domenica 30 novembre 2008
The Graveyard Book
Neil Gaiman riesce sempre a mischiare la favola con l'orrore in una maniera sopraffina, e non fa eccezione l'ultimo libro, che ho letto in inglese, The Graveyard Book.
Questa volta la storia inizia addirittura con il massacro di una intera famiglia, cui sfugge solo un bambino piccolo, che si ritrova ad essere accolto dai fantasmi del vicino cimitero.
Da questo evento nasce tutta una serie di appassionanti episodi che segnano le tappe della crescita di Bod (il soprannome del bambino). Il nostro piccolo eroe ha una predilezione per cacciarsi nei guai, ma tra i suoi tutori per fortuna ce ne sono alcuni che possono avventurarsi fuori dal cimitero per salvarlo: il misterioso Silas e la severa insegnante Miss Lupescu. A poco a poco Bod conoscerà anche il mondo reale, dove sa che incombe la minaccia del misterioso assassino della sua famiglia. Ma in un libro come questo non può mancare il lieto fine, anche se è un finale allo stesso tempo felice, malinconico e triste: leggere per credere.
Libro per ragazzi, sicuramente, eppure non mi è quasi sembrato tale mentre lo leggevo, segno di una grande maestria da parte dell'autore. E per quanto riguarda le parti violente, non è peggio della maggior parte delle... favole.
mercoledì 26 novembre 2008
Fumetti meravigliosi
Il fantasy avrebbe potuto trovare enormi possibilità espressive nel fumetto. Se non altro, le elaborate scenografie, le creature immaginarie, gli effetti della magia possono essere raffigurati visivamente più a buon mercato dalla matita del disegnatore che non dagli effetti speciali del cinema.
Spesso però i lavori che ho visto non mi hanno soddisfatto, non dico che non ce ne siano di buoni, però si tratta comunque di un argomento che impone una certa qualità di stile e di disegno, e l'arte della striscia disegnata non è sempre stata all'altezza perché, nei suoi difficili anni dell'oblio, può offrirci poche matite valide e soffre per il poco pubblico pagante.
Fra tutti direi che il fumetto di ambientazione fantasy che amo di più è la serie di Velissa: questi fumetti sono usciti in quattro volumi a partire dagli anni '80 e la storia continua ancora adesso (è uscito il primo volume di una nuova serie). Serge Le Tendre è lo sceneggiatore mentre il tratto è quello di Regis Loisel (tra i suoi altri lavori Peter Pan e alcune collaborazioni con la Disney).
Velissa è la procace e conturbante figlia di Mara, una maga che ha avuto in passato una relazione con un celebre guerriero, Bragon. Questo eroe invecchia pacificamente nella sua fattoria quando la ragazza gli si presenta portando delle notizie del tutto inaspettate: Bragon viene a sapere di essere probabilmente il padre della stessa Velissa, che è venuta a chiedere il suo aiuto per una missione della più grande importanza: il dio ribelle Ramor si sta risvegliando e per evitare il catastrofico evento bisognerà subito compiere una pericolosa cerca in terre lontane.
Per chi non teme lo spoiler dirò che Bragon e Velissa partono, e altri li accompagneranno. La storia ci porta attraverso avventure e misteri, paesaggi meravigliosi e selvaggi, mostri pericolosi da affrontare e incontri con umanoidi di tutte le razze; agli eroi si aggiunge Messer Sconosciuto, uno stupidotto che, tanto per cambiare, sarà fondamentale nella risoluzione della crisi; i destini di tutti quanti cambieranno in maniera indelebile e per qualcuno non ci sarà ritorno.
Il disegno è lineare, chiaro, fumettoso eppure semi realistico salvo alcuni sovraccarichi caricaturali (il primo volume comunque ha un tratto un po' meno disinvolto), i paesaggi e i miti del Regno delle Sette Marche creano un'ambientazione immaginaria delle più potenti, i temi dell'avventura e dell'amore, della lotta per il potere e della scoperta di sé vengono esplorati con una sorprendente sagacia in un fumetto che a prima vista potrebbe sembrare perfino semplice o superficiale.
