giovedì 31 gennaio 2013

Sword

Parlando di fumetti, per chi come me si interessa alla produzione giapponese solo ogni tanto è difficile aver spesso argomenti di cui trattare (anche se c'è un sottobosco di italici coraggiosi che forse dovrei seguire di più).
Comunque, dal momento che nel 2012 le vacanze mi hanno portato in Belgio dovevo per forza tornare indietro con qualcosa, e la scelta l'ho compiuta con facilità ammirando le vignette di Sword, una serie di Sylvain Cordurié e Vladimir Krstic (in arte Laci). Il primo ha scritto la storia, il secondo l'ha disegnata con la collaborazione di Simon Champelovier per il colore. Dico subito che l'ho letto in francese, e girando sul web non l'ho trovato in italiano; spero ovviamente che venga tradotto.

Come dicevo, mi hanno catturato i disegni di Laci prima ancora di entrare nella storia. Non è perfetto, magari dovrebbe essere un po' meno stereotipato nel tratteggiare i volti; però è davvero bravo nelle scene di combattimento. L'ambientazione è fantasy, ma reminiscente dell'antica Roma. Poiché ci troviamo in una città commerciale con un certo sapore medievaleggiante e allo stesso tempo mediterraneo, potrebbe essere una specie di Costantinopoli. Il nome della metropoli è Elronde, e la sua anima sono le case dei mercanti, delle dinastie rivali che impiegano mercenari e maghi per la propria difesa. Il clan Frasyld per esempio si avvale dei Vorpalers, guerrieri sopravvissuti di un'unità leggendaria, reduci da una guerra recente. Sono in gamba con la magia e dispongono di armi dai poteri sovrannaturali. Tra i guerrieri al servizio delle casate concorrenti abbiamo per esempio le sacerdotesse di Attalia, classiche eroine fantasy che combattono con... le chiappe al vento.

Questo primo volume di Sword è soprattutto una presentazione dei protagonisti della lotta che vedremo svolgersi in seguito. Qui abbiamo, per così dire, l'antefatto. La casa di Frasyld e i mercenari Vorpalers sono accusati di un attacco che ha distrutto un'arena, una specie di Colosseo dove si stava svolgendo nientemeno che una trattativa tra i clan. In una lotta che mette in pericolo anche la sopravvivenza fisica delle famiglie, sono dolorosamente costretti all'asilo.
Sono in attesa della prossima puntata.

lunedì 28 gennaio 2013

Colpirne Uno

Il protagonista di questo racconto (dico racconto e non romanzo giudicando sia dalla lunghezza che dalla sensazione) è Aleksej Stakanov. E' un supereroe, che nasce dalla narrazione cooperativa Due Minuti a Mezzanotte ovvero 2MM (ne parlerò, ma devo ancora finire di leggerla). A parte la leggera diversità del nome, spiegata nel racconto, si tratta dell'eroe del lavoro sovietico, quello che estraeva quantità inenarrabili di carbone dalle miniere, presumibilmente facendo imbestialire gli altri lavoratori, perché dimostrava che ci si poteva spaccare la schiena molto di più.

Stakanov diventa un Super (supereroe, nel mondo di 2MM) e va in missione in Italia, nell'epoca degli "anni di piombo," per aiutare i rivoluzionari del paese. La sua storia si fonde con quella delle prime Brigate Rosse, storia che io ricordo ancora vagamente, turbamenti sanguinosi dell'Italia della mia infanzia, un paese che cercava di non andare allo sbando e che pure non era ancora disperatamente fottuto com'è l'Italia di oggi.

[inizio spoiler!] Così l'eroe sovietico arriva in Italia e prende parte all'attività dei brigatisti e ne conosce vita e morte: l'azione in cui viene uccisa Mara Cagol, la rabbia e i conflitti a fuoco con bombe a mano e bestemmie, ma anche la violenza distribuita a vanvera, proprio come cantava qualche anno dopo Gaber (da una parte si spara un po' a casaccio, dall'altra si riempiono le galere...). Alla fine si disgusta e se ne va. Un eroe libero, non uno tragicamente legato all'errore. [fine spoiler!]

