martedì 29 novembre 2011

Spartaco Albertarelli sul boardgame design



Intervento al Politecnico del più grande progettista di giochi italiano (o per lo meno, quello con maggiore diffusione e successo commerciale).
Confesso che non l'ho ancora visto tutto, comunque molto interessante.



lunedì 28 novembre 2011

Hereafter

Film di storie parallele che si incrociano, con risultati talvolta positivi: l'argomento è lo spiritismo. Premessa molto interessante, per me. Questo perché ho avuto (come molti) quelle esperienze di "incontri" nei sogni o nel dormiveglia, e quelle sensazioni di deja vu, che sebbene spiegabili scientificamente fanno decisamente pensare a un'esistenza separata di anima e corpo.
Ma questo film qua e là è riuscito a rendermi noioso perfino un argomento che considero affascinante, nonostante i momenti spettacolari e un regista (Clint Eastwood) che non reputo dei peggiori. Forse non era adatto al ruolo del medium Matt Damon? Forse è noiosa la parte interpretata da Cécile de France, giornalista e scrittrice in crisi d'identità dopo un'esperienza di "quasi morte" in occasione dello Tsunami del 2004? A Hereafter riconosco un merito: una prospettiva abbastanza insolita sulla vita di una persona dotata della capacità di contattare i morti. Il protagonista George (Damon) non vuol più svolgere quel mestiere tanto redditizio e preferisce (nella prima parte del film) fare l'operaio, perché altrimenti avrebbe continuamente a che fare con i morti e con il dolore. Non sente alcun obbligo di usare il suo "dono" per aiutare il prossimo e ne ha avuto un sacco di problemi da ragazzo.
Mi pare credibile. Sono pienamente convinto che una capacità psichica del genere se esistesse davvero (con la potenza che vediamo nel film) non sarebbe molto benvenuta, e potrebbe rovinare la vita di una persona, pur pagando i conti della spesa.

Ma purtroppo la cosa non viene sviluppata abbastanza, e sebbene il personaggio di George sia solitario e piuttosto triste, nonché un accanito lettore di Dickens, l'attore che lo interpreta è un po' troppo il "classico" giovanottone americano (sia come fisico che come atteggiamento) per essere valido come personaggio schivo che si rifugia nella lettura. Personalmente non ho trovato molto coinvolgente il film, e nonostante il tema stimolante lo colloco tra le occasioni mancate.

sabato 26 novembre 2011

Il Treno di Moebius

Un altro esperimento di scrittura su web che ho letto in questo periodo, questo Il Treno di Moebius di Alessandro Girola è in effetti abbastanza breve: più un racconto lungo che un vero e proprio romanzo. La storia è semplice e va rapidamente al punto, portandoci in un viaggio inquietante assieme a una troupe televisiva impegnata, piuttosto stancamente, a indagare uno dei tanti misteri irrisolti della nostra Italia. Insomma, uno di quei programmi un po' sensazionalistici che hanno moderato successo in TV e generalmente fanno venire il latte alle ginocchia a chi vorrebbe una trattazione seria degli argomenti. Ma nel caso dei nostri protagonisti, in buona parte frustrati da precedenti carriere andate male o esperienze negative, c'è anche l'ambizione di fare tutto sommato un lavoro decente, un po' di giornalismo vero.
Qui non abbiamo una storia sciocca di allucinazioni o ciarlatanerie, però: ci troviamo di fronte a un fatto di una certa gravità (la scomparsa di un piccolo treno, tre persone incluse) in un passato recente ma già ingiallito dal tempo, con fonti non proprio autorevoli (un giornale scandalistico) che già avevano sollevato il problema in passato, ma senza seguito.
Il nostro gruppetto di protagonisti va a indagare sul posto con tanta buona volontà, scoprendo una storia sempre più bizzarra: la linea è stata abbandonata, addirittura un paese è rimasto deserto dopo lo spostamento della tratta ferroviaria, gli abitanti del posto sono piuttosto ostili. Tutto "quasi" tranquillo ma qualche segnale decisamente inquietante, e una sensazione piuttosto lovecraftiana instillata nel lettore.

Trama in parte ispirata a un film, in parte, mi par di capire, a un "vero" mistero di casa nostra, questo libro/racconto è disponibile gratuitamente (potete scaricarlo qui). Posso garantire che si fa leggere in un fiato, quindi consiglio di assaggiarlo se avete un attrezzo in grado di leggere il formato epub (io ce l'ho, anche se con qualche problema, perché come i miei affezionati lettori già sanno il mio ebook reader è una chiavica).