Il tutto si combina in una avventura eccezionale, dal respiro epico nonostante non manchino i toni ridanciani. Da leggere assolutamente. Comprate una schifezza di manga in meno e concedetevi questa meraviglia.
domenica 23 novembre 2008
Kami
Per un certo tempo mi sono baloccato con l'idea, poi ho deciso di leggere un libro di questa serie (Storie di Draghi, Maghi e Guerrieri) della Delos Books. Non è stato un grosso impegno né di tempo né economico, visto che la collana è, intenzionalmente, a basso costo e tutti i libri rispettano un massimo di 120.000 caratteri spazi inclusi (con una certa flessibilità, credo, le cose sono meglio spiegate nel forum di Writer's Magazine).
Tra breve a quanto pare il nome dell'autore (italiano) apparirà sulla copertina terminando l'abitudine di riportare l'autore come traduttore e di indicare sulla copertina uno pseudonimo (Kay Pendragon, Yon Kasarai...) per non infastidire lo sciovinismo alla rovescia di quei lettori italiani che, poverini, hanno tanta poca fiducia negli scrittori di casa nostra.
Kami è ambientato nel Giappone medievale, trae spunto dal periodo in cui i Mongoli tentarono l'invasione del paese (era la dinastia mongola che governava la Cina, in effetti, quindi era una minaccia molto grave).
L'autore, Alberto Cola, ha fatto le sue brave ricerche sullo spiritualismo giapponese e su questi spiriti della natura (i Kami, appunto), ha introdotto come elemento fantastico uno stregone fra gli antagonisti, capace di portenti nel campo della magia nera, e un ragazzo di nome Toshi, che ha un rapporto speciale con i Kami: può facilmente entrarvi in comunicazione.
La storia non è proprio semplicissima. Con un capolavoro di sintesi ci troviamo una grande battaglia, una breve ma abbastanza colorita presentazione dei personaggi principali, intrigo e tradimenti, l'elemento sovrannaturale e un colpo di scena finale. Al termine i cattivi sono puniti e il Giappone è salvo.
La mia impressione è di trovarmi di fronte a un libro che avrebbe dovuto occupare il doppio dello spazio per dispiegare pienamente i suoi elementi, ma che è riuscito a condensarsi in maniera ancora leggibile e godibile negli angusti spazi della collana. Pertanto non so nemmeno se definirlo a tutti gli effetti un libro per ragazzi, per certi versi sembra più la versione zippata di un fantasy per adulti.
Personalmente ho scritto (a quattro mani) una storia che ho proposto alla casa editrice per questa collana, in quanto rispetta la lunghezza. Non è certo di questa complessità, non ci avrei mai provato, a dire il vero. Si tratta della storia in prima persona di un partecipante a una missione pericolosa contro un avversario dai poteri magici. Trama limitata nella prospettiva, dalla intrinseca semplicità e linearità di svolgimento (il protagonista non può fare molto per influenzare gli eventi). Non avrei pensato di cercare di rappresentare un'avventura della portata di Kami in un numero così limitato di pagine. Perciò, visto che il risultato finale in questo caso è piuttosto godibile, tanto di cappello ad Alberto Cola per questo gioiellino.
venerdì 14 novembre 2008
Il fantasy è conservatore?
Questione che ritengo noiosissima, in realtà. Perché se anche il fantasy conservatore lo fosse davvero, è un genere così vasto (e se inteso come fantastico in generale, anche più vasto) che gli si può dare volta per volta il significato che si vuole.
E perché si confonde facilmente la volontà di alcune ideologie di farlo proprio con la natura del fantasy in sé.
La questione si fa ancora più noiosa quando la prendono in mano quelli che conoscono solo il fantasy medievaleggiante alla Tolkien e ritengono che da lì si possano trarre conclusioni su tutto quanto. Pensando che ci sia sempre una lotta del bene contro il male, che ci siano sempre forti valori di riferimento, grandi eroi, razze come quella degli elfi, portatrici di valori "inerentemente" positivi o al contrario gli orchi "cattivi" ecc...
