domenica 12 febbraio 2017

Generazione perduta

Per un po' di giorni ho cercato di non scrivere niente sull'ultimo messaggio del giovane suicidatosi per non aver trovato lavoro e stabilità nella vita. Avevo pudore di affrontare un argomento così drammatico. Tuttavia, poiché il suo ultimo messaggio era (anche) un messaggio politico, e politico è il dibattito che ne è nato, ho vinto la ritrosia di entrare nel merito di una tragedia personale e deciso di parlarne, commentando alcune riflessioni trovate in rete e proponendo le mie.

Innazitutto una riflessione del Fatto Quotidiano su chi è responsabile per la situazione di tanti giovani disoccupati. Degna di essere letta, ma che non dice molto di nuovo e propone una soluzione, il reddito di cittadinanza, che però non avrebbe dato risposta al problema del giovane che si è suicidato e di tanti altri, che non sono necessariamente "alla fame" ma vorrebbero finalmente delle basi solide per vivere davvero e non limitarsi a sopravvivere. Credo si capisca chiaramente dal testo del messaggio di Michele, il trentenne che si è suicidato.



Testo che è stato anche, sorprendentemente, interpretato come il manifesto della debolezza di una generazione.


Ce la fa Maurizio Blondet, polemista di estrema destra, che evidenzia la frase "non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato," tratta dall'ultimo messaggio di Michele, per fare una tirata contro gli snowflakes, i mollaccioni, che hanno bisogno di un mondo fatto a loro misura e va a fare confronti con i giovani che vennero mandati alla guerra del 1915 senza alcun riguardo per le aspettative della loro generazione (come se da quella faccenda non siano venuti dei danni...). Ci sono alcuni punti della lettera in cui si può pensare che le aspettative del giovane fossero di poter lavorare con profitto proprio nel settore che si era scelto, e ovviamente è chiaro che non sempre la vita di una persona scorre così liscia, ma se Michele è arrivato al punto di uccidersi non è certo perché non gli è stato servito tutto quel che voleva pronto su un piatto d'argento, ma perché per lui non c'era un bel niente.

Altra interpretazione con cui non concordo la trovo su "La Stampa" in bocca allo scrittore Santarossa: la colpa non è dell'economia in sé, ma di chi ha fatto dell'economia un dio." Queste osservazioni e anche altre (vedi i post dei blogger in fondo a questo post) sul dover apparire a tutti costi, essere ricchi a tutti i costi, avere la possibilità di scegliere, avranno il loro valore ma se vogliamo riferirci al caso in questione penso che il problema centrale sia un altro, ovvero (e qui mi ripeto) che oggi per un giovane in cerca di lavoro non c'è praticamente niente. Niente che non sia il precariato al call center, il lavoretto in nero oggi sì e domani chi lo sa, il contratto a termine che non verrà mai rinnovato. Non credo sia un caso se nel finale della lettera di Michele c'è un riferimento al ministro Poletti che si permise di fare del sarcasmo sui giovani costretti a emigrare.

Io che di anni non ne ho trenta ma più di cinquanta posso vedere le cose da una prospettiva più lunga. Alla fine del servizio militare, dopo essermi arrangiato per qualche mese (facendo pure parte delle gloriosa classe operaia) ho trovato un lavoro ben pagato, superando una dura selezione ma senza raccomandazioni di alcun tipo (oggi sarebbe fantascienza, sì). Appena entrato scopro di essere vittima di un provvedimento che limita certi premi aziendali per i neo assunti: in pratica, nei primi cinque anni di quei soldi avrei vista solo una parte. Non mi parve giusto ma l'importante era lavorare. Poi col tempo ho visto che la storia si ripeteva. Stavolta a mio "vantaggio," nel senso che per affrontare le varie crisi si decideva volta per volta che ai neo assunti sarebbe stato tolto questo e quello. Il sindacato ci difendeva, sì. Mettendolo in quel posto a chi non poteva dire la sua perché non era ancora nell'azienda. Non c'è da meravigliarsi che i giovani oggi ai sindacati non si iscrivano nemmeno più.

Nel frattempo con la caduta del muro di Berlino le cose in Italia andavano peggiorando. Le nostre fortune si basavano su una industria manifatturiera a basso costo, eravamo come una Corea in mezzo all'Europa, ma ora quel ruolo era impossibile mantenerlo. Perché la nostra industria non era più competitiva: per fare comodo ai miliardari era stato aperto il mercato del lavoro globale.

