domenica 29 gennaio 2012

Tutto è già stato scritto?

Mentre guardavo un film non proprio eccelso, ho avuto una fortissima delusione. Per poterlo spiegare, partiamo dal film. Non un gran che in verità: I Guardiani del Destino, diretto da George Nolfi che ne firma anche la sceneggiatura, è tratto da un racconto di Philip Dick (che non ho letto); Matt Damon fa la parte di un uomo politico la cui carriera arranca, in bilico tra valide possibilità di successo e difficoltà non meno serie. Incontra per caso una donna (interpretata da Emily Blunt) che suscita il suo interesse, ma inizia una serie di contrattempi che impediscono o rendono difficili i contatti fra i due. Queste circostanze insospettiscono il nostro uomo politico che, per farla breve, scopre l'esistenza di una misteriosa organizzazione che sembra avercela proprio con lui, e in particolare vuol fargli rinunciare alla relazione (i Guardiani del titolo). Insomma ci sono dei custodi, non malevoli ma che all'occorrenza possono anche usare le maniere forti, che possono scegliere tra possibili corsi del futuro, e a quanto pare il mondo sarebbe un posto peggiore se il nostro eroe sposasse la sua bella.
La cosa non sarà certamente di una originalità pazzesca e nel film è svolta anche con una buona dose di sciocchezze e melensaggini, quello che mi dava fastidio è che i concetti e la maniera in cui erano svolti ricalcavano assai da vicino (in alcuni punti) un'idea che avevo avuto per i fatti miei, riguardo a una trama fantasy: il seguito del mai uscito Magia e Sangue. A dire il vero l'elemento che volevo introdurre non era quello dei "guardiani" onnipotenti ma quello di una scienza magica inesatta, che indica una persona o un luogo, o una circostanza come essenziali punti di svolta per lo sviluppo degli eventi futuri, lasciando agli specialisti (maghi, perché è una storia fantasy) l'onere di interpretare e di agire di conseguenza - o magari di astenersene.
Ero sempre stato convinto che qualsiasi materia uno la possa sempre riprendere in maniera originale, anche se non c'è storia che non sia stata già svolta (e a quanto pare tutto si riduce alle scarne e semplici funzioni di Propp). Pensavo addirittura che, svolta in questo modo, fosse una trattazione mai vista e assai fantasiosa delle tematiche di predestinazione e fato. E invece no. Anzi, stavolta ci sono proprio rimasto male perché se continuassi per la mia strada mi sentirei invariabilmente dire (dall'eventuale lettore): ok, hai guardato anche tu quel film, letto anche tu quel racconto?
Insomma, tutto è già stato scritto?

mercoledì 25 gennaio 2012

Non aver paura del buio

Remake di un film per la TV che aveva avuto successo nei lontani anni '70, questo Non aver paura del buio gode, per così dire, addirittura di una sceneggiatura di Guillermo del Toro. Probabilmente roba di quando non sapeva ancora fare i film, perché c'è una carrellata di luoghi comuni dell'horror, e di personaggi stereotipati, da far paura. Paura per modo dire, perché qui l'orrore fa più che altro sbadigliare, e i mostri in un paio di scene non si decidono se essere simpatici folletti o spaventose minacce.
Tutto ruota attorno a una casa dove la piccola Sally è portata controvoglia da papà (e dalla fidanzata di papà). Casa che ospita nelle cantine una presenza pericolosissima, ma il giardiniere che sa non dice. Mi fermo qui, che non c'è molto altro da aggiungere.

