sabato 30 maggio 2009
Il Sentiero Oltre le Sfere
Questo libro mi ha incuriosito per le tematiche (ambientazione italiana nella Venezia rinascimentale, un misterioso segreto da indagare) e, ammetto, per via della gradevole copertina. Un ulteriore vantaggio è certamente la lunghezza ragionevole (potrebbe essere però il primo di una n-logia). Il prezzo grida vendetta al cielo ma è inutile tornare su questo discorso. Edito da Zerounoundici, Il Sentiero Oltre le Sfere è l'opera prima di Alessandro Nardin, un libro che si colloca a metà tra il romanzo storico e il fantastico.
Il sottoscritto ama molto la storia, il che diventa un problema quando i fatti e i personaggi principali vengono travisati (a meno che non ci si tuffi selvaggiamente nella storia alternativa dove tutto è permesso), ma qui abbiamo, salvo qualche comparsa di personaggi reali come l'attore Ruzante, una storia che corre dietro le quinte, immaginando una spedizione non autorizzata che avrebbe dovuto cercare nuove opportunità per la Repubblica di Venezia nel profondo dell'Africa.
La spedizione finisce male, in una città misteriosa e incomprensibile, dove malattie e follia costringono i Veneziani a un precipitoso ritorno in patria senza nemmeno aver capito con cosa davvero hanno avuto a che fare. Pochi sopravviveranno: ma questo è solo l'antefatto, perché anni dopo c'è ancora chi vuole scoprire qualcosa da quell'esperienza, e chi vuole coprire la responsabilità di aver intrapreso una spedizione che il potentissimo Consiglio dei Dieci non aveva autorizzato.
Attori della tragedia saranno il nobile Brandolini (che ha il suo feudo in Valmarena, nella zona di Treviso), un capitano di mercenari che è stato suo amico da lungo tempo, Giovanni Nerclavis, i suoi uomini in parte italiani e in parte lanzichenecchi tedeschi (e alcuni tra questi soldati fanno una buona parata di personaggi secondari), il medico Gabrieli, personaggio ripugnante disprezzato da tutti.
Con la morte di alcune persone che avrebbero potuto chiarire il mistero, si capisce che in Valmarena qualcuno ha parecchio da nascondere. E che esiste un'altra posta in gioco oltre all'occultamento delle proprie responsabilità: la possibilità di indagare quel misterioso mondo che si era intuito nella spedizione, e di seguire un cammino nuovo, un Sentiero oltre le Sfere.
Questa in due parole, necessariamente semplificate, la trama. Di questo libro ho abbastanza apprezzato l'immersione nei riferimenti storici generalmente ben riuscita (fa capolino il Sistema Metrico decimale, ahimé, e questo in un fantasy si può perdonare di più, perché si può immaginare che tutto sia "tradotto," ma in un romanzo storico è un errore più sensibile). I fatti s'intercalano a pensieri e azioni che ci permettono di seguire la vita e le tribolazioni di diversi personaggi, generalmente ben disegnati e caratterizzati: con alcuni momenti di profondità che sono il punto forte del libro.
Della prosa dell'autore posso dire che dimostra grandissime capacità nell'uso della parola e nelle sfumature espressive, è un gran peccato che spesso esageri sconfinando nell'esibizionismo e nel dialogo implausibile, talvolta anche a scapito della leggibilità. Questo non faccia pensare però che ci troviamo di fronte a un libro noioso o poco agile: tutto sommato scorre abbastanza alla svelta e lo considero una buona lettura, forse più attinente al mistero e al fantastico che al fantasy propriamente detto.
Questo esordio mi pare promettente: ve lo consiglio. Se poi lo mettiamo a confronto con certa produzione italiana che ultimamente passa per fantasy, il dislivello è immenso.
giovedì 28 maggio 2009
Twilight, spoilerato a sangue
Alla fine me lo sono visto. Non è che abbia da parlarne tantissimo in verità, anche perché ho passato l'età in cui certe storielle d'amore giovaniliste ti potrebbero ammaliare, o farti sentire obbligato a dire oddio che schifo.
Noiosetta, ma sapevo che doveva esserci, la parte iniziale in cui Bella arriva al nuovo paesino e alla nuova scuola, conosce i compagni, ovvero l'elite dei figaccioni-vampiri che snobbano tutti quanti, e il gruppo di sfigati irrimediabili con cui potrebbe mescolarsi ma non le va. L'estetica da videoclip, i sottofondi musicali ecc...
Ma tutta la tragedia dell'essere vampiro (dico io, ve lo ricordate per esempio Intervista col vampiro?) si perde con Edward e "famiglia," che non hanno praticamente dei veri svantaggi nella condizione, anzi se la passano alla grande, campano in eterno e sono maledettamente cool. Quanto alla fame, al non sentirsi soddisfatti perché hanno deciso di bere solo sangue di animali, direi che non è poi quel gran problema rispetto ai vantaggi; anzi in verità non capisco perché i vampiri dovrebbero trattenere i loro appetiti, visto che un sacco di gente (io per primo) ci farebbe la firma a diventare come loro, e quindi per farsi vampirizzare si formerebbe una fila che manco allo sportello delle poste il giorno in cui si ritira la pensione.
Trama... vediamo un po'. Per scoprire la vera natura di quel ragazzo tenebroso a Bella basterà un libro e qualche ricerca su google. Sopravvoliamo.
L'arrivo dei vampiri cattivi sembra praticamente solo un pretesto per far succedere qualcosa di drammatico. Ma le situazioni a tinte forti comunque sono molto edulcorate in questo film, con il nostro Edward che va in camera di Bella e la sbaciucchia solo per farci vedere che si sa trattenere senza andare oltre (niente scene di sesso, insomma, neanche implicite), o la morte di James il vampiro cattivo che viene mostrata sullo sfondo senza troppi sbudellamenti. Non c'è nulla di male se uno spettacolo è castigato, per carità.
