sabato 27 febbraio 2016

Lo Chiamavano Jeeg Robot

Come scrivevo tempo fa, generalmente al cinema italiano manca anche un'alzata d'ingegno opportunista e minima, una trovata su cui scommettere, e se esiste un film che con un'idea fuori dal consueto costruisce un piccolo caso spendendo pochi soldi, si può stare certi che non è italiano (nel post che ho linkato facevo l'esempio di Buried e Open Water, due pellicole mica esaltanti, ma che si sono staccate dall'anonimato per via delle idee che avevano alla base, idee studiate apposta per fare a meno dei grossi budget). Oggi come oggi l'encefalogramma è ancora piatto, con l'aggravante che la commedia all'italiana sembra tornata al successo, forse pure internazionale, una cosa gravissima. Quindi il clamore sollevato intorno a Lo Chiamavano Jeeg Robot mi ha portato a vedere senz'altro il film per capire se ci fosse per caso un cenno di vita. Oddio, va per prima cosa precisato che non è il primo tentativo italiano nel genere supereroi, anzi, il cinema nostrano ci aveva provato da poco, se vi ricordate, ma il Ragazzo Invisibile di Salvatores era un film decisamente per ragazzi (oltre a essere, se devo dar retta alle voci, una boiata). Comunque questo film di Gabriele Mainetti (che qui dirige il primo lungometraggio) mi è parso fortunatamente avulso dagli intellettualismi, dai filtri sociologici radical chic e dagli ammiccamenti soliti del cinema di casa nostra, mentre prende qualche ispirazione, a mio parere piuttosto evidente, da produzioni (fortunatamente) già di loro abbastanza fuori dal coro, come Romanzo Criminale e simili.

Il protagonista si muove nella consueta Roma disastrata, ma se non ci fosse il pesantissimo influsso dialettale (un'altra cosa di cui il cinema italiano non riesce a liberarsi, e questo film purtroppo non fa eccezione) potrebbe essere una qualunque metropoli vagamente italiana, una Gotham City de noantri, dove esistono i bassifondi in cui la gente si gioca la pelle per quattro soldi o una partita di droga, e le vite della gente normale, quella che andrebbe protetta dal male. Una città angosciata da attentati che si ripetono, e fanno da sfondo alla situazione tragicamente degradata in cui si muovono i personaggi.


Il richiamo al supereroe giapponese viene a fare da contrasto violentissimo con la realtà del protagonista, quella sua personale e quella in cui si muove. Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) infatti è un criminale di mezza tacca, e si muove in mondo di disperati in cerca di riscatto tramite il crimine, tutti uguali nella fame di soldi e ovviamente nel loro sciatto, squallido attaccamento alla realtà degenerata in cui vivono, nell'incapacità di sperare in un mondo diverso. Tanto che sarà faticoso per lui staccarsi da quella realtà per immaginare di poter essere qualcosa di meglio. Ceccotti fa piccoli lavori da criminale, vive da solo, non ha amicizie né affetti e non ne cerca, nel tempo libero mangia yogurt (o budino?) e vede film porno. La super forza gli arriva per caso (finendo a mollo nelle fetide acque del Tevere e incontrando una certa sostanza radioattiva non meglio specificata, un particolare abbastanza alla yankee), ma lì per lì non lo migliora... lo cambierà doversi occupare di una ragazza che non ha nessun altro a cui rivolgersi.

Lei è Alessia (Ilenia Pastorelli), un personaggio il cui ruolo serve da catalizzatore per il cambiamento di Ceccotti, ma che non ha molto da dire di suo, essendo praticamente impazzita dopo la scomparsa della madre e soggetta a ulteriori traumi nel corso del film. Psicologicamente bloccata in un mondo di fantasia legato al robot giapponese e al suo ambiente, chiederà più volte al suo salvatore (che in effetti, almeno all'inizio, vuol liberarsi di lei) di diventare un eroe per tutti, e non soltanto un ladro imbattibile.

L'antagonista è, a mio parere, interpretato dall'attore che riesce meglio nella propria parte, anche se è una parte odiosa ed esagerata. Luca Marinelli nei panni dello "zingaro" è un criminale frustrato e ambizioso, che vuol fare il grande salto, un po' come il Libanese in Romanzo Criminale, e ha delle strane manie: la pulizia ossessiva di tutto quello che tocca, l'atteggiarsi come una star glam-rock. Un guaio nell'importazione di una partita di droga provoca il coinvolgimento dello Zingaro e della sua banda con Ceccotti: dapprima è Ceccotti che rovina un "lavoro" allo Zingaro e lo mette nei guai coi suoi partner d'affari, poi sarà lo Zingaro a cercarlo perché è geloso del suo potere.