Detto questo, e volendo anticipare un bel po' di trama per gli improvvidi che non smettessero subito di leggere questo articolo per passare al racconto, mi è piaciuta la storia di questo gruppetto di persone, e tutto l'antefatto. Caratterizzazione quel tanto che ci vuole in un racconto di questo tipo, e fatta bene, per quanto abbia trovato ripetitivi i pensieri del capo, Maurizio, verso Martina, avvenente e volonterosa componente della squadra (squadra che si completa con un attore fallito che fa il Piero Angela della situazione, ovvero si fa riprendere dalla telecamera e spiega quello che c'è da spiegare non senza sfoggiare una certa buona volontà, e con un cameraman che vanta una passata esperienza militare).

Dalla storia mi aspettavo qualcosa di più, diciamo che viene costruita una buona suspense e poi viene un po' sprecata. I mostri, che a occhio direi tratti da qualche fonte medievale o rinascimentale, fanno la loro comparsa senza la dovuta presentazione.

Le scene in cui muoiono i membri del gruppo sono asciutte, nel senso che la morte arriva all'improvviso con un effetto che dovrebbe essere sconvolgente o straniante, ma che forse funzionerebbe meglio con il mezzo televisivo piuttosto che su carta. Anche qui ci sarebbe voluta qualche descrizione in più. Sul mondo misterioso scoperto e poi subito abbandonato, mi manca qualche appiglio, qualche approfondimento, che non è dato per scelta consapevole dell'autore (condivisibile o meno) nemmeno nel finale quando il protagonista chiede di sapere almeno cosa c'è dietro il mistero per cui è venuto a morire, e non viene accontentato.

Anche la scena in cui due uomini corrono in un tunnel di fronte a un avversario orrendo (avete presente una scolopendra? gigante, dico) sapendo che uno farà una fine atroce, con la logica che l'altro deve passare per "far sapere al mondo" cosa è successo, sarebbe stata da approfondire. Probabilmente non c'è alternativa, non c'è nemmeno un gran che di tempo per pensarci sopra... Ma anche se uno dei due è un ex militare si tratta comunque di correre incontro alla morte, non so se mi spiego.
Insomma abbiamo una storia dove poteva starci molto di più, raccontata con uno stile asciutto che funziona bene all'inizio, ma che avrebbe richiesto forse maggiore dettaglio andando avanti.

martedì 22 novembre 2011

Girlfriend From Hell

Cosa dire di questo ebook di "Germano M." ovvero nel nome d'arte HellGraeco? Innanzitutto che il formato mi ha un po' messo in difficoltà. Ormai ho capito che il mio lettore di ebook (quando alle prese col formato epub) con gli apostrofi e certi altri segni di interpunzione non va troppo d'accordo, mette un paio di spazi di distanza dalla lettera precedente, che ci vogliano o no. Non sono in grado di seguire link, e ce n'è parecchi: rimandi a note, traduzioni di frasi in inglese, immagini, citazioni. Il materiale mostra la sterminata conoscienza mitologica (moderna) e multimediale di HellGraeco, blogger assiduo e immenso.
Comunque va bene anche così o forse va meglio. Io considero un libro consistere nel contenuto. Ovvero nel pensiero espresso nel testo (non ce l'ho con quelli che dicono che senza la carta stanno male, ma per me un ebook va bene lo stesso). Quindi non posso che approvare le scelte del mio scassato lettore, mi interessano poco i rimandi anche se ovviamente non rinuncio alle sensazioni che citazioni alla musica o ammiccamenti cinematografici possono evocare. Pur non essendo amante della forma diaristica/blogghistica, devo dire che si adatta abbastanza bene a questa narrazione, un'avventura apocalittica in cui l'autore si ritrova a essere testimone (privilegiato, inizialmente) di un'epidemia. A creare il disastro è un prione che si diffonde nell'ambiente e nel cibo, e con il contatto tra le persone. L'effetto è un po' quello che si vede nei film di zombie, o in 28 Giorni Dopo: le persone si trasformano in rabbiosi cannibali, insidiosi e pericolosissimi. Il protagonista si rifugia in una zona protetta grazie all'interessamento dell'attrice Zooey (ossessione personale che l'autore trasporta anche in quest'opera) cui ha salvato la vita in quel dell'Inghilterra, e segue passo dopo passo il disgregamento della società, tra zone di coprifuoco, tentativi di contenere i focolai di infezione con le buone o con le cattive, disordini e sciacallaggio. Le informazioni arrivano più dalla rete per mezzo di smartphone e computer portatili che dalla televisione. La rete, almeno in parte, resta in piedi anche quando buona parte del mondo cade nel caos, tra governi che si fortificano in qualche ridotta, ordine civile che collassa e un generale si salvi chi può. Credibile, non credibile? Non saprei, per me in uno stadio iniziale potrebbe anche essere, dopo un po' decisamente no, non credo che senza alcuna manutenzione la rete elettrica andrebbe avanti più di tanto.