Ovviamente si pone il dilemma (nell'ultima scena) di cosa dovrà fare Bella: vivere una vita da umana con il suo amato Edward che rimarrà giovane e la vedrà morire, oppure morire e diventare una vampira e non-vivere questo amore da non-morta con lui. Edward dice "non sai di cosa si tratta" col tono di chi la sa lunga e lei per il momento rinuncia. La mia opinione in merito ai pro e contro l'ho già espressa e non sto a ripeterla: la scena m'è parsa un po' ridicola.
Insomma una storiella all'acqua di rose di vampiri politicamente corretti (non voglio estendere il giudizio anche al libro senza averlo letto, ma ho un brutto presentimento, ovvero che non lo leggerò per niente al mondo). Twilight non mi è in verità nemmeno dispiaciuto, ma come film è abbastanza insignificante, al confronto sembra un capolavoro perfino il mediocre I Guardiani del Giorno, se proprio di vampiri vogliamo parlare. Non ci sarebbe neanche da discuterne in ambito fantasy (oppure horror o fantastico che dir si voglia) perché l'elemento sovrannaturale è presente poco più che per modo di dire.
E' un film su una storia d'amore, per ragazzi. Ai miei tempi c'erano delle cretinate colossali (Laguna Blu, Paradise) dove dei giovanissimi si ritrovavano in qualche paesaggio da sogno a vivere come selvaggi nell'idillio perfetto (o quasi) con la natura, e ovviamente erano un maschietto e una femminuccia e se la spassavano alla grande. Oggi ai ragazzi rifilano questo finto drammone con personaggi emaciati che "riescono a trattenersi." Eh be', siamo in tempo di crisi.
domenica 24 maggio 2009
Dubbi amletici
Mi informavo sul nuovo libro di John Marco dove la magia (per quanto in forma rarefatta) si incontra con dirigibili e macchine a vapore, polvere da sparo e chi più ne ha più ne metta.
Ripenso anche a Perdido Street Station, il fantasmagorico libro di Miéville dove si scontrano direttamente (in qualche scena) personaggi che usano incantesimi contro avversari dotati di fucili.
O agli incantesimi di Luk'janenko nella Mosca contemporanea.
Sembra che quando si esce dall'Epic Fantasy, che vuole (in genere) un ruvido e magari cupo medioevo come sottofondo, si scivoli facilmente nelle tentazioni Steampunk o Urban Fantasy. O più semplicemente, senza scomodare paroloni e sottogeneri: c'è una gran voglia di fondere il fantastico con la modernità (o una quasi-modernità).
Ho sempre una gran paura (quando scrivo) nel mescolare magia e tecnologia, anche se leggere scene dove ciò si verifica di solito non mi mette in difficoltà. Ma un'ambientazione dove convive il mago con il cappello a punta (per esagerare) con l'esperto di computer o l'aviatore dev'essere ben fatta davvero per funzionare.
O sono soltanto delle paranoie tutte mie?
L'illustrazione di questo articolo è di Francesca Resta
martedì 19 maggio 2009
Il mio BeBook
Dal momento che prima o poi lo avrei comprato, ho fatto bene a prenderlo alla Fiera del Libro di Torino, approfittando così del prezzo speciale valido per il periodo della Fiera, uno sconto che mi ha quindi ripagato la benzina consumata per arrivare fin lì.
Per le caratteristiche tecniche dei lettori rimando senz'altro a Simplicissimus.it, qui farò le mie considerazioni personali.
I modelli che ho visto a Torino sono quelli che si possono rimediare più facilmente (quelli commercializzati da Simplicissimus), personalmente inoltre ero interessato al Sony PRS700 che è touch screen, ma costicchia e non è importato in Italia (ovviamente con un minimo impegno immagino che sia possibile farlo arrivare, ma alla fine ho deciso di limitarmi a ciò che posso toccare con mano (la Sony ha anche il problema dei formati proprietari, come anche il famoso Kindle di Amazon, che spero non abbia successo né in Italia dove per ora non è distribuito, né altrove).
La mia paura con questi congegni, prima di vederli e toccarli, era quella di perdermi, di non avere la visione d'insieme di ciò che sto leggendo. Quindi mi rassicura la buona navigabilità e lo schermo grande (non avendo certo voglia di leggere una grossa pagina PDF su uno schermo piccolo, agendo di continuo sulle barre di scorrimento). Va detto che una buona parte di ciò che si può trovare in rete è impaginato in modo da essere compatibile con i lettori dallo schermo piccolo, e comunque si possono quasi sempre convertire (mi è stato detto) anche le pagine grosse in formato PDF. Cosa accadrà alle grosse immagini in quei casi, non saprei.
Comunque sia quando ho tenuto in mano i lettori di dimensioni più grandi mi sono reso conto di un problema che avevo sottovalutato fino a quel momento: il peso. I vari iLiad e iRex DR1000 (quest'ultimo con ben 10 pollici di schermo) pesano come un bel librone a copertina rigida, e il loro peso m'è parso ancor più sensibile per le dimensioni compatte dei lettori (tutti di spessore ridotto). Di solito leggo comodamente sdraiato con il libro appoggiato sul letto o sul divano, quindi non ho bisogno di reggerli in mano (e per fortuna non devo andare al lavoro sui mezzi pubblici, ma questo potrebbe cambiare in ogni momento) però i "grandi" mi hanno dato l'impressione di essere poco maneggevoli oltre che ingombranti come dimensioni. Immagino che sia troppo pretendere che siano leggeri come una rivista e che li si possa allo stesso modo arrotolare e mettere via. Il dilemma dello schermo in verità non lo so risolvere. Voglio lo schermo piccolo per avere un oggetto poco ingombrante, però vorrei lo schermo grande e tutto il resto quando necessario. Alla fine ho preferito i modelli più piccoli e semplici (e tra i due alla fine ho scelto il Bebook, che non era comunque molto diverso dal Cybook). La foto è presa a prestito dal sito di Simplicissimus.