lunedì 23 gennaio 2012

Tideland

Continuando la carrellata su Terry Gilliam, è doveroso fare una fermata qui: presso una pellicola che il regista ha prodotto sicuramente come voleva, senza imposizioni, ma che non posso dire di aver apprezzato.
Tideland è una commedia macabra, uno scatenarsi della fantasia, con toni oscuri e minacciosi ma senza la piacevolezza estetica delle tematiche alla moda oggi (ovvero vampiresche, "gotiche", ecc...). E' la storia di una bambina (Jeliza-Rose, interpretata da Jodelle Ferland) che cresce in balia di genitori tossici (interpretati da Jennifer Tilly e Jeff Bridges) e resta presto orfana di entrambi, completamente abbandonata in mezzo a un panorama vuoto, abitando assieme al cadavere del padre in una casa che sta andando a pezzi. Come unica compagnia inizialmente ha le teste di alcune bambole, con cui fa conversazione; ma presto scoprirà una fattoria vicina, e farà la conoscenza di una coppia fratello e sorella (attori: Brendan Fletcher e Janet McTeer): lei inquietante almeno tanto quanto erano stati i suoi genitori, lui mentalmente ritardato.
La piccola sopravvive, in mezzo a situazioni di cui non si rende pienamente conto, così come non capisce davvero che il padre è morto, e sviluppa tutto un mondo di fantasticherie. Una specie di Alice che inventa le proprie meraviglie in una realtà troppo orrenda per essere vera.
C'è una metafora, qualcosa che dovremmo capire? L'infanzia innocente che permette di sopravvivere a tutto? Non so, direi soprattutto che c'è una sceneggiatura inesistente. Le immagini, le fantasticherie, i soliloqui creano alcuni momenti poetici, ma non posso dire che questo film mi sia piaciuto, e dopo un po' anche in mezzo a tutte le illogicità e follie ho perso anche la voglia di guardarlo, trascinandomi fino alla fine per sola volontà.
L'amicizia tra Jeliza-Rose e il ragazzo minorato diventa una specie di follia a due, poiché lui ha le sue fantasticherie di essere comandante di un sottomarino e di dover affrontare il temibile "squalo di terra" che in realtà è il treno della vicina ferrovia, che passa fragorosamente con regolarità. Poiché la ragazzina bacia il suo amico e se ne innamora, c'è chi ha gridato allo scandalo (pur avendo la mentalità di un bambino, lui è un adulto). Io non mi farei troppi problemi su questo aspetto, il vero problema del film è che non è abbastanza interessante.
Alcuni aspetti ovviamente riprendono tematiche care a Gilliam, e con la sua consueta autoindulgenza. Ma purtroppo senza l'impalcatura di una sceneggiatura valida (la fine non ve la racconto neanche) spezzoni di fantasia non reggono tutta la durata di un film.

venerdì 20 gennaio 2012

Underworld - Il Risveglio

Non so chi me lo ha fatto fare, visto che non avevo neanche i fidati occhiali 3D con me e ne ho dovuto pagare un altro paio (insomma, fra tutto 11 euro, che di questi tempi è una spesa). Un 3D che peraltro non si gode molto: fa la differenza in poche scene, insomma superfluo come al solito. In parole povere, sono andato a vedere la quarta puntata della serie di Underworld fra adolescenti starnazzanti e varia gioventù che non sa star zitta durante le proiezioni.
Con Underworld - Il Risveglio la serie si prende una rinfrescata e un nuovo inizio per l'ovvia ragione che più o meno la precedente trilogia aveva detto quello che c'era da dire. Quindi si riparte con una bella pandemia, la licantropia e il vampirismo che si diffondono tra gli umani, da sempre ignari (prima!) della lotta tra lycans e vampiri. Non c'è tempo però per fare il verso ai vari Resident Evil o 28 Giorni (Settimane, Mesi, ecc...) dopo. O meglio il tempo ci sarebbe perché il film non dura nemmeno un'ora e mezza. Comunque si arriva subito alla scena in cui Selene (ovvero Kate Beckinsale, la ragione ultima per cui tutto ciò esiste) cerca di salvare il suo amato Michael (vi ricordate Underworld Evolution?) ma viene coinvolta in un'esplosione.
Gli umani hanno fatto fuori tutti? No. Passa il tempo, e Selene riesce a sfuggire da una cella criogenica (?) di contenimento, ed evade dalla sinistra sede di una società chiamata Antigen. Si tratta di una società farmaceutica che ha qualche segreto da nascondere, e sembra che lo nasconda anche alla polizia. Vuole scoprire di più su vampiri, lycans e sui loro ibridi.
Selene scopre che è stata liberata da una misteriosa ragazzina che si rivela essere nientemeno che sua figlia... ma anche che la lotta tra vampiri e lycans non è affatto finita. Però adesso ci sono umani che manipolano la situazione... ma sono veramente umani?

