmeno la pena di ragionare sulla logica della trama, tanto al momento giusto viene sempre inventato qualcosa che risolve le situazioni. Di sicuro Star Trek non sarà mai la mia religione.
Detto questo, il film tutto sommato riesce a essere quello che i produttori volevano che fosse: sempre Star Trek, ma con più brio e in grande stile e spettacolarità. Il successo al botteghino non è mancato e anche io non posso dire che mi sia spiaciuto vederlo. Spero solo che adesso non ne facciano un'altra dozzina a scapito di qualche idea fresca.
Una divertente presa in giro (o forse dovrei dire una critica feroce) di Star Trek da parte di Ron Moore (Battlestar Galactica). Pagina in inglese purtroppo.
giovedì 13 maggio 2010
Miéville, Tolkien e il fantasy conservatore
La polemica (sterile?) sulla natura conservatrice del fantasy l'avevo affrontata in un post passato, giungendo fondamentalmente alla conclusione (abbastanza condivisa) che per quanto di fantasy conservatore ne esista parecchio, non tutto è così, e comunque il fantasy non è "vincolato" ad essere conservatore.
Lo nota anche, in una intervista che ho letto sul web in inglese, China Miéville, che parla proprio del legame tra fantastico e ideali rivoluzionari. Miéville, che parla di sé come di un attivista politico oltre che di uno scrittore, non pretende di essere un autore impegnato. O meglio... I significati si possono trovare, se si vuole, nelle sue opere. Ma non sono mai schiaffati in prima fila ad occupare tutto il palcoscenico. Atteggiamento lodevole e che qualche italiano dovrebbe imitare, forse.
Tra gli autori progressisti o rivoluzionari cita Gene Wolfe, Ursula LeGuin, Michael Moorcock; si chiede addirittura se il fantastico non si presti, anziché a far da portavoce a idee conservatrici, a creare un'estetica sovversiva o radicale.
Saltando le opinioni sul rapporto tra marxismo e fantastico (sono interessanti, anche se non avete una grande opinione del marxismo, ma non posso tradurre tutto quanto qui...) andiamo a leggere cosa pensa Miéville di Tolkien.
Il Signore degli Anelli di Tolkien è senza dubbio il libro fantasy più influente mai scritto... [Tolkien] più di quanto avessero fatto i precedenti scrittori ha inventato una storia complessa, una geografia, una lingua per il suo mondo immaginario, e ha adattato ad esso il suo stile narrativo... e fin qui sono tutti complimenti per l'autore del SdA almeno a mio modo di vedere, poi cominciano le critiche: la visione del mondo di Tolkien era decisamente campagnola, piccolo borghese, anti-modernista e conservatrice, settariamente cristiana e anti-intellettuale. Per citare Moorcock (...): "se la Contea è un giardino in un quartiere suburbano, Sauron (il malvagio signore oscuro) e i suoi seguaci sono quell'antico spauracchio dei borghesi, la folla: tifosi ignoranti che buttano le loro bottiglie di birra al di là della staccionata" insomma Tolkien spingerebbe in qualche modo il lettore verso la mentalità della classe più o meno privilegiata dei suoi tempi, che temeva il cambiamento e vedeva sempre il passato come un'età dell'oro.
Non sto a tradurre l'intera intervista dal momento che non sono un amante del plagio (il link è in fondo). E non so se Miéville, con il suo progressismo marxista sempre più simile a un ferrovecchio, in un mondo contemporaneo dove i cambiamenti non sono certo diretti verso il "sol dell'avvenire," sia davvero meno conservatore di Tolkien. Non posso dire di condividerlo, certi aspetti del suo punto di vista li ritengo proprio vecchiume. Salta all'occhio l'uso del termine "piccolo borghese," che nella società stravolta di oggi non vuol dire assolutamente nulla, ma ancora viene usato da una parte della sinistra come se fosse il peggiore degli insulti, la categoria umana più escrementizia che si possa trovare.