Se vogliamo aggiungere qualcosa alla lista di colpevoli dell'articolo del Fatto Quotidiano citato sopra, penso che ci possiamo mettere proprio i sindacati, che non hanno manco cercato di fare una analisi e dire qualcosa.
Certo era difficile, il loro campo di azione è locale e non è semplice per loro affrontare una mossa globale. Ma non ci hanno provato, come non ci ha provato la sinistra, che anzi ha avuto una metamorfosi diventando qualcosa di ibrido, una strana creatura pronta più a flirtare con i potenti dell'economia che a difendere quelli che la votavano. Su quello che stava succededendo c'era il nulla culturale, si parloava confusamente di "grandi sfide che ci attendono" senza che nessuno dicesse apertamente che con certi sistemi le famose elite, cioè i ricchi, ci stavano fregando.
Il giudizio è ancora più duro se si pensa che per avere qualche presa di posizione si è dovuto aspettare, di tutti quanti, un politico di ultra destra come Donald Trump. Dopo quasi una trentina d'anni dall'inizio del problema.

Non ci abbiamo provato tutti noi, ipnotizzati per 20 anni dalla battaglia pro e contro Berlusconi (questa sì che è stata una vera "arma di distrazione di massa") mentre il paese andava a rotoli. Anche se a nostra discolpa c'è da dire che tutti i presunti salvatori della patria si sono rivelati politicanti disonesti e ingordi.

Salvo miracoli la nostra economia è destinata al disastro, se non è già successo è solo perché il mondo farebbe fatica ad assorbire il nostro crollo (e il default dei nostri titoli di stato). E allora, tra le varie conseguenze, la gioventù è disoccupata. Orribile situazione esistenziale. Intanto perché si vede il raccomandato, il figlio di papà che il lavoro invece ce l'ha (i figli dei ministri, per esempio). Inoltre perché il lavoro magari non nobilita l'uomo, ma è certamente crescita personale, lezione dura ed efficace di presa di responsabilità, capacità di rispettare tempistiche, collaborare con un gruppo, relazionarsi con una gerarchia. Infine perché senza il reddito non si creano le famiglie, i focolari, l'indipendenza personale, il futuro. Si vive una non-vita. Credo che Michele sia morto di questo.

Trovare una soluzione sarà difficilissimo, e ogni giorno è più difficile. Poco da stupirsi che la gente si uccida.

***

Segnalo su questo argomento gli articoli comparsi sui blog di Angelo Sommobuta, Germano Greco e Davide Mana.

Infine, in questo articolo la madre conferma che la lettera è autentica.

(La foto l'ho presa da Il Resto del Gargano).
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4 commenti:

  1. Degli articoli linkati avevo letto quello di Blondet e se ricordo bene denunciava con forza anche l'apatia della "generazione perduta". In un punto dice che se lo stato non ti dà quello che ti serve bisogna prenderselo, se necessario con le armi. Ma a questo ci si arriva solo se si supera una certa soglia di massa critica. E non è detto che prima o poi non avvenga davvero.

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  2. Può anche darsi che ci si arrivi... quando un popolo viene schiacciato può darsi che si ribelli. Ma le rivoluzioni a volte riescono e spesso no. Io che sono uscito di casa con un diploma in tasca e ho potto comprarmi la casa ho una profonda riluttanza verso il dare *qualsiasi tipo di lezione* a questi giovani e meno giovani ce si sono trovati tutte le porte chiuse, a differenza del buon Blondet che sputa veleno proprio sulla gioventù. Se qualcuno si è comportato con il lavoro come Bertoldo con l'albero su cui doveva essere impiccato ovviamente il discorso potrebbe essere diverso. Ma ricordo la mia rabbia di fronte a queste difficoltà, al sentirmi escluso. Se una società non ha spazio per i propri giovani è malata.

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  3. Situazione difficilissima da cui uscire e in cui ci si è voluti cacciare: si è fatto di tutto per arrivarci.
    La cosa che irrita, dopo che si subisce danni, è venire sbeffeggiati e irrisi da persone con le spalle coperte, che magari non hanno mai dovuto lavorare in vita loro. Altra beffa, le riforme del lavoro, che peggiorano sempre più le condizioni dei lavoratori, fatte da persone che non hanno mai lavorato e non immaginano neppure com'è il lavoro in fabbrica.
    Se una società fa l'interesse di pochi e non dà opportunità a tutti gli altri, non è malata: è lei la malattia.

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  4. @ M.T. primo passo a mio parere non andare più a votare per questi figuri. C'è molta gente che crede di doverlo ancora fare...

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