Questo Colpirne Uno mi è piaciuto. Nella narrazione di Massimo Mazzoni non abbiamo il grigio eroe socialista, mezzo burocrate già ai tempi dei suoi exploit lavorativi, e destinato a morire da polveroso funzionario sovietico insignito dell'Ordine di Lenin. E' un entusiasta, è quello che "può ballare tutta la notte," è uno che sa andare alla realtà delle cose e che vedendo una rivoluzione mancata, che si strangola nell'omicidio e nell'odio, non si fa travolgere. Direi molto meglio lo Stakanov di Mazzoni che il vero Stakhanov.

Qui il link per andare a scaricare il racconto.
Qui sotto il vero Stakhanov


venerdì 25 gennaio 2013

Merchant & Marauders

Finalmente sono tornato ai giochi da tavolo dopo una lunga sosta. L'occasione è stata una partita a Merchants & Marauders, gioco che simula led avventure dei pirati dei caraibi. Merchant & Marauders, edito dalla Asterion Press (sarà tradotto in Italiano? So che esiste un regolamento nella nostra lingua, ma una completa localizzazione del gioco penso di no) è per quattro giocatori o tre (giocarlo in due sinceramente mi sembrerebbe poco divertente) e a mio giudizio può essere classificato come gioco di media complessità. Simula parecchi aspetti della vita di un pirata, o meglio di un clan o una dinastia, in certi casi: questo perché può benissimo capitare di lasciarci le penne e continuare la partita con un successivo personaggio.

Ogni baldo pirata parte con una nave di modeste dimensioni e si dedica a tutta una serie di possibili missioni: saccheggiare gli innocenti mercantili che se ne vanno il giro, commerciare onestamente i vari beni disponibili tra diversi porti, cercare di capire se c'è del vero in dicerie che possono far guadagnare dei quattrini, compiere delle varie missioni che possono essere affidate da una varietà di soggetti, o anche recare danno e conflitto ai suoi compagni pirati. Il tutto si crea usando un sistema che genera con segnalini e carte una quantità di eventi e situazioni. Munizioni speciali, disponibilità di miglioramenti per la nave, personaggi che vengono ad arricchire l'equipaggio... tutta una serie di elementi che fanno folklore caraibico e creano un'ambientazione piuttosto forte. Oltre a comprare migliorie per la propria nave è possibile comprarne una migliore. Caratteristiche delle navi sono la manovrabilità, la quantità di armi o di carico utile che possono imbarcare, e la robustezza. La filosofia di gioco che si sceglie si riflette necessariamente sul tipo di navi da usare: chi spera in una carriera relativamente onesta si preoccuperà di poter trasportare merce e sarà meno ossessionato dalle armi; nessuno, a quanto ho visto, è completamente pacifico, e questo dà senso al titolo del gioco.

Esiste ovviamente anche la giustizia, ovvero navi delle maggiori potenze coloniali che si aggirano in cerca dei furfanti nemici del commercio. Chi saccheggia il traffico di una certa nazione finisce per avere una taglia sulla propria testa, infatti. Poiché i porti sono divisi tra quattro nazionalità (spagnoli, francesi, inglesi e olandesi) un giocatore può essere respinto da una località e commerciare tranquillamente in un'altra.

La vittoria si ottiene con dei punti "gloria" ottenuti in vari modi e conteggiati su un tracciato (come al solito). Tuttavia anche il denaro può trasformarsi in gloria pertanto ogni pirata ha il suo forziere (di cartone) in cui nasconde dei soldi (frutto di tante malefatte). In pratica non è facilissimo capire chi sta vincendo, e questa è una buona cosa. Alla prima partita di prova mi era sembrato che la macchinosità di certe fasi del gioco rendesse impossibile il portare a termine in una serata la partita. Tuttavia giocando di nuovo ho verificato che la promessa dei produttori, ovvero che il gioco può essere terminato in 3 ore, è abbastanza verosimile.
Per quanto sono certo che alcune fasi potessero essere limate meglio e rese in maniera più elegante, devo dire che il gioco è abbastanza azzeccato: quindi il mio giudizio finale è favorevole.