Però da parte mia devo ammettere una cosa: ritengo abbastanza inconcludente (per quanto ne so) la critica di Tolkien verso la modernità. Certi atteggiamenti anti-industriali e certe critiche contro il potere potrei anche condividerle. Ma mi danno l'idea di un rammarico senza alcuna indicazione di percorso alternativo (a questo punto la sinistra tradizionale in effetti ci fa una figura migliore, per quanto sia ormai improponibile).
Cosa dire della similitudine ideata da Michael Moorcock, nella citazione? Cattivella, senza dubbio. Bisognerebbe aver letto parecchio di Tolkien per poter dire se ha ragione, io mi astengo dal giudicare perché non lo conosco abbastanza.
Miéville ha da dire anche sul ruolo che il lieto fine avrebbe nello scrivere di Tolkien. Leggiamo:
Per lui la consolazione del lieto fine è fondamentale per il fantasy. Fa finta che avvenga per miracolo, che non ci si debba contare. Ma tale pretesa di casualità è un'idiozia, perché subito prima dice che "tutte le fiabe per essere complete devono avere il lieto fine, è la loro funzione primaria"(...) in Tolkien il lettore riceve l'idea consolatoria che i problemi di sistema sono dovuti ad agitatori esterni, e che la 'gente per bene,' contenta di come andavano le cose, alla fine avrà la meglio. Questo fantasy è come cibo di conforto letterario...
Trovo discutibile l'attribuzione di Miéville a Tolkien di una "necessità" del lieto fine. Miéville però cita proprio il saggio sulla fiaba di Tolkien, dove l'autore avrebbe sostenuto l'importanza della consolazione del lieto fine: personalmente non ho letto tutto il Tolkien narrativo e nemmeno il saggio citato (On Fairy Stories), ma non mi pare che Tolkien abbia razzolato esattamente come propone, per quanto non metta in dubbio che Miéville citi parole sue. Direi anzi che nemmeno il finale del SdA è veramente in tutto e per tutto un lieto fine. Intanto non dimentichiamo la tristezza per il sacrificio di Frodo; ma se c'è comunque la vittoria contro gli hooligans che buttano le bottiglie vuote nel giardino, vittoria importantissima perché altrimenti ogni ordine del mondo finirebbe (nella visione che Miéville attribuisce a T.), il mondo della Terra di Mezzo non ritorna certo quello di prima, con la contentezza della gente 'per bene'.
Mi piacerebbe sapere come la pensate. Vi ritrovate su questi punti della critica di Miéville?
Se poi volete leggere tutta l'intervista, eccola qui.
Lo nota anche, in una intervista che ho letto sul web in inglese, China Miéville, che parla proprio del legame tra fantastico e ideali rivoluzionari. Miéville, che parla di sé come di un attivista politico oltre che di uno scrittore, non pretende di essere un autore impegnato. O meglio... I significati si possono trovare, se si vuole, nelle sue opere. Ma non sono mai schiaffati in prima fila ad occupare tutto il palcoscenico. Atteggiamento lodevole e che qualche italiano dovrebbe imitare, forse.
Tra gli autori progressisti o rivoluzionari cita Gene Wolfe, Ursula LeGuin, Michael Moorcock; si chiede addirittura se il fantastico non si presti, anziché a far da portavoce a idee conservatrici, a creare un'estetica sovversiva o radicale.
Saltando le opinioni sul rapporto tra marxismo e fantastico (sono interessanti, anche se non avete una grande opinione del marxismo, ma non posso tradurre tutto quanto qui...) andiamo a leggere cosa pensa Miéville di Tolkien.
Il Signore degli Anelli di Tolkien è senza dubbio il libro fantasy più influente mai scritto... [Tolkien] più di quanto avessero fatto i precedenti scrittori ha inventato una storia complessa, una geografia, una lingua per il suo mondo immaginario, e ha adattato ad esso il suo stile narrativo... e fin qui sono tutti complimenti per l'autore del SdA almeno a mio modo di vedere, poi cominciano le critiche: la visione del mondo di Tolkien era decisamente campagnola, piccolo borghese, anti-modernista e conservatrice, settariamente cristiana e anti-intellettuale. Per citare Moorcock (...): "se la Contea è un giardino in un quartiere suburbano, Sauron (il malvagio signore oscuro) e i suoi seguaci sono quell'antico spauracchio dei borghesi, la folla: tifosi ignoranti che buttano le loro bottiglie di birra al di là della staccionata" insomma Tolkien spingerebbe in qualche modo il lettore verso la mentalità della classe più o meno privilegiata dei suoi tempi, che temeva il cambiamento e vedeva sempre il passato come un'età dell'oro.
