Sembra un titolo provocatorio, un libro scritto in fretta e furia per fare inferocire i "piddini," umiliati, sconfitti e scornati nelle recenti elezioni politiche. Non è così. La Scomparsa della Sinistra in Europa, scritto da Aldo Barba e Massimo Pivetti per la casa editrice Imprimatur, è un libro del 2016 in cui si propongono riflessioni di ampio respiro, che abbracciano un periodo di tempo molto ampio (principalmente però gli anni del dopoguerra). Pivetti per la cronaca è un economista di sinistra, molto di sinistra, non nuovo a tesi provocatorie; Barba, più giovane, è un docente dell'università di Napoli.
Questo libro mi ha colpito perché percorre una traiettoria che, in buona parte, mi ricorda le riflessioni che io stesso ho fatto in questi anni in cui mi sono chiesto cosa accidente facessero i politici del mio voto. Adesso mi trovo spesso a non votare neanche, e comunque non credo che andrei a sinistra se si votasse di nuovo oggi, ma per oltre 10 anni ho seguito le varie incarnazioni del Partito Democratico, Ulivo, Quercia, Gioiosa Macchina da Guerra eccetera. E mi è sembrato (certamente non solo a me) che la sinistra abbia rinunciato a fare il suo mestiere e che si arrabatti da tempo in un fumoso inseguimento di tutte le spinte libertarie dove le cause sono tutte buone purché non si parli di problemi concreti della gente comune. Perché quando si parla delle "cose serie," dal punto di vista della linea politica ed economica la sinistra finisce spesso per scimmiottare la destra.
Ormai, per la verità, visti certi personaggi che la sinistra non solo italiana ha sfornato nel periodo recente (Tony Blair e Renzi, ma anche Hillary Clinton), è diventato impossibile non rendersene conto. E in Italia nelle ultime elezioni il prezzo pagato è stato molto salato, con uno scivolone del Partito Democratico sotto il 20% (mentre le formazioni più estreme o in qualche modo collaterali raccolgono poco o niente), e uno spostamento delle masse lavoratrici verso altre formazioni, in parte ma non necessariamente di destra (il Movimento 5 Stelle non mi pare che lo sia, anche se molti nel PD sono tanto accecati dal rancore che son pronti a giurare che i "grillini" siano tutti fascisti).
Secondo gli autori il trionfo del liberismo più scatenato non è cosa da meravigliarsi, perché non è stato il liberismo ad assassinare la sinistra, bensì la scomparsa (o rinuncia a fare il suo mestiere) della sinistra a permettere l'ascesa del liberismo.
Mentre nei primi 30 anni del dopoguerra la crescita economica era considerata, in primo luogo, la crescita delle opportunità di occupazione, dei salari, dei servizi e del benessere dei lavoratori, nei successivi 30 anni, con una linea discriminante che si colloca tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, si è avuto il movimento opposto, con la corsa all'eliminazione dell'intervento statale in economia, le privatizzazioni che premiano soltanto i ceti dominanti, la soppressione dei diritti e del welfare, le Banche centrali che si sono sottratte al controllo della politica, e altri passaggi che hanno portato al dissesto che conosciamo oggi.
La tesi del libro è che questo disastro sia successo perché da sinistra non lo si è contrastato e anzi, con una smarrita subalternità di idee al pensiero capitalista dominante (e prima ancora, si badi, della fine della guerra fredda), si è deciso non solo di assecondarlo ma addirittura di favorirlo.
Invito tutti a leggere questo libro e a fare le proprie riflessioni, con l'avvertenza che occorrono certe nozioni di economia per comprendere alcuni passaggi.
Ci tengo a sottolineare comunque che non sono d'accordo al cento per cento con quanto affermato nel libro; ritengo comunque che certe sfide siano state concrete e che fossero difficili da vincere. In altre parole, non è che, soprattutto di fronte a quanto avveniva oltre oceano, dove una sinistra esisteva ed esiste, ma è diversa da come la si concepisce in Europa, si potesse continuare imperterriti come si faceva prima. Né ritengo che per agire oggi basti riprendere le politiche di 40 anni fa (altrimenti i partitini paleocomunisti nostalgici avrebbero vita facile, e pure certi sindacalisti calcificati). Sono però del parere che, prima di calare le brache e di seguire a ruota i profeti del libero mercato, la sinistra avrebbe dovuto cercare di dare alcune "proprie" regole a mercato e globalizzazione.
Ad ogni modo, se questo libro coi suoi atti d'accusa non centra magari l'obiettivo al cento per cento, almeno cerca di iniziare a ragionare sul come e perché la sinistra abbia perso ogni contatto con le fasce di popolazione cui faceva riferimento, e, rispetto alla sterile rabbia che vedo in giro tra gli sconfitti dopo la debacle delle ultime elezioni, è già qualcosa di più utile.
Sì, ci sarebbe da riflettere, non solo per il partito, ma anche per gli elettori. Perché se tanti elettori (del PD) avevano votato Renzi perché giovane, si capisce poi perché si è finiti in questo casino. In tutti i partiti ormai mancano le basi, conta solo andare a governare e ottenere i privilegi che la poltrona comporta; della popolazione, non gliene frega niente a nessuno.
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RispondiEliminaEra stata data fiducia a Renzi: 40% circa alle ultime europee. Si vede cosa ne ha fatto, visto che ora il partito s'è dimezzato.
Fiducia mal riposta. E fa pensare come tanta gente l'abbia seguito, dato che ha perpetrato il modo di fare di Berlusconi, nonostante fosse stato palese quanti danni una simile guida ha fatto. Davvero la sinistra deve chiedersi chi è, dove sta andando e cosa vuole fare, perché questa non è più sinistra da un pezzo.
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RispondiEliminaStaremo a vedere adesso... se i nuovi protagonisti avranno il coraggio di mettere le mani in pasta e cercare di mettere insieme un governo, ovviamente.