mercoledì 23 gennaio 2013

Addio a Lynn Willis

E' morto Lynn Willis, una delle menti pensanti del GDR dei bei tempi che furono. Fondamentale nella nascita e raffinazione del sistema di regole della Chaosium (usato in giochi come Runequest, Stormbringer e molti altri), era anche un autore di wargames. La sua figura è legata a molti miei ricordi.

lunedì 21 gennaio 2013

The Day

Un film post apocalittico con qualche venatura horror: bella combinazione per The Day, pellicola indipendente canadese girata da Douglas Aarniokoski. Ho cominciato a guardarlo con un certo scetticismo, per via di un'atmosfera che mi sapeva un po' troppo di finta (volti sporcati ad arte, gonnelline corte e stivalazzi alla moda, m'è sembrato un "post atomic chic," penso che in una situazione simile la gente sarebbe molto più cialtrona e stracciata) e per il lento sviluppo iniziale, ma nell'insieme ha colpito nel segno. E gli attori, nessuno dei quali particolarmente noto, sono all'altezza.

La storia parte con cinque sopravvissuti in mezzo a una strada. Non si sa cosa è successo per distruggere la civiltà, ma il problema ora è pressante: trovare qualcosa da mangiare e un riparo. Uno dei sopravvissuti è anche malato. Sono persone che si conoscono da tempo, tranne Mary (Ashley Bell) incontrata per strada.

Quando il gruppo arriva a una fattoria, fa una scoperta che sembra fortunata: del cibo. Ma è una trappola con tanto di allarme. I proprietari, organizzati come un clan sanguinario o satanico, vengono all'attacco, e si scopre anche una cosa riguardo a Mary, non la voglio anticipare ma la sua lealtà al gruppo diventa dubbia.
Il film si trasforma nella cronaca di una battaglia senza esclusione di colpi: armi da fuoco, coltelli, bastoni, teste dei nemici infilate sui pali e altre piacevolezze. Non anticipo chi si salverà e chi sarà ucciso, invito a dare un'occhiata al film. Ovvia e implicita l'avvertenza: è molto crudo e violento. Ma è anche uno dei pochi che ha reso l'idea del crollo della civiltà come la immagino io: una decadenza nel baratro della ferocia, dove è inutile sperare di salvare una vestigia dei principi benevoli e rispettosi con cui noi (o meglio, una parte di noi) cerca di vivere giorno per giorno nel già difficile mondo di oggi. Perché il debole è comunque destinato a essere eliminato, perché lo scrupolo non ce lo si può permettere, perché solo chi sa vivere con la follia di una ferocia illimitata può sperare di arrivare al giorno dopo.
Significativo il finale, cruentissimo.

martedì 15 gennaio 2013

Come NON bisogna scrivere un libro fantasy

Non sono un autore pubblicato salvo qualche raccontino su riviste e antologie o sul web, qualche volta pagato ma generalmente no. Per via della mia collaborazione con Fantasy Magazine ho comunque recensito vari libri fantasy italiani e non. E anche qui sul blog mi è capitato di dare un parere riguardo a diversi autori italiani (forse più in passato che in tempi recenti). Perciò mi è capitato che tanti abbiano chiesto una mia recensione, salvo magari essere molto scontenti del risultato, motivo che già qualche tempo fa mi aveva portato a indicare delle linee guida per evitare malintesi.
Linee guida che tendono a scoraggiare un po', in effetti. Comunque ho continuato a leggere romanzi ricevuti in visione (di solito da parte di autori esordienti). Spesso sono scrittori che hanno pubblicato a pagamento e cercano di rimediare visibilità tramite blog e social network, classica strategia di marketing povero che potrebbe anche diventare efficace, se il prodotto piace.

Il problema è che per quello che ho potuto vedere, questi autori spesso non hanno le minime basi e talvolta fanno errori anche grossolani, per quanto debba dire che la maggior parte sono a posto dal punto di vista della pura e semplice grammatica.
Temo che molti credano di poter diventare scrittori di successo dopo aver scritto il primo romanzo. Il risultato è una impazienza di vedere in libreria la propria creatura, talvolta una ipersensibilità alle critiche, e quasi sempre grossi difetti nel testo, difetti che pregiudicano la riuscita di queste operazioni editoriali.