Non sto a tradurre l'intera intervista dal momento che non sono un amante del plagio (il link è in fondo). E non so se Miéville, con il suo progressismo marxista sempre più simile a un ferrovecchio, in un mondo contemporaneo dove i cambiamenti non sono certo diretti verso il "sol dell'avvenire," sia davvero meno conservatore di Tolkien. Non posso dire di condividerlo, certi aspetti del suo punto di vista li ritengo proprio vecchiume. Salta all'occhio l'uso del termine "piccolo borghese," che nella società stravolta di oggi non vuol dire assolutamente nulla, ma ancora viene usato da una parte della sinistra come se fosse il peggiore degli insulti, la categoria umana più escrementizia che si possa trovare.
Però da parte mia devo ammettere una cosa: ritengo abbastanza inconcludente (per quanto ne so) la critica di Tolkien verso la modernità. Certi atteggiamenti anti-industriali e certe critiche contro il potere potrei anche condividerle. Ma mi danno l'idea di un rammarico senza alcuna indicazione di percorso alternativo (a questo punto la sinistra tradizionale in effetti ci fa una figura migliore, per quanto sia ormai improponibile).
Cosa dire della similitudine ideata da Michael Moorcock, nella citazione? Cattivella, senza dubbio. Bisognerebbe aver letto parecchio di Tolkien per poter dire se ha ragione, io mi astengo dal giudicare perché non lo conosco abbastanza.
Miéville ha da dire anche sul ruolo che il lieto fine avrebbe nello scrivere di Tolkien. Leggiamo:
Per lui la consolazione del lieto fine è fondamentale per il fantasy. Fa finta che avvenga per miracolo, che non ci si debba contare. Ma tale pretesa di casualità è un'idiozia, perché subito prima dice che "tutte le fiabe per essere complete devono avere il lieto fine, è la loro funzione primaria"(...) in Tolkien il lettore riceve l'idea consolatoria che i problemi di sistema sono dovuti ad agitatori esterni, e che la 'gente per bene,' contenta di come andavano le cose, alla fine avrà la meglio. Questo fantasy è come cibo di conforto letterario...
Trovo discutibile l'attribuzione di Miéville a Tolkien di una "necessità" del lieto fine. Miéville però cita proprio il saggio sulla fiaba di Tolkien, dove l'autore avrebbe sostenuto l'importanza della consolazione del lieto fine: personalmente non ho letto tutto il Tolkien narrativo e nemmeno il saggio citato (On Fairy Stories), ma non mi pare che Tolkien abbia razzolato esattamente come propone, per quanto non metta in dubbio che Miéville citi parole sue. Direi anzi che nemmeno il finale del SdA è veramente in tutto e per tutto un lieto fine. Intanto non dimentichiamo la tristezza per il sacrificio di Frodo; ma se c'è comunque la vittoria contro gli hooligans che buttano le bottiglie vuote nel giardino, vittoria importantissima perché altrimenti ogni ordine del mondo finirebbe (nella visione che Miéville attribuisce a T.), il mondo della Terra di Mezzo non ritorna certo quello di prima, con la contentezza della gente 'per bene'.
Mi piacerebbe sapere come la pensate. Vi ritrovate su questi punti della critica di Miéville?
Se poi volete leggere tutta l'intervista, eccola qui.
martedì 11 maggio 2010
Ricordiamo Frank Frazetta
Per un certo periodo se pensavo al fantasy pensavo alle sue immagini. E' stato tra i protagonisti di un'incredibile stagione creativa, dagli anni '60 agli '80. Eppure non ho mai saputo molto altro di questo artista.
In questi giorni lo perdiamo: il 10 maggio all'età di 82 anni Frank Frazetta, dopo aver purtroppo sofferto per molti problemi familiari e di salute, ci ha lasciato per un attacco cardiaco.