Be', questo è un pezzo di trama, se ne valeva la pena. Come al solito abbiamo azione, botte da orbi, la protagonista con la sua solita tutina nera, mostri per tutti i gusti. Il film pone le premesse per un ulteriore seguito, ma stavolta credo che la prima visione me la risparmierò.

giovedì 19 gennaio 2012

La Trilogia Steampunk

Paul Di Filippo è un eclettico autore statunitense (nonostante il cognome) di fantascienza, che si è dilettato molto con lo steampunk. La sua Trilogia Steampunk, risalente a una quindicina di anni fa e ora pubblicata in italiano da Delos Books, è una raccolta di tre racconti corposi (o romanzi brevi, fate un po' voi) di ambientazione ottocentesca. Ucronie, se vogliamo: di macchinari strani non se ne vedono proprio moltissimi, e comunque non sono al centro dell'azione; comunque lascio ad altri il verdetto, le classificazioni nei sottogeneri non sono il mio mestiere.
Il primo racconto, Vittoria, ci presenta lo scienziato Cowperthwait alle prese con un terribile problema: un ministro lo avverte che la regina è scomparsa, ed è necessario il suo aiuto per nascondere l'accaduto. Il nostro eroe ha proprio quello che ci vuole per mantenere il segreto: almeno per un po'.
 In Ottentotti il naturalista Louis Agassiz (nella realtà un grande sconfitto della scienza, perché rifiutò le teorie darwiniane) si trova imbarcato in una pericolosa avventura per impedire che un prezioso feticcio vada nelle mani sbagliate. Mani sbagliate che appartengono a una serie di personaggi pittoreschi e stravaganti. In parte presi dalla storia, ma non mancano delle sorprese. Anche gli alleati del nostro eroe, che in realtà è dipinto in una maniera che lo rende piuttosto odioso, sono di varia e talvolta bizzarra provenienza. Non svelo se Agassiz uscirà vincitore da questa avventura, ma vi assicuro che probabilmente non farete il tifo per lui. Walt ed Emily, il terzo racconto, ci porta invece nel mondo dello spiritismo e in un viaggio transdimensionale alla ricerca di verità, contatto coi defunti e con l'aldilà, e del proprio destino. Per i due personaggi letterari cui è intitolato il racconto (Walt Whitman ed Emily Dickinson) il viaggio porta sviluppi inaspettati, distaccandosi anche dalla realtà storica.

Lo stile è scorrevole e piacevole, le citazioni culturali infinite e talvolta molto divertenti, anche se la risata sui costumi dell'800 a volte si spinge un po' sul becero: ma non si può negare all'autore una gran conoscenza della materia. Predominano arguzia e ironia, che marciano a ritmo spedito nei primi due racconti, dei quali mi sento in dovere però di criticare l'eccessivo uso di una grottesca comicità basata sul sesso: ciascun lettore giudichi fino a che punto fa ridere, ma l'eccesso sfocia nel pecoreccio, con qualche scena che sembra tratta dalle sceneggiature dei film con Alvaro Vitali.
Il terzo racconto è più riflessivo e profondo, anche poetico, sarebbe forse il migliore della trilogia ma purtroppo non ha la verve dei primi due. Giudizio finale: curioso, da leggere, anche se personalmente posso dire che "si fa leggere," ma non che mi abbia entusiasmato.


domenica 15 gennaio 2012

Parnassus - L'Uomo che voleva ingannare il Diavolo

Questo forse non è il miglior film di Terry Gilliam (che, ha raggiunto l'apice della carriera con Brazil, nell'opinione generale; personalmente considero l'Esercito delle 12 Scimmie a un livello paragonabile). Tuttavia ci sono molti aspetti di Parnassus che ne fanno uno spettacolo veramente piacevole e stimolante.
Nello stile immaginifico e imprevedibile di Gilliam, il discorso va sulle scelte che facciamo, e sulle conseguenze che hanno sulle nostre vite. Il Dottor Parnassus (Christopher Plummer) mette in opera una specie di teatro viaggiante su un carrozzone (la maniera pittoresca in cui è realizzato è già un motivo sufficiente per vedere il film) e offre uno spettacolo magico, l'Imaginarium: dà la possibilità al pubblico di entrare in un mondo alternativo dove possono scegliere tra la via di un miglioramento e le tentazioni del vizio. Parnassus è un uomo di età indefinita, dagli straordinari poteri; ha ottenuto una nuova giovinezza facendo una scommessa col diavolo: mettendo in palio una cosa molto preziosa, però. E' accompagnato dal nano Percy (Verne Troyer), dal giovane Anton (Andrew Garfield) e dalla figlia Valentina (la splendida Lily Cole).