Diciamo che se il fantasy coincidesse con l'immaginario di stile tolkieniano attribuirgli una natura conservatrice non sarebbe affatto fuori luogo. Facendo attenzione al significato che vogliamo dare a conservatore. In Tolkien esiste un antimodernismo (piuttosto velleitario?) che a molti "conservatori" non piacerebbe affatto. Non mi va comunque di far coincidere il pensiero sul fantasy che va per la maggiore con l'opinione su tutto il genere. La troverei una semplificazione imbecille.
Così come si ragiona (?) in Italia, c'è poi il grosso pericolo che conservatore diventi sinonimo per merda, o qualcosa di simile. Non sono necessariamente d'accordo.
Cerco di buttare lì una ipotesi. Che parte dall'osservazione delle... copertine dei libri. Nel fantasy ci sono generalmente persone, in copertina. E ciò che fanno o decidono le persone nel fantasy ritorna ad essere la fabbrica del futuro e del destino. Anche se non sempre nel fantasy ci sono enormi destini in ballo, c'è sempre almeno quello del protagonista, lì, in bilico magari, ma che si può riprendere in mano.
Nel mondo moderno l'arte classica è stata violentemente ammazzata, non c'è più spazio per la grazia delle proporzioni e l'ammirazione della bellezza. Non c'è più spazio per gli eroi sul cavallo con la sciabola sguainata. E' arrivato un modo di esprimersi molto più astratto e ha spazzato via tutto quello che c'era prima. E la macchina può riprodurre in un secondo ciò che una volta richiedeva tempo, e una infinita bravura artigianale (vedi ad es. la fotografia). Nel mondo moderno, la figura umana non è più al centro della rappresentazione. E anche la decisione del destino diventa un fattore di masse e di processi sociali studiati scientificamente.
Addirittura con il pensiero psicanalitico l'uomo non è più nemmeno, come si diceva, padrone a casa propria. Scopre di agire in nome di pulsioni che non controlla e generalmente nemmeno conosce.
Fermo restando che è una generalizzazione anche questa, il mondo fantastico che mi presenta fin dalla copertina l'eroe con al spada in pugno o padrone di arcani poteri, torna a presentarmi la persona al centro delle cose.
La persona che torna a battersi, ad essere protagonista, a plasmare il destino con le sue virtù individuali, a essere padrona di vivere di scelte nette.
Non vedo il punto nel cercare una ideologia nel fantasy e nel fantastico, con la pretesa di appiopparla a tutto il genere. E trovo penosamente ridicolo il targarlo di destra o di sinistra. Ma nel ritorno del fantasy all'individuo mi sento di sospettare che ci sia un nucleo che accomuna, estremamente diffuso nel genere e difficilmente confutabile.
Un sentire non moderno, forse, ancora più che conservatore. Un volersi riprendere quello che la modernità e un mondo anonimo e senza più misteri ci hanno portato via.
Ma non so se questa sia una ulteriore, eccessiva semplificazione. Voi che ne pensate?
E perché si confonde facilmente la volontà di alcune ideologie di farlo proprio con la natura del fantasy in sé.
La questione si fa ancora più noiosa quando la prendono in mano quelli che conoscono solo il fantasy medievaleggiante alla Tolkien e ritengono che da lì si possano trarre conclusioni su tutto quanto. Pensando che ci sia sempre una lotta del bene contro il male, che ci siano sempre forti valori di riferimento, grandi eroi, razze come quella degli elfi, portatrici di valori "inerentemente" positivi o al contrario gli orchi "cattivi" ecc...
Diciamo che se il fantasy coincidesse con l'immaginario di stile tolkieniano attribuirgli una natura conservatrice non sarebbe affatto fuori luogo. Facendo attenzione al significato che vogliamo dare a conservatore. In Tolkien esiste un antimodernismo (piuttosto velleitario?) che a molti "conservatori" non piacerebbe affatto. Non mi va comunque di far coincidere il pensiero sul fantasy che va per la maggiore con l'opinione su tutto il genere. La troverei una semplificazione imbecille.