Ho quindi rinunciato a connessione wireless e alla possibilità di scrivere sullo schermo, ma il requisisto fondamentale (la buona leggibilità) era garantito anche dai modelli di piccole dimensioni.
Un altro motivo che mi ha spinto ad andare al risparmio è che questo acquisto potrebbe essere provvisorio, nel senso che il mercato dei lettori di ebook comincia a muoversi e qualcosa mi dice che i progressi tecnici (finora non esaltanti) potrebbero velocizzarsi. Tra un paio di anni potrebbe esserci sul mercato un modello molto migliore di quelli esistenti oggi, e io potrei essere molto più consapevole, dopo aver sperimentato questo primo acquisto, di quello che voglio da un lettore di ebook.
Tanto vale allora (mia opinione personale) lanciarsi subito ma non spenderci una fortuna, perché anche i prezzi potrebbero calare di qualcosa.
Quanto alla leggibilità, è sufficientemente buona. Lo schermo non è esente da riflessi ma pur avendo la lampada direttamente sopra la testa non ho faticato a trovare un'angolazione che fosse al sicuro da questo problema. Il contrasto dello schermo è abbastanza buono per non affaticare la vista, certo se fosse un po' più chiaro, preferirei. I tempi di cambio pagina sinceramente non mi preoccupavano, aspettare un secondo in più o in meno non lo giudico un problema, comunque sono buoni. C'è stato da litigare con i formati e gli zoom, non ho trovato al primo colpo la formula migliore per leggere i libri che ho visto, qualcuno era in formati a me inaccessibili, ma alla fine è andata quasi sempre bene. Evitando per ora di parlare delle conseguenze più o meno buone che la "pirateria" bibliofila potrebbe avere sul mercato (sono già passato su questo discorso e conto di tornarci), sicuramente c'è tutto un mondo di libri da pescare dalla rete, con copyright scaduto e non: il lettore avido potrebbe ripagarsi il prezzo del lettore molto alla svelta.
Il Bebook ha qualche problema inatteso, ad esempio per cancellare un file bisogna farlo con il lettore collegato al computer, e non legge i libri protetti da DRM (il codice che, come nei film scaricati a pagamento, garantisce l'accesso solo al pagante), ma tutto sommato l'ho trovato di facile utilizzo, per una persona che abbia una media dimestichezza con il computer.
In conclusione con tutti i timori che vi ho riassunto e i limiti dell'aggeggio, la prima impressione è positiva. Per chi non è nababbo, ripeto il consiglio di aspettare un po' prima di acquistare uno dei modelli con le funzioni più avanzate.
venerdì 15 maggio 2009
Fiera del Libro di Torino
Credo che sia la prima e ultima volta che vado alla Fiera del Libro di Torino. In buona parte la colpa del disastro è mia perché speravo di fare "una puntata rapida" (e poi occuparmi di altri impegni a Milano) e questo viaggio l'ho preso sottogamba: errore che ha scatenato tutta una serie di conseguenze. Per prima cosa, la breve spruzzata di pioggia su Milano poco dopo le 7 non ha smosso il mio ottimismo, forse se avessi guardato le previsioni del tempo sarei rimasto a casa. Di fatto ha piovuto ininterrottamente e a tratti con violenza, salvo una pausa quando ero a Torino città. La pioggia si sente poco nel tratto ammodernato della A4, ma sul tracciato vecchio l'asfalto diventa viscido e si sollevano nuvole di acqua, col risultato che a tratti si viaggia praticamente alla cieca. A peggiorare le cose, anche in quei frangenti i TIR si proponevano sbarazzini in terza corsia (ok, ne ho visto solo uno, però l'ho visto).
All'arrivo in città il mio navigatore aveva perso la via di destinazione (come caspita avrà fatto?) e anziché confessarmi questa mancanza mi ha condotto in centro, sperando di farmi cosa grata. Oddio, ho potuto vedere qualche bella panoramica della città, e rivedere il mio antico giudizio su Torino città brutta, che era davvero ingeneroso.
Però è stata una gran perdita di tempo e ne avevo poco. E già che ci siamo, facciamo un po' di marketing virale al contrario. Il satellitare della LG modello LN700, da me scelto perché aveva un grosso video e il touch screen (e un prezzo modico) purtroppo fa veramente schifo. Non so se è colpa del software o di cos'altro, ma per me sono stati soldi spesi male.
Al Lingotto le cose non sono migliorate. Complice la segnaletica disastrosa è stato difficile sia parcheggiare che entrare (avendo il biglietto già fatto su internet!). Sia chiaro che io sono piuttosto imbranato e facile a perdermi, in questo caso il mio giudizio è però avvalorato dall'aver incontrato diversa gente che vagava smarrita come me. Il personale era poco amichevole (diciamo che aveva verso il visitatore un atteggiamento di annoiata sufficienza, ma trattando solo con tre o quattro impiegati ho una visione parziale) e soprattutto due volte su due mi ha dato indicazioni a vanvera. Alla fine mi sono trovato dentro senza che nessuno avesse vidimato il mio biglietto, dal momento che non sono rimasto molto a lungo (avendo, come dicevo all'inizio, sbagliato le mie previsioni e poi perso un sacco di tempo in inconvenienti) avrei potuto tranquillamente regalarlo o rivenderlo a un'altra persona.