Questo film non è un capolavoro ma riesce a mescolare bene, pur facendone risaltare la difficile credibilità, il mondo dei supereroi con il filone dei malavitosi all'italiana. Un po' si attacca ai due temi, un po' li reinterpreta in un amalgama che comunque resta al cento per cento italiano. Diciamo che potrebbe essere la versione brutta sporca e cattiva dei film di supereroi, senza comicità alla Deadpool, interpretata con una visuale diversa, un po' come gli spaghetti western furono a suo tempo per il cinema americano dei film alla John Wayne. Non ho speranze che un simile successo e riconoscimento si verifichino, ma sarebbe bello. Giudizio finale: non un capolavoro ma godibile, e non è mai noioso: assai consigliato.

Leggi la recensione di Kara Lafayette
Leggi la recensione di Lucia Patrizi
Leggi la recensione di Germano Greco





8 commenti:

  1. Mi trovo abbastanza d'accordo. A me ha emozionato per un motivo: è il film di supereroi che non sono mai riuscito a fare. C'era un periodo che stavo fissato con i cortometraggi... Ma per mancanza di idee originali e di fondo, ho mollato tutto....

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  2. Guarda, io avrei voluto scrivere una storia di supereroi diversa da questa, ma comunque localizzata in maniera simile, nella periferia di Napoli o nelle borgate di Roma. M'è parso come se mi avessero fregato l'idea, anche se il mio eroe era assai diverso dal Ceccotti.
    Comunque questo Lo Chiamavano Jeeg Robot è soprattutto un bel film.

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  3. Grandissimo film. A me è piaciuto un sacco. Non sono d'accordo sulle tue osservazioni sull'uso del dialetto: in questo film ci stava molto bene secondo me. Lo Zingaro è un villain che può rivaleggiare con i cattivoni di altri film con budget più alti.

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  4. Non vorrei fare qui un derby (come ho visto altrove) tra quelli che volevano questo film con il parlato italiano e quelli cui va bene il dialetto. Io penso che un cineasta con un minimo di ambizione debba comunque, in ogni caso, tenere presente che non tutte le situazioni, le mimiche e le parole "di casa nostra" si traducono bene all'estero. Non so giudicare se Mainetti lo abbia fatto o no.
    Da parte mia, non amo mai il dialetto anche perché non ne parlo nessuno.

    Vero comunque che Marinelli ha interpretato alla grande il suo bizzarro personaggio. La sua prestazione per me è molto superiore a quella di Santamaria.

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  5. Come sai l'ho adorato e, sebbene io non ami per nulla l'utilizzo di inflessioni dialettali nei film, in questo caso mi è sembrata una scelta calzantissima anche perché diversamente i dialoghi sarebbero risultati forzati. E speriamo che il successo meritato di Lo chiamavano Jeeg Robot apra le porte a film italiani più coraggiosi delle boiate che ci vengono propinate settimanalmente!

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  6. Diciamo che il dialetto si può rappresentare in tanti modi... Monteleone quando ha fatto El Alamein non ha fatto parlare i suoi soldati in italiano puro e semplice ma non ha nemmeno ricreato la babele nazionale: gli attori hanno qualche inflessione che fa capire la loro origine. Questo è il sistema che piacerebbe a me, e che non snatura la natura "locale" di un film o di un personaggio. Ho odiato invece seguire certe volte Troisi coi sottotitoli, che nonostante un antenato partenopeo non mastico la lingua.
    Comunque sì, spero che con questo film cambi qualche cosa, praticare la condanna automatica (sarà una vaccata perché è un film italiano) è frustrante.

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  7. A me è piaciuto moltissimo perché è italiano... e realizzato bene, anche dal punto di vista tecnico, ma di questo avevamo già visto degli esempi. Sinceramente non mi sono posto il problema del dialetto, perché l'ho automaticamente classificato come naturale, per quei personaggi, e pertanto non mi ha dato nessun problema. Anche nei film in inglese fortemente localizzati di solito la parlata ha influenze locali, solo che non sempre siamo in grado di cogliere le differenze.

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  8. cogliere le differenze in inglese... ah io di certo no. Comunque ultimamente ci sono stati diversi film italiani, e produzioni televisive, meglio della schifezza che viene prodotta di solito. Mi spiace un po' che ci siano sempre di mezzo bande di criminali, poliziotti che menano, droga, ecc...
    Adesso spero in un bel film italiano che parli di qualcos'altro...

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