Così come si ragiona (?) in Italia, c'è poi il grosso pericolo che conservatore diventi sinonimo per merda, o qualcosa di simile. Non sono necessariamente d'accordo.
Cerco di buttare lì una ipotesi. Che parte dall'osservazione delle... copertine dei libri. Nel fantasy ci sono generalmente persone, in copertina. E ciò che fanno o decidono le persone nel fantasy ritorna ad essere la fabbrica del futuro e del destino. Anche se non sempre nel fantasy ci sono enormi destini in ballo, c'è sempre almeno quello del protagonista, lì, in bilico magari, ma che si può riprendere in mano.
Nel mondo moderno l'arte classica è stata violentemente ammazzata, non c'è più spazio per la grazia delle proporzioni e l'ammirazione della bellezza. Non c'è più spazio per gli eroi sul cavallo con la sciabola sguainata. E' arrivato un modo di esprimersi molto più astratto e ha spazzato via tutto quello che c'era prima. E la macchina può riprodurre in un secondo ciò che una volta richiedeva tempo, e una infinita bravura artigianale (vedi ad es. la fotografia). Nel mondo moderno, la figura umana non è più al centro della rappresentazione. E anche la decisione del destino diventa un fattore di masse e di processi sociali studiati scientificamente.
Addirittura con il pensiero psicanalitico l'uomo non è più nemmeno, come si diceva, padrone a casa propria. Scopre di agire in nome di pulsioni che non controlla e generalmente nemmeno conosce.
Fermo restando che è una generalizzazione anche questa, il mondo fantastico che mi presenta fin dalla copertina l'eroe con al spada in pugno o padrone di arcani poteri, torna a presentarmi la persona al centro delle cose.
La persona che torna a battersi, ad essere protagonista, a plasmare il destino con le sue virtù individuali, a essere padrona di vivere di scelte nette.
Non vedo il punto nel cercare una ideologia nel fantasy e nel fantastico, con la pretesa di appiopparla a tutto il genere. E trovo penosamente ridicolo il targarlo di destra o di sinistra. Ma nel ritorno del fantasy all'individuo mi sento di sospettare che ci sia un nucleo che accomuna, estremamente diffuso nel genere e difficilmente confutabile.
Un sentire non moderno, forse, ancora più che conservatore. Un volersi riprendere quello che la modernità e un mondo anonimo e senza più misteri ci hanno portato via.
Ma non so se questa sia una ulteriore, eccessiva semplificazione. Voi che ne pensate?
martedì 11 novembre 2008
Vendesi montagna di libri
La mia biblioteca ormai trabocca e i libri hanno raggiunto ogni angolo della casa. Devo fare spazio (per altri libri, ovviamente).
Una volta ero un paziente venditore su e-bay (i libri non tirano moltissimo eppure devo averne venduti un centinaio!) ma adesso non ho il tempo per seguire transazioni e spedizioni così frazionate e dettagliate. Anzi, diciamo la verità, non mi va molto di usare e-bay perché quest'azienda è un po' troppo esosa e ha preso ultimamente delle decisioni discutibili (non c'è più lo scambio di feedback al termine della transazione, il consumatore è diventato re anche qui ed è il solo a poter giudicare: e magari sarebbe anche giusto, se non che esiste tutta una manica di furbacchioni che ne approfitta).
Perciò se qualcuno fosse interessato propongo un'offerta FOLLE:
sette libri (del fantastico italiano) in blocco a quindici euro!
Preferisco il ritiro diretto a Milano per non fare bonifici, spedizioni, ecc... ma se necessario spedire, il pacco (paccocelere3) costa ulteriori € 9,10.
I libri in questione:
La Lama del Dolore di Marco Davide
Il Segreto di Krune di Michele Giannone
Le Metamorfosi di Ghinta di Fabrizio Casa
Il Segreto dell'Alchimista di Antonia Romagnoli
Il Risveglio dell'Ombra di Luca Trugenberger
Nicholas Eymerich, Inquisitore di Valerio Evangelisti
Il Sigillo del Vento di Uberto Ceretoli
Tutti in condizioni decenti quando non addirittura buone.