Una breve parentesi sulla torma di rompipalle, per lo più donne, che cercavano di rifilarti in mano non so cosa come pretesto per farti fare un'offerta, o un acquisto, o che so io. Insistenti, maleducati e mettevano le mani addosso, non so se una Fiera a livello internazionale si possa davvero permettere presenze del genere all'interno.
Quando ho cercato di allontanare un'arpia di quest'orda dicendole di non insistere, si è sentita perfino legittimata a farmi un cazziatone. Incredibile.
Altra cosa inquietante, erano donne anche la maggioranza dei visitatori (a occhio direi con una superiorità notevole). Non ho niente in contrario al fatto che le donne leggano. Mi dà un po' di fastidio il fatto che non lo facciano gli uomini.
Per rispondere ai dubbi di Illoca (nel recente post): cosa va a fare uno a una Fiera del Libro? A trovare le rarità proprio no, non è occasione adatta, non c'erano stand dell'usato (ho visto in uno stand dei libri che sembravano antichi, ma se lo fossero veramente, proprio non saprei).
Piuttosto si va a vedere le novità e, per chi non ha ancora imparato a comprare su internet, i libri della case editrici piccole, che non raggiungono mai la libreria di quartiere.
Le mie missioni da compiere erano le seguenti:
1) fare una visita allo stand Delos
2) trovare lo stand Asengard e comprare il libro Zeferina, così finalmente so anche io perché è tanto tenuto in considerazione nel (piccolo) mondo del fantasy italiano.
3) trovare lo stand di Simplicissimus e guardare gli ebook reader.
4) proporre il manoscritto del mio romanzo a case editrici interessate.
Visto che ero troppo di malumore per compiere la missione n. 4 (i manoscritti che mi portavo dietro sono ritornati a Milano con me, non ero certo nello spirito giusto per le public relations), ho trovato lo stand della Delos ma era sotto assedio da parte dei visitatori. Non avendo libri da comprare (volevo solo vedere se c'era qualcuno dei redattori di Fantasy Magazine per fare quattro chiacchiere, visto che a parte scambiare messaggi via email non li ho ancora visti "dal vivo") mi sono ripromesso di ripassare dopo, e poi non ho avuto tempo.
La missione n. 2 è fallita. O sono imbranato io, o la Asengard non c'era, o era sbagliato il codice dello stand che cercavo. Chi lo sa? Del resto chi se ne frega, durante le mie ricerche sono andato a elemosinare un buono sconto da IBS.IT e quindi Zeferina me lo comprerò in rete. Quanto alla missione n.3 è stata compiuta, diciamo: io sono riuscito a trovare lo stand di Simplicissimus, e loro sono riusciti a rifilarmi il Bebook Reader, che pure essendo uno dei lettori più economici è comunque un salasso. Domani lo metto sotto carica, ne riparleremo presto.
C'erano interviste e incontri degli scrittori con il pubblico ma non ho trovato eventi di particolare interesse nel breve tempo che sono stato là. C'erano anche animazioni, giochi per ragazzi ecc... (vedi foto qua sotto)
Il viaggio di ritorno è stato lungo e pesante (code al rientro a Milano, che novità...) ed è stata lunga perfino uscire da Torino guidato dal malefico satellitare con le mappe non aggiornate, e qui è colpa mia. C'erano sensi di marcia cambiati e lavori in corso non previsti dal marchingegno. Per puro caso, nel mio faticoso vagare sono passato di fianco al murales dedicato alle vittime della Thyssen-Krupp, e mi sono fermato a rendere omaggio a questo drammatico memoriale.
Devo riflettere sulla domanda che Illoca si era posto e io no: uno come me che ha una lunga coda di lettura e quindi al momento è interessato a un unico libro, e che per giunta preferisce l'acquisto online alla libreria, cosa va a fare alla Fiera del Libro di Torino?
Non moltissimo, è vero!
Comunque a parte i miei motivi o mancanza dei medesimi, e le mie disavventure con la viabilità, mi è sembrato "obiettivamente" che il posto non sia ben raggiungibile, con collegamenti facili e veloci, e questo lo giudico un difetto sostanziale (è anche vero che ci sono dei lavori in corso nella zona e dovrebbe arrivare la metropolitana, se non sbaglio). Ad ogni modo ciascuno giudichi per sé.
giovedì 14 maggio 2009
Ce la farà il nostro eroe...
... ad andare alla Fiera del Libro di Torino? A scapito di condizioni meteo, lavoro, auto che deve fare il tagliando e altre scalogne? Lo saprete nei prossimi giorni...
lunedì 11 maggio 2009
A che servono i pareri degli altri?
Tanti ne hanno parlato in blog e forum. Chi deve comprare un libro come fa, se non vuole andare a scatola chiusa? Può affidarsi alla fama dell'autore, a volte: al fatto che un certo titolo è conosciuto da tutti. Può sbirciare qualche pagina, se va in una libreria fisica e trova il libro che va cercando.
Se autore e titolo non sono estremamente conosciuti, non si può far altro che affidarsi ai pareri degli altri. Io ho imparato col tempo ad affinare la mia arte dell'annusare i pareri e le recensioni. Quando mi affidavo a un singolo parere o al massimo due mi sono comprato libri che magari vanno per la maggiore ma non vanno bene per me (ad esempio, quelli di George Martin e Robert Jordan). Allora ho imparato a usare meglio internet, questo strumento che ho sempre per le mani ma da cui forse non so trarre il massimo, e ho cominciato a vedere cosa ne pensano i lettori sui forum e nei siti dei venditori, oppure i blogger, o i siti come Anobii.