Heath Ledger, che è morto durante le riprese del film, viene ad aggiungersi alla troupe nei panni di Tony, un personaggio dal passato piuttosto burrascoso, visto che viene salvato da un ponte dove è stato impiccato (il riferimento del regista è alla morte del banchiere Calvi). Le cose non vanno bene per Parnassus. Innanzitutto lo spettacolo e lo stesso concetto dell'Imaginarium non hanno più molta presa nel mondo di oggi, la gente non ascolta più il venerabile saggio (una figura in cui Gilliam raffigura se stesso, mentre invecchia in un mondo che non lo vuole più ascoltare). Inoltre il diavolo (interpretato da Tom Waits) sta per riscuotere il suo pegno: l'anima di Valentina.

Notoriamente, Gilliam ha dovuto fare di necessità virtù, sostituendo con le interpretazioni di tre attori (Johnny Depp, Colin Farrel, Jude Law) Heath Ledger deceduto durante la lavorazione. Dicono che non sia stato necessario cambiare la trama... non so. In definitiva (e qui prego chi non vuol rivelazioni sulla trama di saltare il paragrafo) il personaggio di Tony/Ledger sembra intorbidito da un passato disonorevole, ma desideroso di migliorarsi; una via di salvezza per lui sarebbe stata forse più sensata, almeno nel senso del cinema più convenzionale, della sua morte in una nuova impiccagione. Lieto fine invece per Valentina, anche se le regole della scommessa sulle anime da salvare vengono pasticciate, sembra che al diavolo non interessi vincere, ma continuare una specie di gioco delle parti che ha acceso da secoli con Parnassus (ma questo fa perdere importanza alla premessa del film). Il finale, con Percy (l'assistente nano) che impedisce a Parnassus di iniziare una nuova scommessa, potremmo intenderlo come una vittoria della saggezza o vederlo con l'amaro in bocca, come una rinuncia del Dottor Parnassus a giocare il proprio ruolo di alfiere di fantasia e creatività.

Insomma, qui Gilliam (come in altri film) gigioneggia e straborda con l'immaginazione, senza però centrare il bersaglio dal punto di vista della trama. Per la verità, questo non mi impedisce di amare il film (anche l'Esercito delle 12 Scimmie aveva qualche incongruenza del resto).
Come altre volte il regista fa un uso strano degli effetti speciali, delle inquadrature, delle scenografie e dei colori. Come altre volte, il senso del film è nello spettacolo, nella fantasia, nelle emozioni che suscita, più che nella storia che si rivela deboluccia.

domenica 8 gennaio 2012

Brazil, capolavoro di Terry Gilliam

Non ho visto tutti i film dello straordinario Terry Gilliam, ma ho deciso, per quello che posso, di scrivere sulla sua opera: lo ritengo infatti uno dei maggiori esponenti del fantastico nel cinema. Ho cominciato a parlarne già diverso tempo fa, commentando un film che non si poteva tralasciare, ovvero L'Esercito delle Dodici Scimmie. Doveroso, ora, parlare di Brazil. Un film uscito nel 1985, che voleva riprendere le tematiche del 1984 orvelliano ma voltandole in chiave comica, satirica, di commedia nera. Vi sono molte altre influenze, in realtà, dal cinema dell'anteguerra, da Fellini, Kafka, perfino una citazione dalla Corazzata Potemkin (per noi italiani, di fantozziana memoria).
La genialità del film è di aver creato una cupa distopia riuscendo a riderci sopra, a creare umorismo dalle circostanze più impossibili, riuscendoci.

