sabato 22 settembre 2018

Sulla mia pelle

Dopo aver visto il film distribuito da Netflix riguardante la vicenda di Stefano Cucchi e i giorni che hanno portato alla sua morte, ho cercato di documentarmi, perché la mia conoscenza del caso era frammentaria. In rete ho trovato un gran casino, se mi si concede il termine.

Sono stati i poliziotti, sono stati i medici o gli infermieri, non è stato nessuno... Cucchi era uno spacciatore, Cucchi era un santo... la famiglia è rimasta traumatizzata dalla sua morte, la famiglia non ne poteva più di lui ma poi ha approfittato del caso mediaticamente. Difficile districarsi fra le varie opinioni, soprattutto in un'epoca in cui l'attendibilità di quello che trovi in rete è sempre più dubbia.


Sulla mia pelle, se non altro, ci offre una grande interpretazione di Alessandro Borghi ("numero otto" di Suburra), nei panni di Cucchi. E poi una carrellata di luoghi bui e tristi, fra carceri, tribunali, caserme e via dicendo. Personalmente consiglio di vedere questo film, perché, con tutti i dubbi che esistono ancora riguardo alla vicenda (sono passati diversi anni ma le sentenze definitive non ci sono) va sempre ricordato in che maniera funziona lo Stato italiano, nella sua inefficienza, nella sadica cattiveria di tanti suoi organi, nella callosa, burocratica indifferenza con cui stritola le persone se vengono prese negli ingranaggi sbagliati. Ed è per lo stesso motivo che ho voluto vedere a suo tempo Diaz - non pulire questo sangue.



Perché è vero che non sono contento quando vengono trasformati in martiri gli strafatti, i violenti o gli spacciatori, e non mi piacciono gli specialisti del piagnisteo e dei "diritti negati." Tuttavia certi meccanismi oscuri delle forze dell'ordine vanno denunciati, sempre, a meno che non vogliamo dare libertà di tortura ed esecuzione a certi immondi figuri che annoveriamo purtroppo fra i servitori della nazione.

Una nota positiva del film è che non manca di mettere in evidenza la reticenza e l'atteggiamento poco collaborativo di Cucchi come parte della dinamica che ha portato alla sua morte, né manca di mostrare carabinieri, medici, volontari e guardie carcerarie che cercano di fare umanamente il proprio lavoro. Però è anche vero che il protagonista (poco edificante) di questa triste vicenda difficilmente si può essere rotto le vertebre da solo, e che nei giorni della sua agonia è mancato chi prendesse un provvedimento d'urgenza per salvarlo, come sarebbe stato doveroso fare nonostante Cucchi si sia spesso comportato come uno che non voleva essere salvato.

2 commenti:

  1. Una mazzata nello stomaco che fa riflettere, hai ragione, senza creare santi o martiri. E questo è ciò che forse mi è piaciuto di più!

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  2. A mio parere più riuscito, più interessante, più "film" rispetto a Diaz. Quanto al meccanismo statale che se non funziona non lascia scampo, ho avuto il piacere in circostanze meno drammatiche ma assai prolungate (servizio militare) di sperimentare certi modelli di sopruso quotidiano.

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