Una cosa un po' imbarazzante, ma devo dirla. I critici, quelli veri (e qui non parlo solo di fantasy, che è il genere che leggo di più, ma in generale), non sono sempre affidabili per un parere che mi faccia capire se un certo libro toccherà i miei gusti. Può succedere che, per motivi magari al di là della mia comprensione (ma non ultimo per motivi commerciali, beninteso!) giudichino celestiale roba che per me sarà incomprensibile, bruttissima o addirittura illeggibile.
I "giudizi dei lettori" che troviamo sui siti come IBS servono anche di meno. Spesso li ha scritti l'autore stesso (se parliamo di mercato nazionale e di moderata diffusione, ovviamente), oppure, temo, compaiono per volontà della casa editrice. Del resto tutti ormai hanno imparato a fare il marketing virale, no?
Anche tanti post del tipo: "secondo me questo libro è bellissimo" che compaiono sui forum, dove l'autore del post è comparso massimo una quindicina di volte e di solito per lanciare messaggi del genere, sono un po' sospetti.
Il singolo parere (che sia espresso da un amico in carne ed ossa o da personaggi virtuali ma con cui corrispondiamo da un po' e di cui ci fidiamo) può essere valido ma anche fuorviante. I gusti delle persone non coincidono al cento per cento. Un libro che può aver cambiato la vita al tuo amico che più o meno legge quello che leggi tu, per te può essere fastidioso e insignificante.
Non resta che annusare un po' in giro, avendo il tempo per farlo. E qui arriva l'utilità di posti come questo. Nel senso che così come io seguo i blog e imparo qualcosa sui gusti del blogger, viceversa il lettore che mi ha seguito per un po' saprà come la penso e una mia recensione potrà essere un indizio che lo metterà sulla strada giusta.
I pareri dei forum contengono un concentrato di opinioni, espresse da tanti accaniti lettori, di cui puoi cominciare a conoscere i gusti se sei uno che frequenta abitualmente.
In definitiva, su diversi libri la mia decisione di leggere o di rinunciare viene dal "consenso generale" delle opinioni che reputo autorevoli, o affini alla mia. Non esistendo un metodo oggettivo per dire che un libro è bello o brutto, è il massimo che si può fare.
La scoperta di Luk'janenko e Neil Gaiman, autori verso cui ero sospettoso per i temi trattati, la devo ai pareri raccolti in rete. A furia di leggere opinioni più o meno entusiaste, ma sempre improntate all'interesse e al rispetto verso l'autore, mi sono deciso a leggere Perdido Street Station di China Miéville.
L'opinione generalmente positiva o a volte entusiasta che ho raccolto in giro mi ha convinto a leggere Ursula LeGuin, un'autrice dei classici che avevo saltato a suo tempo, e probabilmente mi porterà a leggere Erikson.
E l'opinione che mi ero fatto sui libri di Licia Troisi me la sono voluta confermare leggendo Nihal della Terra del Vento, ma sapevo già che probabilmente non mi sarebbe piaciuto, e in effetti non mi ha detto un gran che.
Ringraziamo internet, quindi. E spero di poter confermare la fiducia in questo mezzo quando avrò trovato il tempo di leggere Pan di Francesco Dimitri...
Se autore e titolo non sono estremamente conosciuti, non si può far altro che affidarsi ai pareri degli altri. Io ho imparato col tempo ad affinare la mia arte dell'annusare i pareri e le recensioni. Quando mi affidavo a un singolo parere o al massimo due mi sono comprato libri che magari vanno per la maggiore ma non vanno bene per me (ad esempio, quelli di George Martin e Robert Jordan). Allora ho imparato a usare meglio internet, questo strumento che ho sempre per le mani ma da cui forse non so trarre il massimo, e ho cominciato a vedere cosa ne pensano i lettori sui forum e nei siti dei venditori, oppure i blogger, o i siti come Anobii.
Una cosa un po' imbarazzante, ma devo dirla. I critici, quelli veri (e qui non parlo solo di fantasy, che è il genere che leggo di più, ma in generale), non sono sempre affidabili per un parere che mi faccia capire se un certo libro toccherà i miei gusti. Può succedere che, per motivi magari al di là della mia comprensione (ma non ultimo per motivi commerciali, beninteso!) giudichino celestiale roba che per me sarà incomprensibile, bruttissima o addirittura illeggibile.
I "giudizi dei lettori" che troviamo sui siti come IBS servono anche di meno. Spesso li ha scritti l'autore stesso (se parliamo di mercato nazionale e di moderata diffusione, ovviamente), oppure, temo, compaiono per volontà della casa editrice. Del resto tutti ormai hanno imparato a fare il marketing virale, no?
Anche tanti post del tipo: "secondo me questo libro è bellissimo" che compaiono sui forum, dove l'autore del post è comparso massimo una quindicina di volte e di solito per lanciare messaggi del genere, sono un po' sospetti.
Il singolo parere (che sia espresso da un amico in carne ed ossa o da personaggi virtuali ma con cui corrispondiamo da un po' e di cui ci fidiamo) può essere valido ma anche fuorviante. I gusti delle persone non coincidono al cento per cento. Un libro che può aver cambiato la vita al tuo amico che più o meno legge quello che leggi tu, per te può essere fastidioso e insignificante.
Non resta che annusare un po' in giro, avendo il tempo per farlo. E qui arriva l'utilità di posti come questo. Nel senso che così come io seguo i blog e imparo qualcosa sui gusti del blogger, viceversa il lettore che mi ha seguito per un po' saprà come la penso e una mia recensione potrà essere un indizio che lo metterà sulla strada giusta.
I pareri dei forum contengono un concentrato di opinioni, espresse da tanti accaniti lettori, di cui puoi cominciare a conoscere i gusti se sei uno che frequenta abitualmente.
In definitiva, su diversi libri la mia decisione di leggere o di rinunciare viene dal "consenso generale" delle opinioni che reputo autorevoli, o affini alla mia. Non esistendo un metodo oggettivo per dire che un libro è bello o brutto, è il massimo che si può fare.