All'ultimo stadio, diventa tutti contro tutti: e chi può farcela pensa per sé ed eventualmente per poche persone care di cui riesce a occuparsi; la sola speranza di salvezza sta nel cercare rifugio in posti fuori mano e poco frequentati, nel cercare fonti di alimentazione non contaminate, nell'evitare il contatto con il prossimo, perché anche chi è rimasto sano diventa una minaccia mortale, in una situazione disperata dove si vive dei resti di un mondo ordinato e industriale che non esiste più, consumando risorse che si ha ben poca speranza di vedere reintegrate.

Tematiche a me abbastanza conosciute anche se non sono "specializzato" nel genere; penso di poter dire che la storia è abbastanza credibile, anche nel presentare una società che va in malora a poco a poco e non una notte "dei morti viventi" che improvvisamente travolge tutto. Magari è una mia deformazione professionale, ma penso che ci sarebbe da soffermarsi un po' di più sull'economia che va irrimediabilmente in malora, sarebbe divertente riflettere su quanto durerebbe il trading in borsa, o sulle parole degli economisti capaci di preoccuparsi del Prodotto Interno Lordo mentre gli infetti azzannano la polizia per le strade.
Molto pensare ma non molta vera introspezione, però il passaggio del protagonista da persona civilizzata a guardingo sopravvissuto pronto a tutto per salvaguardare la vita e gli scarsi beni c'è, ed è realistico. Finale aperto.

Con tutte le mie riserve verso la forma ibrida di questo lavoro, e senza alcuna smanceria verso l'autore, Girlfriend from Hell mi è piaciuto molto più di tante opere prime cartacee del fantastico italiano, sia detto senza voler male a nessuno (be', magari a qualcuno sì...). Potete scaricare questo libro qui.

sabato 19 novembre 2011

Melancholia

Il regista

Non è che i film girati da registi d'avanguardia o dalla particolare visione artistica siano brutti per forza, ma con Melancholia di Lars von Trier si tocca un livello bassissimo, una massa compatta di noia, con addirittura una scena di matrimonio (noiosa già per definizione) che dura metà del film. Il regista s'è ridotto a dichiarare di essere un ammiratore di Hitler tanto per attirare un po' di attenzione all'ultimo Festival di Cannes, ma non credo che Hitler avrebbe gradito.
Qui anticiperò liberamente la trama, perché tanto non vale niente.
La prima parte era meglio saltarla a pié pari. Dramma borghese pari pari a quelli di quarant'anni fa, da cineforum con dibattito alla fine: con false smancerie e buone maniere, discorsi di soldi e ipocrisie, tiratacce fuori luogo contro la falsità di tutto questo (messe in bocca a Charlotte Rampling nella parte della madre bisbetica). La solita parabola sui sentimenti falsi, sul materialismo e sulla falsa felicità di cui nessuno ha bisogno perché son cose che sanno tutti, senza bisogno di essere ricchi come i personaggi del film, e senza alcun bisogno di registi intellettualoidi a ricordarlo con scene scontate o insensate (la sposa a un certo punto sbrocca, lascia lo sposo ad aspettarla in mutande e va a fare diverse fesserie, tra cui consumare un rapporto con un altro tizio, mandare a quel paese l'imprenditore per cui lavora, ecc...).