Chi fosse interessato può mandarmi un messaggio in posta elettronica (l'indirizzo è qui a destra, nella barra laterale).
mercoledì 5 novembre 2008
The Ten Thousand
Ebbene sì, ogni tanto eroicamente mi leggo qualche libro in inglese, anche per tenermi allenato. Questo The Ten Thousand di Paul Kearney l'ho scelto perché si tratta di una storia di ambientazione per lo più militare e perché riecheggia volutamente un classico, l'Anabasi di Senofonte.
L'ambientazione fantastica ci porta una storia di mercenari che altro non sono (sotto diverso nome) che i soldati greci che combattevano nelle falangi, quelle formazioni irte di lance che abbattevano senza scampo qualsiasi avversario si parasse loro davanti (ma gli antichi romani impararono presto ad averne ragione).
Lo scrittore ci descrive una vita brutale e sanguinosa, dettata dalla furia dei combattimenti, dall'alcol, dalla lussuria e dalla morte. Come nell'antica Grecia questi mercenari vengono da una regione divisa in piccole città stato, ma sono ancor più sfortunati dei loro colleghi realmente esistiti perché il loro mestiere li rende degli esuli senza patria. Diversamente dagli antichi greci non venerano un dio della guerra ma Antimone, la dea della morte che vola sopra la battaglia portata da grandi ali nere, e piange pietose lacrime per i soldati che moriranno: il suo Velo divide la terra dei vivi da quella dei morti, e molti dei protagonisti del libro avranno modo di vedere cosa c'è al di là.
Ma prima di proseguire vediamo un attimo il classico di Senofonte: l'Anabasi, scritta per raccontare una spedizione del 401 avanti Cristo. Erano diecimila circa, i mercenari greci. Erano figli di un periodo di disordine, seguito alla Guerra del Peloponneso dove Atene aveva perso il ruolo di potenza ellenica egemone. Vennero assoldati da Ciro il Giovane, rivale del fratello Artaserse II per il controllo dell'Impero Persiano, e dopo una lunghissima marcia combatterono in Mesopotamia (odierno Iraq) la battaglia di Cunassa (Cunaxa). I mercenari sbaragliarono i Persiani che avevano davanti ma Ciro si spinse troppo audacemente a caccia del fratello e fu ucciso. Finito quindi l'oggetto del contendere, i mercenari si trovarono lontanissimi dalla Grecia, e per peggiorare le cose un Satrapo (ovvero un governatore locale) di nome Tissaferne, desideroso di eliminare questi scomodi invasori, invitò i loro comandanti per trattare e li uccise a tradimento. La massa di mercenari seppe però darsi nuovi comandanti, uno dei quali fu lo stesso Senofonte che scrisse le loro imprese, e dopo una marcia interminabile questi uomini guadagnarono finalmente il ritorno a casa. Quelli che la fecero, ovviamente.
Ho tratteggiato lo svolgimento di questo testo classico qui perché il libro di Kearney non se ne distacca in maniera sensibile, e questo è stato per me motivo di disappunto. Nemmeno per la battaglia di Cunassa l'autore ha inventato un nome diverso!
Ovviamente ci sono dei dettagli nell'ambientazione, i mercenari vengono dal popolo dei Macht che si ritengono diversi da tutti gli altri popoli del mondo, che chiamano indistintamente Kufr. L'Impero del Grande Re, dove i mercenari saranno chiamati per dirimere la questione dinastica, è composto di diversi popoli stravaganti (tutti Kufr, quindi), ma mentre Senofonte nella sua opera ci descriveva usi e costumi strabilianti dei vari popoli soggetti ai Persiani qui c'è un accenno di diversificazione fantasy, con la creazione di razze umane differenti unite sotto un unico sovrano.
Insomma la storia ricalca il classico con una fedeltà e una mancanza di originalità che mi ha colpito un po' negativamente. Quanto alle atmosfere che questo libro crea, soprattutto si distingue il duro mondo dei combattenti, un mondo di sangue, budella ed escrementi condito da odori rivoltanti, urla e frasi oscene di ogni genere. Il tutto con la morte sempre pronta a segnare la fine del percorso.