La scoperta di Luk'janenko e Neil Gaiman, autori verso cui ero sospettoso per i temi trattati, la devo ai pareri raccolti in rete. A furia di leggere opinioni più o meno entusiaste, ma sempre improntate all'interesse e al rispetto verso l'autore, mi sono deciso a leggere Perdido Street Station di China Miéville.
L'opinione generalmente positiva o a volte entusiasta che ho raccolto in giro mi ha convinto a leggere Ursula LeGuin, un'autrice dei classici che avevo saltato a suo tempo, e probabilmente mi porterà a leggere Erikson.
E l'opinione che mi ero fatto sui libri di Licia Troisi me la sono voluta confermare leggendo Nihal della Terra del Vento, ma sapevo già che probabilmente non mi sarebbe piaciuto, e in effetti non mi ha detto un gran che.
Ringraziamo internet, quindi. E spero di poter confermare la fiducia in questo mezzo quando avrò trovato il tempo di leggere Pan di Francesco Dimitri...
lunedì 4 maggio 2009
Perdido Street Station
E' stata una lettura faticosa, non breve, nonostante il testo fosse interessante; il mio giudizio è positivo ma non entusiasta, puntualizzo però che un libro come Perdido Street Station, capace di inghiottire il lettore in un mondo parallelo assorbendo completamente la sua immaginazione e la sua fantasia, è in ogni caso opera notevole: perciò liquidarlo con un semplice "è bello" o "è brutto" non ha senso. Ma procediamo... Dal momento l'ho letto in inglese le mie traduzioni delle varie trovate (creature, nomi strani ecc...) a volte forse saranno diverse da come le ha lette chi l'ha comprato in italiano. E per quello che posso capire (di libri in inglese ne ho letti ma non sono certo un madrelingua) la prosa di China Miéville è decisamente difficile, arzigogolata e barocca, quindi chi si è lamentato di questi difetti avendo letto il testo in italiano non se la prenda con il traduttore.
Mi si perdonerà un certo numero di anticipazioni della trama (cercherò di non esagerare).
Procedendo con ordine, ci troviamo in una specie di Londra corrotta e impura, dal nome di New Crobuzon, abitata da umani e da diverse razze senzienti più o meno umanoidi. Si tratta di una città-stato governata da qualcosa di molto simile, nei modi, a una dittatura sudamericana di quelle davvero cattive. All'esterno sembra non esserci un gran che ma, attraverso i fiumi che la attraversano, la città è ben collegata al resto del mondo con un intenso traffico navale. Perdido Street Station è tra i libri che ho letto di genere fantasy (o se vogliamo fantastico, new weird eccetera...) il primo ad avere una piantina dettagliata di una città con tanto di tracciato della ferrovia sopraelevata. Mentre ci sono alcune belle trovate, e il senso di disordine e sudiciume della città è reso molto bene, l'autore fa un tentativo esagerato di immergere il lettore nelle vie dando frequenti dettagli di toponomastica, specificando quello che i personaggi vedono e così via, e questo risulta parecchio tedioso a mio modesto parere: è come spendere 100 (dell'impegno che ci deve mettere il lettore) per ottenere 10 (in dettaglio dell'ambientazione e atmosfera).
In questa città si muove e lavora Isaac, scienziato brillante e anticonformista, che frequenta gli ambienti universitari per razziare il materiale utile al suo personale laboratorio (spazio che divide con altri due ricercatori di belle speranze), s'intrattiene con artisti e contestatori (tra cui Derkhan, che collabora con un giornale clandestino: davvero una cattiva idea a New Crobuzon), e se la spassa con Lin, che appartiene alla razza dei khepri, donne insetto i cui maschi sono in effetti dei semplici scarrafoni privi del dono del pensiero, mentre il corpo femminile è praticamente umano, ma sormontato da una testa a forma di insetto con tanto di zampe, occhi composti, mascelle, antenne eccetera. Le khepri non emettono voce ma comunicano con l'alfabeto dei gesti (e, tra loro, con un complesso sistema di emissioni chimiche). Va da sé che lo schifo di questa pensata mi ha lasciato a bocca aperta e non sono riuscito a riprendermi fino alla fine del libro. La cosa incredibile è che Lin riesce ad essere perfino un personaggio interessante.
Del resto gli Xeniani, ovvero gli umanoidi senzienti pullulano in città. Dai cactacei (umanoidi-cactus con tanto di spine, piuttosto violenti e ignoranti) ai vodyanoi (uomini pesce che ovviamente troveremo a lavorare nei porti) ai garuda, uomini uccello dotati di grandi ali.
Proprio un garuda, Yagharek, viene a sollecitare l'aiuto di Isaac. Ha commesso un grave reato dalla stranissima definizione: per via delle differenze razziali Isaac non riesce a capire cosa ha combinato (ne saprete di più - SPOILER! - alla fine del libro e se vi aspettate chissà cosa, sarete delusi). Come punizione, secondo le dure leggi della sua razza, a Yagharek le ali sono state amputate e così egli si trascina miserabile al suolo; poiché Isaac è un brillante scienziato, potrebbe rimetterlo in condizione di volare?
Isaac non vorrebbe saperne (d'altra parte, non ha idea di come fare) ma il garuda può offrirgli una quantità d'oro rilevante per risarcirlo del disturbo, così il nostro scienziato si mette all'opera: per prima cosa si rivolge a un esimio collega universitario (che in realtà odia a morte perché fa parte del sistema).
L'incontro con questo professore, Vermishank, ci mostra nel dettaglio un'altra brutta abitudine del potere di New Crobuzon: la creazione dei rifatti, ovvero delinquenti il cui corpo viene malamente modificato in maniera che la punizione si adatti al crimine commesso. In effetti questa tecnologia viene adoperata anche a fini utilitari e non solo come punizione; la cosa scioccante è che viene applicata su larga scala e spesso compiendo esperimenti aberranti per affinarne le tecniche.