L'appartenenza di Melancholia al fantastico si giustifica, almeno in teoria, nella seconda parte: inizia infatti la storia di questo pianeta malefico che si dirige verso la terra. Quando la noia ha raggiunto lo spasimo, fine del matrimonio; lo scenario, i personaggi e gli attori restano gli stessi ma adesso si parla di Melancholia, che sta per passare vicinissimo alla Terra. Sembra che non debba succedere niente, ma è chiaro che succederà tutto. Parabola: la vita in questo atomo oscuro del male è cattiva (come esposto nella prima parte del film) e merita di crepare (vedere seconda parte). Se c'è qualche altro significato, magari un po' più sensato di questo, non l'ho percepito. Ma perché il buon regista ha deciso anche che la telecamera dovesse essere fastidiosamente instabile e non stare mai ferma? Non lo so, pare sia nel suo stile, magari sono io che non capisco l'arte.
Ad ogni modo, nella possibilità della catastrofe imminente le due sorelle (la sposa Justine, interpretata da Kirsten Dunst, e la sorella Claire, ovvero Charlotte Gainsbourg) cominciano a comportarsi in maniera opposta: la razionale Claire diventa impaurita e disperata, la depressa e irrazionale Justine affronta la catastrofe con rassegnata calma. Il marito di Claire cerca di raccontare bugie pietose, ma dopo un primo passaggio in cui la Terra rimane incolume, Melancholia ha un apparente allontanamento che dura poco: torna indietro per l'effetto fionda gravitazionale, ed è la fine di tutto, anche di un film talmente brutto e pretenzioso da farmi rimpiangere quelli con Nicolas Cage.

mercoledì 16 novembre 2011

Tempi duri per gli autori di genere

Tempi duri. E anche uno che "ce l'aveva fatta" (a uscire bene, ovvero con Mondadori) finisce la sua trilogia pubblicato esclusivamente in ebook (nonostante le proteste di alcuni lettori). Che è un declassamento, non giriamoci intorno: qui non funziona come in quei paesi dove il digitale ha già sfondato, da noi gli ebook vanno ancora poco.
Ma almeno non rischiano di finire al macero, ed è ciò che preoccupa gli editori.
Sto parlando di G.L. D'Andrea con la sua serie Wunderkind (arrivata al terzo episodio; io avevo letto solo il primo).
Per saperne di più, linko il post sul blog di Loredana Lipperini. Tra i commenti, quello di Sandrone Dazieri (editor che ha lanciato anche la Troisi): "Wunderkind è stato il mio fallimento." Abbastanza inequivocabile, direi. C'è poco da commentare, l'ammissione è abbastanza esplicita (si parla di poche vendite, fin dal primo libro); soprattutto l'evento è tale da farmi pensare che, anche per via della crisi, il fantastico scritto in italiano avrà poco spazio con le grandi case editrici, almeno nel prossimo futuro.

domenica 13 novembre 2011

Il Burattinaio

Partiva tutto dall'esordio dell'Acchiapparatti, pubblicato da Baldini e Castoldi Dalai (io avevo letto la primissima versione edita da Campanila, titolata L'Acchiapparatti di Tilos). Ora è arrivato il Burattinaio, sempre per il medesimo editore, a confermare Francesco Barbi.
Quello che speravo dopo la lettura del primo libro era di vedere l'autore alle prese con una storia dal sapore più epico, e in parte sono stato accontentato. I toni da "Armata Brancaleone" si riducono anche se rimaniamo in un low fantasy particolarmente ruvido, tra sofferenze, malattie, sangue ed escrementi. Le storie dei poveracci e le loro peripezie continuano a occupare parecchie pagine, e secondo me troppe (ci sono delle parti un po' troppo... verghiane, come avevo osservato per Zeferina di Coltri) e c'è forse una moltiplicazione di personaggi che rende la storia un po' indigesta e a tratti lenta nel progredire. Anche qui, come spesso dico per i libri voluminosi, probabilmente si poteva far tutto con un buon centinaio di pagine in meno.
La trama quindi si sviluppa lentamente, poi finalmente cattura l'interesse. Le premesse vengono rispettate e piano piano si prepara un finale spettacolare.

