martedì 4 settembre 2018

Il valore di oscurità, oscenità e cinismo

Vi propongo un mio articolo apparso su Melange, rivista online del fantastico.

Joe Abercrombie

Mi piace riflettere sulle idee degli autori del fantastico. Sono andato a ripescare un post di diversi anni fa (2013) scritto da Joe Abercrombie sul suo blog, nel periodo in cui i libri ambientati nel mondo della Prima Legge erano una novità di successo. Abercrombie difende il valore del "grit," della grinta, per tradurlo letteralmente, e del grimdark, quel genere di fantastico in cui violenza e cinismo predominano.

Abercrombie in questo articolo concludeva affermando che l'oscurità, l'ambiguità morale e il cinismo sono "usciti dalla bottiglia" con A Song of Ice and Fire di George Martin (e conseguente successo televisivo) e sono destinati a rimanere fra noi, e che hanno comunque rinvigorito un genere logoro.

Non voglio giudicare il post di Abercrombie dal finale, ma da esso comincio a dire la mia: innanzitutto a me è sembrato che la serie di George Martin abbia molto di realistico e storico, essendo stata riconosciuta da diversi come una storia d'Inghilterra mascherata da fantasy, e che la sua trasposizione televisiva abbia rincorso se mai i gusti del pubblico in materia di violenza e sesso, e quindi rappresenti ben scarsa vittoria per il fantastico. Prendete la mia affermazione come volete, a me non è piaciuta l'opera di Martin e nemmeno la sua trasposizione in serie TV.


Importante notare, qui, come la "moda" del Grit o Grimdark sia presentata come la grande novità, mentre invece non lo è. Così come il fantasy non è nato con Tolkien e non ha sempre avuto nani, elfi e orchetti come comprimari della lotta tra il bene e il male, storie assai oscure sono state scritte da altri molto prima di George Martin o Abercrombie. Qui sembra evidente che il nostro autore abbia ignorato volutamente i moltissimi esempi che smentiscono le sue parole, perché non ci vuole un esperto per smentirle, basta uno che abbia letto qualcosa.

Il fantasy di Michael Moorcock con il mondo di Elric, per fare un esempio che ha i suoi bravi decenni sulle spalle, potrà non contenere situazioni in cui tutti i personaggi sono negativi, ma il male ha sovente la meglio e tutto si trasforma in tragedia, con addirittura un finale che comporta l'annientamento del mondo. Il mondo di Zothique di Clark Ashton Smith, per andare indietro di poco meno di un secolo, aggiunge l'orrore necrofilo alla mestizia di un mondo che si dibatte nell'ultima agonia prima della distruzione definitiva. Ci potrei aggiungere la serie della Black Company di Glen Cook, e qui mi fermo per non sparare sulla Croce Rossa.

Abercrombie non pretende di essere realistico, sa che il mondo "reale" non è tutto così pieno di cinismo e violenza, ma che questi sono elementi che esistono e che, se si scrive fantasy, si deve accettare che la realtà venga "esagerata per fare più effetto." Visto che esistono forze magiche, stregoni e incantesimi, qualche forzatura rispetto a ciò che è semplicemente "il mondo reale" ci sta, no? Be', sul fatto che il "Grit" di Abercrombie renda le storie più speziate rispetto alle prevedibili vicende di un eroe senza macchia e senza paura, sono d'accordo, per quanto uno possa aver voglia anche di leggere le seconde, perché no? Uno scrittore come Tolkien non evita di parlare di cose ripugnanti, comunque: le accenna con stile e senza voglia di soffermarsi e sguazzarci dentro. Ma il punto su cui credo sia il caso di criticare l'affermazione di Abercrombie è un altro, a mio avviso. Un conto è rinunciare al realismo per introdurre l'elemento fantastico che altera il mondo su cui i protagonisti si muovono, un altro è cercare "l'esagerazione" che fa effetto alterando la rappresentazione della natura umana, perché nel secondo caso il lettore rischia di non sapere più se si sta parlando di persone o di qualcos'altro.

In Best Served Cold (Il Sapore della Vendetta) si può vedere un esempio di questo: la mercenaria Monza, che vuole vendicare il fratello punendo il Duca Orso che lo ha ucciso, inizia un percorso di vendetta in cui (attenzione alle anticipazioni) ogni valore sarà travolto. La vendetta di Monza diventa una mania, un fiume di sangue fine a se stesso e che coinvolge molte persone innocenti. Uno degli alleati di Monza, Brivido, percorre tutta la parabola da ragazzo fuggito dalla violenza del nord in cerca di un futuro migliore a traditore e assassino. Alla fine anche la vendetta di Monza, il fine che ha giustificato tutto, perde ogni valore perché viziata dal fatto che la donna non conosceva bene i fatti (questo è uno stratagemma che Abercrombie usa anche altrove): il Duca non ha ordinato di uccidere dei fedeli servitori, il fratello di Monza stava veramente tramando contro di lui. Best Served Cold è un libro che parte bene a alla fine scivola nell'irrilevanza, poiché il lettore osserva il violentissimo spettacolo senza avere più simpatie per alcuno. Questo è il problema del "Grit," e Abercrombie dice di saperlo, ma sembra che in pratica non se ne renda conto. Quando si esagera con un ingrediente forte e speziato, si rischia di rovinare la pietanza, fredda o calda che sia.



4 commenti:

  1. Martin ha puntato molto sugli intrighi: per questo mi ha ricordato tanto la politica italiana e non mi ha coinvolto (ne ho abbastanza dell'originale). Se a questo ci si aggiunge che ha perso il bandolo della matassa e il controllo della sua creazione... Riconosco però che sa caratterizzare bene i personaggi. La serie tv come costumi e fotografia è molto buona, senza contare la bravura degli attori e la regia; logicamente, se non piace la storia di Martin difficilmente piacerà. Ma va riconosciuto che è stato fatto un buon lavoro.

    Concordo con te che non è stata una novità: già altri l'hanno fatto. Anche se non ai livelli di autori che citi, metterei anche Donaldson.
    Sì, Best served cold parte bene ma poi l'esagerazione lo rovina. Molto meglio The heroes: c'è la violenza, ma ha anche dei significati oltre lo spargimento di sangue.

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  2. Mi rendo conto che George Martin ha i suoi estimatori e non faccio discriminazioni (che sarebbero personalissime) contro chi lo apprezza, ma io continuo a trovare solo noia in quello che ha scritto, e dopo un tentativo con il primo episodio ho mollato anche la serie TV.

    Quanto ad Abercrombie per alcuni aspetti è bravo, ma non ho trovato nessuno dei suoi libri che metterei a paragone con i grandi classici del genere. Deve crescere ancora un pochettino, direi, anche se ha un bello scrivere.

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  3. Come Martin, Abercrombie sa caratterizzare i personaggi. Ma mondo e temi trattati dovrebbe svilupparli di più.

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  4. Per Abercrombie tutto è un pretesto. Alcuni dettagli della sua ambientazione vengono abbastanza bene (per me, ad esempio, la società dei nordici) altri sono buttati lì con poca convinzione. A lui interessa poco il dettaglio del "palcoscenico."

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