- Compagno Stalin, ci sono centomila scrittori che vorrebbero essere pubblicati.
- Bene! Mandali tutti sul fronte di Leningrado!

Sono esistiti scrittori che al primo romanzo ci hanno subito azzeccato e hanno scritto un capolavoro. Di solito però non succede, ed è questa la prima cosa che bisognerebbe, con umiltà, imparare. Per scrivere, come per fare tante altre cose, ci vuole un po' di mestiere e allenamento.

Quindi se volete un consiglio non vi focalizzate su un solo romanzo come coronamento di tutto quello che volete dire, la vostra somma opera e altre simili romanticherie. Allenatevi partendo magari da cose meno impegnative come racconti di breve e media durata (da una a venti pagine, diciamo). Trovate in rete o anche fisicamente, se capita, il luogo dove sia possibile confrontarsi, leggere altri autori e farsi leggere, scambiarsi pareri. E ovviamente leggete molti libri, sia le novità che i classici.

Come ho già detto in un altro post, se volete fare sul serio NON HA SENSO che non seguiate un corso (attenzione a non farvi spillare cifre oscene) o non leggiate un manuale di scrittura (molto più a buon mercato)
Dal momento che le tecniche dello scrivere non sono intuitive (salvo che per qualche genio), leggere i manuali vi farà capire per lo meno cosa state ignorando e che rischi correte di conseguenza.
Se comunque siete tentati dalla retorica del genio e sregolatezza, assicuratevi di sbatterci la faccia una volta sola e poi di cambiare strada.

Dopo aver seguito questi passaggi, che certamente potrebbero impegnare il vostro tempo libero per diversi mesi prima di darvi qualche giovamento, potreste già avere una visione delle cose abbastanza diversa che vi permetterà di evitare certi errori. Come quello di correre a stampare dei romanzi che, come certi che invece purtroppo ho visto, pur non avendo veri e propri errori grammaticali e di ortografia sono legnosi, scarsamente leggibili e a tratti incomprensibili (per dialoghi creati male, punto di vista organizzato in maniera antiquata o maldestra, virtuosismi lessicali, frasi troppo lunghe).

Altre cose incomprensibili che mi è capitato di vedere sono l'uso di parole ricercate e difficili (cosa pensate di dimostrare?) e di aggettivi e avverbi a valanga. Sono sconsigliati fortemente, oggi come oggi. Magari non siete d'accordo e avete i vostri perché, ma basterebbe leggere ad alta voce un po' di frasi zeppe di aggettivi e avverbi, e poi rileggerle dopo averne falciati il più possibile, per rendersi conto che si guadagna in scorrevolezza.
Ricordate che ogni tanto al lettore può far comodo un accenno (indiretto) che gli faccia ricordare chi sia quel personaggio che aveva conosciuto brevemente molte pagine prima e che ricompare adesso; però non gli piacerà che gli ripetiate fatti importanti della trama centomila volte.

Personalmente sconsiglio a chi è alle prime armi l'inclusione di complicate ambientazioni per i propri libri fantasy. Io in realtà le ambientazioni le amo. Chi spende un po' di tempo a crearle e si sforza di renderle il più logiche e coerenti possibili fa un buon investimento per la costruzione di una trama solida, ma sbaglia se poi si sente in dovere di riversarle in massa nella sua storia. Non consiglio quindi lavori tipo creare complicate cronistorie, o alfabeti e linguaggi come Tolkien e alcuni altri hanno fatto. Non se siete alle prime armi, almeno.

Non consiglio neanche gli sperimentalismi. Non tentate di essere ermetici. Evitate di creare una trama estremamente complessa con molti personaggi da seguire. Evitate gli incisi o le dipartite per la tangente che perdono il filo della trama. Ricordate che introdurre nella narrazione passi tratti dal testo di una grande enciclopedia o cronaca (inventata) che spiega alcune cose del vostro mondo immaginario è pratica comune se fatto all'inizio del capitolo: chi lo fa nel bel mezzo del capitolo, e lo fa ripetutamente, secondo me interrompe inutilmente il ritmo della narrazione. Se siete agli inizi, siate semplici nella forma. Dopo un po' di tempo e qualche tentativo alle spalle valuterete meglio come volete scrivere.