Da una parte abbiamo un "culto della Luce" decisamente ossessivo e oppressivo, intento a indagare su una profezia che coinvolge i fatti e i personaggi che abbiamo conosciuto con l'Acchiapparatti. Dall'altra il cacciatore di taglie del primo libro, Gamara, intento in una vendetta personale. La famiglia allargata dell'Acchiapparatti Zaccaria rimane in mezzo a tutte queste peripezie, e c'è un personaggio... senza corpo ma molto presente, Ar-Gular, il mago che aveva creato il Boia di Giloc, l'orrendo mostro che aveva trovato la morte ed era finito in fondo a un fosso.
I Guardiani dell'Equilibrio, una specie di inquisizione non priva di capacità militari, inviano una nutrita pattuglia per indagare chi mette in pericolo la religione della Luce: la loro storia, tra successi e insuccessi, infamie perpetrate e perdite subite, per me è una parte piuttosto interessante del Burattinaio, nuova rispetto al precedente Barbi, e indispensabile comunque sia per lo svolgersi della vicenda che per la comprensione della posta in gioco.
Gamara, freddo, carismatico, una vera potenza militare nonostante il continuo martirio di ferite e torture, si rivela una forza del destino per conto proprio, sebbene la sua storia lo porti a essere una risorsa al servizio di quelli che, in definitiva, sono "i buoni."
Il povero Zaccaria questa volta soffrirà molto e non sarà protagonista. Molti personaggi già noti verranno scartati senza rimorso dall'autore e incontreranno una fine più o meno aspra. Nel finale tutti i fili si congiungono e abbiamo una resa dei conti spettacolare.

A mio parere qualche caduta di tono e un paio citazioni che, sempre a mio avviso, era meglio evitare (una riconosciuta dall'autore e un'altra, clamorosamente, no: lascio ai lettori il compito di cercarla), parte della confusione iniziale è invece colpa mia perché la storia e complessa e il lettore non deve essere pigro nell'affrontarla, se vuol capire tutto quello che c'è da capire. Il finale è piacevole, riporta le varie tessere del mosaico a posto e ripaga l'attesa. I personaggi sono rappresentati bene, e in generale c'è un'aria di originalità e creatività. Non grido al miracolo, ma Francesco Barbi si riconferma autore maturo e in grado di gestire una storia molto più complessa della precedente. Dal momento che il fantasy italiano per adulti non conta molti protagonisti, questa riconferma è decisamente positiva.

Invito anche a leggere la recensione su Fantasy Magazine scritta da Emanuele Manco che questa volta mi ha... battuto sul tempo.


giovedì 10 novembre 2011

Ma guarda come parli...

Non disprezzo i libri e i corsi di scrittura creativa, ma tra le regole che si sentono spesso ribadire ce ne sono alcune che, col tempo, ho cominciato a mettere decisamente in dubbio.
Per citarne una: mi sono sentito a volte rimproverare dai miei lettori che i miei personaggi "parlano tutti nello stesso modo" ovvero che bisognerebbe caratterizzarli con un linguaggio ben diverso.
Per me, questo porta spesso e volentieri a risultati ridicoli. Non sto dicendo che non si debba provarci, però è necessaria prudenza, cose tipo avere un tizio che dice sempre "perbacco!" fanno ridere. Nella realtà, qualcuno ha un vocabolario più limitato di altri, qualcuno ama dire certe frasi che diventano particolarmente sue, ma le differenze sono spesso e volentieri modeste.
Anche mettere modi di parlare diversi quando ci sono personaggi che provengono da estrazioni sociali differenti, andrebbe fatto con attenzione, questa grande disparità, nella vita quotidiana, non la si vede sempre.
Tra i miei colleghi di lavoro, tra i miei amici, le differenze spesso sono difficili da mettere su... carta. Intonazioni, sfumature. Bisogna cercare di coglierle, di riprodurle, senza sprecarci troppe parole in descrizioni. Il tono, l'espressione del volto con cui una cosa viene detta è importante, e spesso nello scrivere ce ne si dimentica.

Va detto anche che non è nemmeno scontato che si debba inseguire il realismo al cento per cento. Il modo in cui la gente parla veramente è brutto, pieno di errori, spesso sgradevole; posso capire che uno scrittore voglia usare uno stile che non punti a un realismo completo nel modo di parlare.



mercoledì 9 novembre 2011

Tempo di concorsi

Il Premio Stella Doppia di Urania e Fantascienza.com è una opportunità pazzesca per gli amanti della fantascienza. Pazzesca perché farsi pubblicare su Urania non è proprio cosa da tutti i giorni, per quanto ci siano delle polemiche a non finire sulla qualità della testata (che comunque c'è, esce da una vita ed è una delle pochissime iniziative di fantascienza e/o fantasy ad avere grande diffusione, e scusate se è poco...).