Non un capolavoro, e anche meno creativo di quel poco che si può permettere l'opera che riprende una storia già detta, ma direi che The Ten Thousand è un libro con una sua personalità, e una leggibilità scorrevole.
L'ambientazione fantastica ci porta una storia di mercenari che altro non sono (sotto diverso nome) che i soldati greci che combattevano nelle falangi, quelle formazioni irte di lance che abbattevano senza scampo qualsiasi avversario si parasse loro davanti (ma gli antichi romani impararono presto ad averne ragione).
Lo scrittore ci descrive una vita brutale e sanguinosa, dettata dalla furia dei combattimenti, dall'alcol, dalla lussuria e dalla morte. Come nell'antica Grecia questi mercenari vengono da una regione divisa in piccole città stato, ma sono ancor più sfortunati dei loro colleghi realmente esistiti perché il loro mestiere li rende degli esuli senza patria. Diversamente dagli antichi greci non venerano un dio della guerra ma Antimone, la dea della morte che vola sopra la battaglia portata da grandi ali nere, e piange pietose lacrime per i soldati che moriranno: il suo Velo divide la terra dei vivi da quella dei morti, e molti dei protagonisti del libro avranno modo di vedere cosa c'è al di là.
Ma prima di proseguire vediamo un attimo il classico di Senofonte: l'Anabasi, scritta per raccontare una spedizione del 401 avanti Cristo. Erano diecimila circa, i mercenari greci. Erano figli di un periodo di disordine, seguito alla Guerra del Peloponneso dove Atene aveva perso il ruolo di potenza ellenica egemone. Vennero assoldati da Ciro il Giovane, rivale del fratello Artaserse II per il controllo dell'Impero Persiano, e dopo una lunghissima marcia combatterono in Mesopotamia (odierno Iraq) la battaglia di Cunassa (Cunaxa). I mercenari sbaragliarono i Persiani che avevano davanti ma Ciro si spinse troppo audacemente a caccia del fratello e fu ucciso. Finito quindi l'oggetto del contendere, i mercenari si trovarono lontanissimi dalla Grecia, e per peggiorare le cose un Satrapo (ovvero un governatore locale) di nome Tissaferne, desideroso di eliminare questi scomodi invasori, invitò i loro comandanti per trattare e li uccise a tradimento. La massa di mercenari seppe però darsi nuovi comandanti, uno dei quali fu lo stesso Senofonte che scrisse le loro imprese, e dopo una marcia interminabile questi uomini guadagnarono finalmente il ritorno a casa. Quelli che la fecero, ovviamente.
Ho tratteggiato lo svolgimento di questo testo classico qui perché il libro di Kearney non se ne distacca in maniera sensibile, e questo è stato per me motivo di disappunto. Nemmeno per la battaglia di Cunassa l'autore ha inventato un nome diverso!
Ovviamente ci sono dei dettagli nell'ambientazione, i mercenari vengono dal popolo dei Macht che si ritengono diversi da tutti gli altri popoli del mondo, che chiamano indistintamente Kufr. L'Impero del Grande Re, dove i mercenari saranno chiamati per dirimere la questione dinastica, è composto di diversi popoli stravaganti (tutti Kufr, quindi), ma mentre Senofonte nella sua opera ci descriveva usi e costumi strabilianti dei vari popoli soggetti ai Persiani qui c'è un accenno di diversificazione fantasy, con la creazione di razze umane differenti unite sotto un unico sovrano.
Insomma la storia ricalca il classico con una fedeltà e una mancanza di originalità che mi ha colpito un po' negativamente. Quanto alle atmosfere che questo libro crea, soprattutto si distingue il duro mondo dei combattenti, un mondo di sangue, budella ed escrementi condito da odori rivoltanti, urla e frasi oscene di ogni genere. Il tutto con la morte sempre pronta a segnare la fine del percorso.
Non un capolavoro, e anche meno creativo di quel poco che si può permettere l'opera che riprende una storia già detta, ma direi che The Ten Thousand è un libro con una sua personalità, e una leggibilità scorrevole.