Esistono anche i rifatti che lottano contro il sistema (usano quella terribile tecnologia contro il governo): il loro nome usa il gioco di parole fra REMADE e FREEMADE (rifatti - fatti liberi).
Comunque sia, Vermishank fa capire a Isaac (che pone le domande in maniera obliqua) che questa tecnologia non può realizzare un miracolo così perfetto come ridare il volo al garuda.
Pertanto Isaac compie una scelta sfortunatissima: incarica un suo contatto malavitoso di procurargli esemplari di esseri volanti (insetti, animali ecc...); egli pagherà bene per chi gli porterà i campioni da studiare per risolvere il problema del volo. La sfortuna sta nel fatto che a Isaac arriverà un essere che doveva assolutamente rimanere in contenimento, ed egli non saprà capirne la pericolosità.
Attraverso una serie di sfortunati eventi il nostro scienziato (che non è il prototipo dell'eroe, anzi, è un tizio grasso, irsuto e decisamente fuori forma) dovrà vedersela con criminali, polizia e mostri allucinanti. Devo dire che la parte migliore del libro è quella iniziale, per me: ho letto in giro per la rete (forum di Fantasy Magazine ad esempio) che altri si sono tormentati nella noia aspettando che si arrivasse finalmente all'azione, io mi sono interessato maggiormente alla vita quotidiana di Isaac e Lin e dei loro vari amici, mentre certi dettagli esasperanti di preparativi, incursioni e battaglie li ho trovati un po' pesanti (mi sarei aspettato il contrario, ma forse lo stile iper-descrittivo di Miéville mi ha rovinato un po' le sequenze di azione).
Il grosso peccato di questo libro è la complessità e la pesantezza di molte parti. In Perdido Street Station c'è di tutto, di più. Come se in nome del new weird l'autore si fosse sentito obbligato a prendere ogni possibile elemento del fantastico, fantasy, horror ecc... e farci vedere che è capace di mescolare tutto insieme: però questa miscela secondo me è un po' esagerata qua e là, e sicuramente sprecata.
Da una parte mi trovo un po' scettico sul risultato, a volte: per carità non sono per la spiegazione razionale di ogni frattaglia dell'ambientazione, fino a lasciare contento (o annoiato a morte) il lettore, però mi pare troppo facile l'accatastamento di elementi fantastici operato da Miéville. Quartieri di donne dalla testa a scarafaggio. Uomini pesce, uomini uccello, uomini cactus, tecnologia steampunk (addirittura informatica! e qui evito di aprire un altro tema a mio parere discutibile come quello del Costrutto artificiale intelligente), un inventore (Isaac) che ti trova una fantomatica "Energia Crisi" e riesce a usarla, esseri transdimensionali, religioni e sette delle più bizzarre, politica e polizie segrete, magia stile gioco di ruolo, divinità impazzite, bande criminali, chirurgia che può far assumere le forme più incredibili agli esseri viventi... E non c'è una spiegazione di come tutto quanto sia lì, tutto nello stesso posto, a New Crobuzon. A parte qualche oscuro riferimento non c'è neanche un paragrafo sulla storia di questa città. Per carità, non ho trovato incoerenze fatali nella lettura, ma questa corsa all'eccesso mi sembra un po' fine a se stessa. Capisco che il new weird consista anche nel rilanciare su ogni contaminazione e ogni provocazione, ma se il libro ha validità non credo sia perché è new weird. Se Miéville avesse messo meno carne al fuoco limitandosi all'essenziale, la storia avrebbe funzionato lo stesso e in maniera più fluida, l'atmosfera della città alienata e disperata ci sarebbe stata lo stesso. L'effetto finale che ne traggo è di un barocco qua e là ridondante e inutile.
I grandi pregi di Perdido Street Station sono due, a mio parere. La capacità di creare un'atmosfera di disperato disincanto, di rassegnazione annoiata ma instabile, che si può trasformare da un momento all'altro in cieca violenza, l'aver tratteggiato le atmosfere di una città che in un intreccio di elementi irreali ripropone, superandola, l'inquietudine e l'alienazione della metropoli del mondo moderno. Anzi, potrei quasi dire che New Crobuzon a tratti sembra una finestra nel futuro pur contenendo elementi così irrealistici.
Il secondo grande elemento del libro è la potenza espressiva dei personaggi, anche quelli che, in un libro così lungo, hanno avuto la sorte di essere delineati con pochi tratti. Sia i protagonisti (che sono un numero ridotto) sia i comprimari sono vivi e vitali.