Cercate un po' di originalità in quello che volete raccontare, ma se scrivete fantasy abbiate l'accortezza di rimanere nell'ambito del genere. Non volete scrivere del gruppo di nani che va a reclamare le proprie miniere invase dagli orchi. Benissimo, visto che con i film di Peter Jackson non se ne può più. Trovate qualche situazione nuova, non è impossibile. Piccolo consiglio: ricordate che l'originalità al cento per cento non esiste, ma non andate a scopiazzare frasi e situazionida altri libri.

Tenete presente che gli editori a pagamento non vi daranno grande aiuto per capire dove sbagliate e vi stamperanno anche un romanzo banale e scarsamente leggibile, purché diate loro i soldi. Ognuno è libero di fare quello che vuole ma bisognerebbe avere un'idea di quello che si deve ricevere e di quello che si deve spendere per non essere fregati da questo tipo di editori. Bisogna anche essere onesti con sé stessi sulle reali qualità di ciò che si sta proponendo, e rinunciare se non si è pronti.
Non mi piacciono le crociate contro le autopubblicazioni e contro l'editoria a pagamento, le trovo eccessive. Verò però è che la massa di quello che esce con questi editori è robaccia illeggibile, un vero spreco per gli autori che hanno pagato senza prima investire nella propria capacità di scrivere.

In soldoni: pensateci bene, frequentate l'ambiente e seguite ciò che si dice in giro (via rete è facile), fatevi un'idea. La pubblicazione a pagamento nella maggior parte dei casi è una scelta inutile e costosa.

Ho menzionato il tempo da spendere, che è parecchio. Se vi interessa scrivere sappiate che è lavoro su cui dovrete spendere molto tempo senza la minima certezza di guadagnarci mai un quattrino. Se avete la passione, non dovrebbe essere un problema insormontabile. Se invece la cosa vi sembra troppo onerosa probabilmente vi converrà spostarvi su altri passatempi.






venerdì 11 gennaio 2013

I lettori di ebook già in declino?

Sono rimasto molto sorpreso leggendo questa analisi del Wall Street Journal a firma di tale Greg Besinger. Il mercato degli ereader, ovvero delle macchine dedicate per la lettura degli ebook, avrebbe avuto un calo non indifferente nel 2012 rispetto all'anno precedente (ventotto per cento), e potremmo assistere prossimamente a un disinteresse degli acquirenti verso l'ereader. Insomma, il 2011 potrebbe essere stato l'anno "di vetta" per la diffusione di questo strumento, un successo destinato a non ripetersi.
Non si tratta, attenzione, della morte del formato elettronico e del ritorno in massa alla carta. A mio parere per il cartaceo nulla cambia. Scivolerà piano piano fino a una quota di mercato relativamente modesta dove si assesterà grazie a uno zoccolo duro di fedelissimi e grazie a nicchie dove il cartaceo resta imbattibile (edizioni di lusso, grandi libri fotografici, libri per bambini piccoli, libri di design, e in genere pubblicazioni ad alto contenuto di grafica). Infatti la battuta d'arresto per gli ereader è dovuta non a un ritorno al cartaceo ma alla massiccia diffusione di tablet e smartphone a basso costo (per gli smartphone ovviamente intendo qui quelli con lo schermo abbastanza grande... per quanto c'è chi legge libri anche sull'iPhone, che proprio grandissimo non è). Insomma, si può leggere anche con questi strumenti e la gente non sentirebbe più il bisogno di apparecchi dedicati.

