giovedì 19 marzo 2015

The Zero Theorem

Avendo in passato parlato di tutti i film diretti da Terry Gilliam non potevo mancare di interessarmi a questo Zero Theorem, girato nel 2012. Gilliam, che oggi come oggi è anziano e probabilmente nella parabola discendente della sua carriera, non trova più l'occasione per girare delle produzioni con budget elevato, e ci propone un film a basso costo ma molto vivace e colorato, con qualche richiamo alla distopia di Brazil e all'angoscia dell'Esercito delle Dodici Scimmie. La storia ci presenta la vita di un geniale programmatore che può sembrare divertente per i molti aspetti bizzarri ma è, invece, di una dolorosa tragicità, nemmeno tanto difficile da cogliere, almeno a mio parere.


Il protagonista del film, Qohen, è interpretato da Cristoph Waltz, attore tedesco ormai famoso per le produzioni statunitensi in cui è riuscito ad apparire. Sinceramente Waltz non è uno dei miei attori preferiti ma in questo caso fa un gran lavoro e tiene insieme un film che, dal punto di vista della trama, non è proprio organizzato benissimo, finendo per debordare nel bailamme roboante e bizzarro tipico delle produzioni di questo fantasioso regista.

Qohen è un programmatore geniale, apprezzato dal suo supervisore, ma è anche un personaggio particolarmente nevrotico. Vive in una chiesa danneggiata da un incendio, ma fin qui non è poi così bizzarro, in quanto il mondo che lo circonda quando esce per andare al lavoro, e anche la sua azienda e il suo supervisore, sono una continua esagerazione di immagini buffe, colori sgargianti e sonorità invadenti. Qohen è intelligente, però fortemente limitato come personalità: solitario, asociale, uso a riferirsi a se stesso con il "noi," tormentato da mille nevrosi. Le speranze di Qohen si riconducono a una misteriosa telefonata che anni prima gli aveva promesso la felicità, telefonata che aveva lasciato cadere per sbaglio, e che spera di ricevere di nuovo. Una psicoterapeuta che è in realtà un'intelligenza artificiale (l'ineffabile Tilda Swinton) cerca di tenerlo sotto controllo, sempre per conto dell'azienda per cui Qohen lavora (una specie di colosso intrusivo e monolitico tipico del mondo corporativo moderno, e che contribuisce all'atmosfera distopica del film).


Quando il suo supervisore lo informa che "Management" (un onnipotente grande capo, interpretato da Matt Damon) lo vuole per un progetto che ha fatto quasi andare fuori di testa altri programmatori, Qohen si lascia coinvolgere, e inizia la ricerca della dimostrazione dello Zero Theorem, che è una teoria secondo la quale l'universo è destinato a un annientamento senza scampo e significato, in un buco nero finale. Management non spiega nemmeno perché vuole la dimostrazione, ma il compito è praticamente impossibile, e quando Qohen saprà il nichilistico fine dei suoi sforzi sarà assai indignato. (*)

In tutto questo, Qohen fa conoscenza a una festa con la bella Bainsley (interpretata dall'attrice francese Mélanie Thierry) che dapprima lo salva da un'oliva che lo stava soffocando, poi insiste per conoscerlo e dargli conforto. Il rapporto con la ragazza è ambiguo. Sembra che offra a Qohen vicinanza e conforto, cercando di entrare nella barriera della sua timidezza, ma lui scopre che è una spogliarellista via webcam, e poi che anche lei è controllata da Management. Eppure sembra sincera quando vuole offrirgli una via di fuga, virtuale all'inizio ma poi anche reale, dall'oppressione del mondo. Quando si convincerà di amarla, Qohen comincerà a cambiare...

Questo film riprende molti dei temi di Gilliam, che camuffa tematiche serie fra mille bizzarrie e sottotrame. Il ruolo di Qohen, incapace di vivere la vita in quanto schiacciato dalle angosce esistenziali, e di desiderare qualcosa di reale, è classico nei film di questo regista: l'uomo schiacciato da dei poteri che non può sperare di sconfiggere. Allo stesso tempo però può cercare di compiere il proprio riscatto individuale nella ricerca della verità e della felicità.

The Zero Theorem non ha incassato un gran che e ha avuto una distribuzione piuttosto modesta, purtroppo. Pur essendo la rielaborazione di tematiche già trattate da Gilliam mi è piaciuto molto, anche perché è comunque diverso da Brazil, a cui può per alcuni concetti riferirsi. Può darsi ovviamente che uno spettatore meno parziale di me (io amo il lavoro di questo regista) la veda diversamente, ma per quanto mi riguarda sono rimasto fortemente e positivamente impressionato.


(*) Una breve nota sulla "Crunch Theory" secondo cui l'universo si spegnerà nel nulla: non vedo cosa ci sia di così sconvolgente. La nostra galassia, che ruota intorno a un centro dotato di forza gravitazionale invincibile (si tratta di un buco nero dalla massa immensa), richiama anche nella forma un mulinello fatto dall'acqua che sta inesorabilmente cadendo nel tubo di scarico del lavandino. Tale fine inevitabile e poco gloriosa è paradossalmente di nessuna importanza per noi che nasciamo, viviamo e moriamo in una stella periferica coinvolta in tale processo, in quanto siamo così effimeri da non avere nulla da preoccuparci per quello che sta accadendo. Strano, eh?



2 commenti:

  1. Anche a me è piaciuto molto, tanto che sto meditando di rivederlo...

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  2. @Ivano Landi: io l'ho trovato davvero un film notevole. Per certi aspetti ricalca stile, temi, scenografie già viste... eppure ha i suoi tratti di originalità rispetto ad altri film di Gilliam che affrontano le stesse tematiche.

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