In questi giorni lo perdiamo: il 10 maggio all'età di 82 anni Frank Frazetta, dopo aver purtroppo sofferto per molti problemi familiari e di salute, ci ha lasciato per un attacco cardiaco.
venerdì 7 maggio 2010
Imperial 2030
Un gioco un po' diverso dal solito, dove viene rappresentata una situazione di conflitto abbastanza tradizionale ambientata in un prossimo futuro. Ci sono in ballo le grandi potenze, aggiornate al mondo globalizzato: India, Cina, Europa, Brasile, Russia, USA. La peculiarità è che in realtà si tratta di un gioco economico e le azioni militari, che consistono fondamentalmente nel prendere il controllo di mari e terre emerse non appartenenti alle grandi potenze, servono ad arricchire i giocatori che fanno la parte di investitori che agiscono dietro le quinte.
Le grandi potenze offrono i titoli del loro debito pubblico, che saranno più contesi ovviamente se il paese è prospero (ricco e capace di presidiare un vasto territorio). I giocatori muovono quelle potenze di cui sono i maggiori detentori del debito pubblico: pertanto il gioco si svolge prevalentemente nell'ambito del controllo finanziario di stati che vengono spietatamente spremuti per ricavarne ricchezza economica.
Anche gli eserciti, che costano e limitano la tassazione, vengono cinicamente mandati al macello se è arrivato il momento di mietere dopo quello di espandersi. E se un giocatore resta privo di nazioni da controllare non c'è alcun problema, diventa "banca svizzera" ed è molto più libero di muoversi a livello finanziario e speculativo (anzi, è una situazione preferibile, almeno per una parte del gioco, a quella di controllare una potenza: anche perché, contrariamente ai governanti argentini, qui il detentore del potere è obbligato a coprire l'interesse sul debito pubblico di tasca propria se il paese non ce la fa).
Un sistema molto semplice per far riflettere su come il denaro sia la forza che muove il mondo di oggi e sull'esistenza di interessi senza volto che si nascondono dietro lo schermo di leader mondiali e di nazioni. I fatti di questi giorni, ovvero la speculazione contro l'Euro che sta causando disordini e mietendo vittime umane negli scontri di Atene, possono del resto ben far riflettere su questo capitalismo senza patria.
Il gioco di cui sto parlando si chiama Imperial 2030 (basato sul precedente Imperial che non ho giocato) ed è stato pubblicato un anno fa. Progettista: Marc Gerdts. Non so nulla di lui, ma devo fargli i miei complimenti.
Le grandi potenze offrono i titoli del loro debito pubblico, che saranno più contesi ovviamente se il paese è prospero (ricco e capace di presidiare un vasto territorio). I giocatori muovono quelle potenze di cui sono i maggiori detentori del debito pubblico: pertanto il gioco si svolge prevalentemente nell'ambito del controllo finanziario di stati che vengono spietatamente spremuti per ricavarne ricchezza economica.
Anche gli eserciti, che costano e limitano la tassazione, vengono cinicamente mandati al macello se è arrivato il momento di mietere dopo quello di espandersi. E se un giocatore resta privo di nazioni da controllare non c'è alcun problema, diventa "banca svizzera" ed è molto più libero di muoversi a livello finanziario e speculativo (anzi, è una situazione preferibile, almeno per una parte del gioco, a quella di controllare una potenza: anche perché, contrariamente ai governanti argentini, qui il detentore del potere è obbligato a coprire l'interesse sul debito pubblico di tasca propria se il paese non ce la fa).
Un sistema molto semplice per far riflettere su come il denaro sia la forza che muove il mondo di oggi e sull'esistenza di interessi senza volto che si nascondono dietro lo schermo di leader mondiali e di nazioni. I fatti di questi giorni, ovvero la speculazione contro l'Euro che sta causando disordini e mietendo vittime umane negli scontri di Atene, possono del resto ben far riflettere su questo capitalismo senza patria.
Il gioco di cui sto parlando si chiama Imperial 2030 (basato sul precedente Imperial che non ho giocato) ed è stato pubblicato un anno fa. Progettista: Marc Gerdts. Non so nulla di lui, ma devo fargli i miei complimenti.