Considerazione mia personale: strano! Io ho un lettore vecchio, mi dà fastidio il suo schermo troppo scuro e a bassa definizione, ma lo schermo del PC mi stanca gli occhi molto di più!
Però sembra che ci sia un altro fattore: molti di quelli che volevano un ereader ormai ce l'hanno, e non hanno intenzione di sostituirlo immediatamente con uno più performante (cosa che dovrei fare io, rimasto con il vecchissimo e osceno Bebook). Le persone che hanno letto un ebook nell'ultimo anno sono in verità aumentate, secondo l'analisi, ma è probabile che molti per leggere non abbiano usato un lettore dedicato bensì i vari strumenti che avevano già in mano (tablet, notebook, netbook, PC, smartphone e chi più ne ha più ne metta). Del resto la tendenza dei tablet è verso il calo di prezzo, e anche la Apple, che punta con il proprio "carisma" a far pagare l'ira di Dio per i propri prodotti, sembra orientarsi per il futuro verso un'offerta più ragionevole. L'acquirente oggi può spendere poco più di un ereader e avere un apparecchio con cui fare foto, navigare su internet e giocherellare con le varie applicazioni, oltre che leggere libri adattandosi allo schermo luminoso.


La debolezza degli ereader quindi è nella poca versatilità (servono a leggere libri, e fanno poco altro) e questo li starebbe riducendo a prodotto di nicchia. Eppure l'evoluzione delle tecnologie, ovvero le novità sempre più sorprendenti riguardo ai nuovi schermi, potrebbero forse portare a una convergenza tra i vari prodotti: è da una vita in effetti che si parla di integrazione fra gli schermi a inchiostro digitale e gli LCD. Stiamo a vedere.



lunedì 7 gennaio 2013

Waking the Moon

Questa non è una recensione, tuttavia mi sento di sconsigliare un libro. E' Waking the Moon di Elizabeth Hand. L'autrice aveva suscitato il mio interesse per un racconto nella raccolta Songs of the Dying Earth, ma l'impressione favorevole si è persa in questo libro troppo verboso, lungo e descrittivo (e anche un tantino serioso, direi). Le premesse non erano poi sfavorevoli. La Hand traccia una serie di eventi che presagiscono la rinascita di una divinità matriarcale, avvenimento che non sarà privo di contrasti e lotte. Sullo sfondo una sinistra archeologa, dei giovani molto chic che frequentano una curiosa scuola, e un'organizzazione di Benandanti ovvero maghi che cercano di difendere il mondo dal male. Sebbene assai diversi da quelli del libro, Benandanti sono esistiti veramente nella cornice del più ampio fenomeno della stregoneria.
Mi fermo qui con un avviso ai naviganti: pur con tutte le buone intenzioni, questo libro è noioso.

domenica 6 gennaio 2013

Le delizie della democrazia

Segnalo questo post sul blog Giochi sul nostro Tavolo, dove viene spiegato il regolamento di un gioco piuttosto... sarcastico.


giovedì 3 gennaio 2013

Cloud Atlas

Sei storie concatenate in questo Cloud Atlas, diretto e sceneggiato dai fratelli Wachowski e Torn Tykwer. I primi sono ovviamente arcinoti dai tempi del famigerato Matrix, Tykwer è un regista tedesco a me sconosciuto (ricordo solo che un suo titolo, Lola Corre, aveva raccolto un certo successo). Oltre a uno dei registi tedesca è anche la produzione: si tratta in effetti del primo tentativo di un film dal budget elevato fatto in Germania. La storia è ispirata all'omonimo romanzo dell'inglese David Mitchell.

Non perfetto a mio parere, grande cinema nonostante tutto. Intrigante la commistione delle storie, che vanno dalla metà dell'800 a un lontano futuro post apocalittico ma si intrecciano da una scena all'altra con espedienti che riescono ad avvincere e a prendere di sorpresa. Bella anche la fotografia e la possibilità di mescolare ambienti così diversi: montagne, foreste, mare e cieli sconfinati nella storia ambientata tra sopravvissuti e cannibali del lontano futuro, una storia di amore omosessuale tra artisti negli anni '30, un veliero in mezzo all'oceano, dove viaggia un benestante americano cui capita di salvare la vita a un nero nel tempo dello schiavismo, la California anni '70 come sfondo della lotta di una giornalista contro gli sporchi tiri delle multinazionali del petrolio, un editore che per via di una faida tra fratelli viene chiuso in un ospizio contro la propria volontà (l'ambientazione è l'attuale Inghilterra e questa è la storia che mi è piciuta di più), una Corea futuristica e orwelliana dove un'operaia-clone diventa portavoce per una rivoluzione.