Il protagonista Sam (Jonathan Pryce) conduce una modesta esistenza fatta di lavoro noioso e sogni insoddisfatti (i sogni e le fantasticherie sono un elemento cruciale del film). Nei sogni desidera salvare una bella ragazza, che poi si materializzerà in Jill, la vicina di un certo Buttle, una persona il cui destino si incrocia con quello di Sam perché, a causa di un banalissimo errore burocratico, Buttle è stato eliminato dalla polizia segreta e Sam dovrebbe indagare sull'evento. Buttle in effetti è quasi omonimo di Tuttle, un guerrigliero che si batte contro il governo (interpretato da Robert de Niro), e il problema verificatosi (una mosca incastrata nella stampante!) ha portato al suo arresto. Poiché Jill vuole risolvere il mistero di Buttle e aiutare sua moglie (vedova in effetti), Sam si fa promuovere dalla madre (maniaca degli interventi di chirurgia plastica e dotata delle necessarie relazioni) a una posizione in cui può accedere a informazioni riservate. Questa nuova posizione giunge a fagiolo, perché Sam è in grado di aiutare Jill prima che sia travolta dall'interessamento della burocrazia, la quale non potendo ammettere di aver fatto un errore con Buttle, potrebbe sopprimere sopprimere la ragazza a motivo delle sue proteste. Ma Sam ha esagerato nell'uso dei suoi poteri...
Ci fermiamo qui per non rivelare troppo della trama. Non c'è un lieto fine, anche se Gilliam ha dovuto lottare perché la produzione non ne imponesse uno (come è effettivamente avvenuto, ad esempio, per Blade Runner). La burocrazia asfissiante, disumana e omicida è il tema prevalente del film, ed è mostrata in molte personificazioni e metafore: dalla spietata indifferenza dei funzionari, da un onnipresente marchingegno fatto di intricate tubature che dovrebbe fornire aria condizionata o riscaldamento a seconda delle esigenze, e non funziona mai, dalle cartacce che assumono un ruolo assai sinistro in una certa scena, dalla generale sensazione di oppressione. Ma anche dalla terribile normalità di tanta gente, per prima la madre di Sam, che si preoccupa solo di sfruttare i suoi privilegi per condurre una vita privilegiata e cercare di sembrare una ragazzina per mezzo del bisturi.
L'eroe non ha una statura drammatica, e la sua ribellione è molto velleitaria, ben poco consapevole: la sua lotta è semmai più orientata a sconfiggere la propria intima repressione e ottenere il cuore di una ragazza. Questo permette di parlare di argomenti cupi con toni leggeri, almeno superficialmente: anche se in realtà l'effetto è estremamente disorientante. La visione cupa di un mondo in cui governano le macchine, e uomini che si comportano come macchine, non lascia certo col sorriso sulle labbra.
Questo è un film straordinario, nonostante la consueta caoticità di Gilliam lo renda in alcuni momenti un po' eccessivo o confuso. Purtroppo, parlarne non rende l'idea. Guardatelo, quindi.

giovedì 5 gennaio 2012

L'Ombra dei Sogni

L'Ombra dei Sogni è una raccolta di racconti molto esile (nemmeno cento pagine) di Fabio Musati, scrittore con già un paio di pubblicazioni alle spalle; l'esilità non impedisce alla casa editrice Edizioni Cento Autori di prezzarlo a ben 10 euro.
La brevità comunque non è un problema per me, e nemmeno la diversa natura dei racconti, che spaziano in diversi generi: anzi la varietà di questa raccolta è interessante. Abbiamo dei personaggi alla ricerca di misteri, situazioni kafkiane, drammi e tragedie, prospettive sulla natura umana.
A volte i misteri non si disvelano, e a volte il finale mi lascia perplesso anche quando la storia in sé ha risvegliato interesse.
Storie strane. Un capolinea del metrò di Milano, che conosco bene, diventa un posto misterioso (le persone scompaiono! O è il personaggio narrante a essere diventato pazzo?). Un tizio che fa strana vita da recluso, scrivendo manuali per elettrodomestici come lavoro, che ad un certo punto si ritrova un criceto in casa, che subdolamente interrompe la sua routine fossilizzata. Curiosità, storie dell'assurdo, indagini che finiscono nel nulla... i racconti di Musati mi ricordano un po' il grande Buzzati, e alcuni sarebbero molto carini... se fossero un po' meno ermetici.