La trama (e qui iniziamo un paragrafo che chi non ha ancora letto il libro dovrebbe saltare) di per sé non è né brutta né bella, anche se mi piace la maniera in cui si crea la premessa e si nutrono le aspettative del lettore. Un grosso errore di logica lo ha riscontrato lo scrittore Andrea d'Angelo sulle pagine di Fantasy Magazine, quando accenna al fatto che la liberazione delle quattro micidiali Falene da parte del loro simile è resa con una scena poco credibile: in una situazione di estrema pericolosità e di grandi norme di sicurezza, una delle guardie che si fanno ammazzare nella scena dell'evasione entra nella stanza di contenimento portando con sé le chiavi che possono aprire l'apparato che incatena questi esseri micidiali. Questo è sembrato decisamente un errore a D'Angelo io leggendo non ci avevo pensato, ma concordo con lui, (e per una volta non faccio la figura di quello che cerca sempre il pelo nell'uovo); ma a ben pensarci potrei aggiungere anche che la maniera rocambolesca in cui Isaac si ritrova la larva di falena nello studio è altrettanto incredibile. Un trasporto eccezionale che dovrebbe essere condotto con tutta la paranoia di un trasferimento di armi atomiche è ridotto a pacchi e buste che vengono smistati in un grosso apparato burocratico, con il pacchetto contenente le larve che finisce nelle mani di un impiegato infedele: egli lo apre per sbaglio e decide di rubare uno degli esseri misteriosi per guadagnare qualche soldo dal misterioso scienziato che "compra le cose che volano". Se lo leggi prima di sapere il resto, al cosa passa inosservata. Quando sai di che si tratta, ti pare assurdo che si proceda in questo modo (in uno stato di polizia, per giunta). Poco sviluppata nella dinamica la cattura di Andrej, il vecchietto malato terminale che viene sacrificato per creare il segnale che attirerà le falene in una trappola che eliminerà alcune di loro. La tematica è piuttosto estrema, e Derkhan se la cava tutto sommato in maniera troppo facile. Ci sono molte descrizioni (noiose) di come questo prigioniero venga spostato e trascinato qua e là fino allo scontro dove è sacrificato (e dove tre falene vengono fatte fuori con una facilità sconcertante, segno che forse erano state rese troppo invincibili prima?), però alla fine Andrej è morto e dimenticato, e lo spaventoso compromesso morale che Isaac e compagni hanno accettato sacrificandolo sembra finire troppo facilmente nel dimenticatoio. Soprattutto in vista del finale in cui Isaac decide di non cercare più una soluzione per far tornare Yagharek al volo perché, in virtù di quello che è stato fatto a Lin, non ce la fa a perdonargli di essere uno stupratore (cosa che gli viene improvvisamente rivelata). Mi è sembrato ridicolo, tutto sommato, tanto moralismo che improvvisamente compare nel nostro scienziato. Considerando che il garuda ha sofferto già così tanto e ha dato un contributo inestimabile alla causa di Isaac... Il quale peraltro ha in precedenza accettato e speso (senza porsi lo scrupolo di chiedere ulteriori dettagli circa le malefatte di Yagharek) una consistente quantità di oro come pagamento per i suoi servigi, e c'è da chiedersi dove scompaia la sua nuova moralità di fronte al problema (che nel libro non viene minimamente affrontato) di risarcire il garuda mutilato del suo denaro, non avendo più Isaac intenzione di tener fede all'impegno di lavorare per riportarlo al volo. Senza contare che Isaac, che vede così sfavorevolmente l'operato di giudici e polizia nella sua città, non se la sente invece di entrare nel merito della dura giustizia dei garuda come se, con tutto quello che abbiamo visto sul suo operare (il cinico uso di Andrej per esempio), con tutte le regole e le leggi che ha violato, gli fosse impossibile trarre delle conclusioni proprie. Gran peccato, dopo un bel libro, un finale che stecca così malamente.
Una considerazione finale su The Alchemy of Stone di Ekaterina Sedia, che ho commentato prima di Perdido Street Station. Lo sapevo per averlo letto da qualche parte, ora posso fare la comparazione: il libro della Sedia è decisamente ispirato a Miéville. Le scoperte da perseguire per Mattie (collaborare con i rivoluzionari, salvare i gargoyle, prendere possesso della propria chiave) echeggiano molto con le tematiche di questo libro, e la voce narrante dei gargoyle che interviene a tratti ricorda fin troppo i brevi capitoli in cui la parola va a Yagharek in Perdido Street Station. Le atmosfere della città sono relativamente simili (molto meno complicata e bizantina quella della scrittrice russa). The Alchemy of Stone mi è decisamente piaciuto mentre Perdido Street Station lo trovo a tratti più criticabile, ma per non confondere le idee ci tengo a precisare che il maestro è Miéville e il suo libro si trova su tutto un altro livello... che io concordi o meno con certe sue scelte stilistiche.
venerdì 1 maggio 2009
Last Night on Earth
Un bel gioco da tavolo della Flying Frog Productions, ricco delle atmosfere dei più celebrati film sui morti viventi.
Last Night on Earth è congegnato in maniera intelligente. La mappa è componibile e può ricreare diversi aspetti della piccola cittadina in cui si svolge l'evento (diciamo che si tratta della classica città americana); questi elementi si collegano ad un corpo centrale che, avendo le caselle più grandi, è rapidamente navigabile: non sarà poi così realistico ma certamente è più giocabile.
I personaggi (ciascun giocatore ne interpreta uno) sono rappresentati dalle solite figure di cartoncino ma anziché disegnati, sono fotografati da modelli in carne ed ossa. In maniera molto semplice e schematica ciascuno di essi ha dei vantaggi o svantaggi legati alla sua professione, età ecc... In ogni partita c'è una missione da compiere (trovare certi oggetti, salvare i cittadini e condurli al sicuro ecc...) e ovviamente le regole fanno comparire un'enormità di zombi che si muovono per la mappa in cerca di carne vivente da degustare (la carne vivente, è ovvio, siete voi).
Questi simpatici non morti sono piuttosto tenaci e non così facili da distruggere. E' possibile cercare nei vari edifici delle armi, con esse è un po' meno pericoloso affrontare gli zombi; ma anche quando si è ben forniti spesso e volentieri le munizioni durano poco. Non saprei dare grandi consigli per le tattiche migliori, ma direi che cercare di non farsi arrivare gli zombi addosso è un'ottima idea (fosse facile...).
Il gioco è ulteriormente movimentato da una serie di eventi favorevoli o meno (uno tipico: si spegne la luce! bisogna uscire dall'edificio di corsa, perché rimanere al buio in compagnia degli zombi non è una buona idea).
Giudizio: nulla di che, però è un gioco divertente e non manca di qualche arguzia.