Quindi abbiamo fantascienza, film in costume, dramma, poliziesco e perfino un po' di commedia. Ogni storia è legata da qualche testimonianza (una lettera, un filmato, un personaggio...) alla successiva e le tematiche in qualche modo si ripetono e si rafforzano: le decisioni che le persone devono prendere, decisioni che hanno effetto sia sulla loro personalità che oltre la loro vita stessa. Decidere di battersi per una causa, trovare il coraggio per affrontare una situazione, far prevalere la pace e la gentilezza, restituire un gesto d'aiuto ricevuto dal prossimo, battersi per la libertà e la verità. Comprendere la connessione che c'è tra tutti i viventi (tematica karmica, orientale o new age che in effetti è quello che mi aspetterei dai Wachowski). E poi ci sono i cattivi: assassini, cannibali, multinazionali spietate, regimi dittatoriali, come un eterno ostacolo contro cui gli uomini liberi devono continuamente esercitare la propria volontà di rimanere liberi.



A volte prevale lo stile zuccheroso e predicatore dei fratelli, stile che ho imparato a odiare pur riconoscendo la creatività che trovo nella loro immaginazione; a volte queste storie sono come belle favole a cui vorresti per forza credere.
La cosa sensazionale è la capacità di questo film di tenere lo spettatore continuamente interessato, la grande abilità di un eccellente cast di attori che, grazie a un esteso utilizzo del trucco, ricoprono vari ruoli in varie epoche (l'istrionico Tom Hanks, Halle Berry, Hugo Weaving, Hugh Grant, Susan Sarandon, Jim Broadbent nei panni dell'autore Cavendish, e non ultima la coreana Bae Doona, l'anarchica di Mr Vendetta, qui nel ruolo dell'eroica operaia ribelle).

Coraggioso, visionario e spettacolare, questo film non è difficile da seguire come si potrebbe temere dalle premesse, e la lunghezza non mi è pesata. Nonostante le singole storie non siano necessariamente così significative e contengano qualche semplificazione anche ridicola (parlo di quella ambientata in Corea), ho avuto il piacere di veder nascere un gigantesco affresco che abbraccia un'enormità di spazio e di tempo.



mercoledì 2 gennaio 2013

T-Revolution

Mi viene chiesto di recensire un gioco di ruolo, cosa abbastanza insolita per me, e mi sono prestato alla bisogna. Va detto che di esperienza in materia ne ho, parecchia, e ai tempi ero un discreto "game master," a detta dei miei giocatori. Per quanto riguarda i sistemi di gioco però ne ho letti un certo numero in gioventù (qualcosa di AD&D, Runequest II e III, Call of Cthulhu, Morrow Project, GURPS, Cyberpunk 2020, Harnmaster, Traveller e via dicendo...) e qualche esperimento l'ho fatto. Ho sperimentato con idee più moderne in tempi (relativamente) recenti, ovvero coniugare qualche principio di storytelling al gioco carta e matita tradizionale, ma non sono riuscito a mettere molto in pratica questa aspirazione.

Detto questo di me che recensisco, vediamo un po' di cosa mi occupo in questa occasione. Gli autori sono, Ilario Gobbi e Lorenzo Sordini, con l'aiuto di illustratori a valanghe e vari collaboratori. Il gioco di chiama T-Revolution. Condivide un sistema di regole (Hyper Actions) con altri GDR, potete farvi un'idea qui, vi sono espansioni e supplementi disponibili sia elettronicamente che su carta.
T-Revolution è un gioco basato sui viaggi nel tempo con tutte le loro implicazioni anche paradossali, con una serie di indicazioni di materiale a cui si deve ispirazione: dalla serie TV di Doctor Who ai fumetti come l'Eternauta, per citarne solo due. Da tutto questo è tratta un'ambientazione che non ha particolarmente colpito la mia fantasia ma è, direi, funzionale per stabilire una situazione in cui esiste una contesa tra fazioni in lotta (cartelli criminali, organizzazioni di tecnocrati, agenti che vigilano sullo spaziotempo per impedire i peggiori disastri, culti e così via). Ci sono anche diverse razze, dagli ovvi umani ai "dottori dell'universo" dotati di poteri psionici, gli "steel-maniac" ovvero un'organizzazione di biomacchine, e via dicendo (anche la magia non manca).

Si passa quindi alla creazione del personaggio, visto che vi sono già alcune premesse su cui fare delle scelte. La classica scheda cartacea va scaricata dal sito internet e stampata. Ok, ho cercato per qualche minuto e dopo un paio di imprecazioni l'ho trovata, forse andrebbe evidenziata un po' meglio. Ci sono le classiche caratteristiche, divise tra fisiche e mentali, tecniche e sociali, i punti ferita, punti "mente," punti esperienza e un po' di altre cosette. Una scheda semplice per un sistema che cerca di non sacrificare la giocabilità, per quanto posso dire leggendo il manuale. Oltre ai fattori base che si ispirano a Hyper Actions, il "meta-manuale" a cui questo e altri GDR della stessa casa fanno riferimento, le scelte fatali saranno quelle di razza, fazione e orientamento, e quest'ultima caratteristica implica una scelta tra tre possibilità: essere un leale servitore della fazione, un traditore infiltrato, un opportunista che resta all'interno solo per i propri interessi.

Segue un'ambientazione con una "storia" del mondo di T-Revolution, e dettagli sul periodo in cui la maggior parte delle avventure e dei fatti storici più in luce prende luogo. C'è ovviamente una disamina sugli effetti dei viaggi nel tempo. Notare comunque che si può praticamente giocare qualsiasi tipo di avventura in qualsiasi tipo di situazione, secondo gli autori, e immagino che sia così (del resto sta tutto all'abilità dell'arbitro, qualunque sia il regolamento).
Ci sono spiegazioni (a volte molto sintetiche, a volte dettagliate) su vari pianeti, sistemi politici ed economici, magia e religione. Per quanto riguarda la creazione dei personaggi, le varie razze hanno una gran quantità di "caratteri" da acquisire, ovvero poteri ma anche tratti di personalità, un po' come in GURPS.
Ci sono capacità paranormali e non manca un bestiario a conclusione di una lunga disamina tra le abilità disponibili.

Da notare che T-Revolutions, 240 e rotti pagine, richiede la conoscenza del regolamento principale, quindi altre 220 pagine. Sia chiaro, non c'è niente di male nel proporre un'ambientazione ricca e complessa, anzi nel Gioco di Ruolo è meglio abbondare e lasciare che siano gli appassionati a scegliere il materiale che si adatta meglio ai loro gusti. Tuttavia, anche se il sistema non è estremamente complesso si tratta di un "pacchetto" di materiale piuttosto solido e per il giocatore (o l'arbitro) non sarà così leggera la scelta di intraprendere una campagna a T-Revolution.

Giudizio sintetico: nel sistema di gioco non vedo questa grande originalità. Il regolamento base come filosofia e per alcune meccaniche di gioco richiama abbastanza GURPS. L'ambientazione invece nonostante la quantità di fonti citate a ispirazione ha una propria personalità, ed è abbastanza impegnativa. Ovviamente qui bisogna vedere se c'è il feeling.
Il materiale è venduto a prezzi non estremamente salati ma nemmeno modestissimi, perciò è una bella sfida, visto che esistono a tonnellate GDR, anche molto innovativi e stimolanti, offerti gratuitamente. Ovviamente qui il discrimine è la conoscenza dell'inglese: se non lo si padroneggia, si resta limitati a ciò che viene offerto in lingua italiana. Al giocatore (e all'arbitro) versato nelle lingue, in tutta sincerità, non so se consiglierei l'acquisto di T-Revolutions. Il giocatore italico che non abbia studiato quel minimo di lingue dia un'occhiata (il link è più in alto) alle offerte della casa, può scaricare le versioni di "assaggio" gratuite, per decidere se trova accattivante l'ambientazione prima di spendere i suoi sudati euro.