E' da un paio di settimane che cerco di farmi venire una buona idea, ma non arriva... si accettano suggerimenti.

domenica 6 novembre 2011

1984, il film

Mi fece un po' male, ammetto, sentire i commenti annoiati delle persone che uscivano dal cinema. Era il lontano 1984 ed ero andato a vedere questo film con molta curiosità, immaginando però che la reazione del grande pubblico sarebbe stata quella. Sto parlando della trasposizione cinematografica di 1984, il libro di George Orwell, operata da Michael Radford.
Va detto che il trailer del film giocava sporco, come spesso accade con questo tipo di produzioni che cercano un aggancio a tipi di pubblico cui dovrebbero rinunciare in partenza, Il trailer ovviamente non me lo ricordo, ma rammento che cercava di darsi un taglio da film d'azione. Cosa che non poteva essere perché si era giurata l'aderenza alla storia. La vedova di Orwell non voleva gli effetti speciali, e del resto nel mondo di 1984 non c'è molto più di qualche elicottero (e le "fortezze galleggianti," che però non entrano nella storia). Il regista voleva addirittura fare un film in bianco e nero, cosa che secondo me sarebbe stata un'esagerazione. Insomma, nonostante all'epoca io fossi appassionato della storia narrata da 1984, e volessi pensare che dovesse pur esistere un modo di "portare il messaggio al volgo," in effetti si tratta di un libro che non si presta bene a una trasposizione cinematografica.
A peggiorare le cose, il fatto che il regista si sforzasse di riportare tutti gli elementi della trama e del mondo immaginato da Orwell, creando un film assai poco "cinematografico" e facendo dei riferimenti che, per uno che non avesse letto il libro, sarebbero per forza risultati sibillini e incomprensibili.

[SPOILER! in questo paragrafo] Comunque va detto che il film non è poi male, fatte ovviamente le dovute premesse. Grigio, cupo e polveroso come una città sovietica nell'epoca staliniana, trasmette il senso di oppressione che dev'esserci, e il protagonista è decisamente azzeccato: John Hurt, che crea un perfetto Winston, triste, mingherlino e malaticcio. Nella parte di Julia Suzanna Hamilton, attrice britannica che in effetti ha avuto l'apice della sua carriera proprio con questo film. La fiamma ribelle del personaggio del libro, che risveglia i sensi e la voglia di reagire del demoralizzato Winston, a mio parere non è stata ben rappresentata da questa attrice: ci sarebbe voluta un'interprete che sapesse trasmettere il ribollire sotto l'aspetto conformista, e la Hamilton non ce l'ha fatta. Richard Burton, grande attore del tempo che fu (nonché alcolizzato a livelli suicidi e qui prossimo alla morte), interpretò assai bene O'Brien, il membro del partito intelligente ma cinico che tende la trappola ai due ribelli. Qualche abbozzo di "complicità omoerotica" tra Winston e O'Brien è stato aggiunto nel film, creando una delle poche licenze che si è concesso il regista; ma c'entra come i cavoli a merenda e se ne poteva fare a meno.

Ambienti e tecnologia sono vecchi, squallidi, e scassati quasi sempre, e comunque sempre pesantemente sovietici nello stile, creando un'atmosfera consonante con il mondo totalitario del libro. Il risultato finale è verboso e noioso, inevitabilmente. Se 1984 dovesse essere portato al cinema in una nuova versione, mi auguro che si trovi un regista disposto a osare, a staccarsi dalla trama originale per cercare di fare cinema ma senza tradire lo spirito della storia orwelliana... anche se per me questo resta il classico libro che non si presta a farne un film.



martedì 1 novembre 2011

1984, il libro

Una delle mie distopie preferite, decisamente, vuoi per la bella prosa con cui è scritto, vuoi perché Orwell è uno degli scrittori che amo di più, e 1984 è l'opera che volle completare a tutti i costi prima di morire di tubercolosi.

Due parole sull'autore: Orwell, vero nome Eric Arthur Blair, ha vissuto la vita dell'attivista squattrinato, stentando ad affermarsi sia come giornalista che come scrittore; passò qualche tempo nell'amministrazione coloniale inglese, visse poveramente a Parigi, e si recò in Spagna ai tempi della guerra civile per combattere a favore dei Repubblicani tra il 1936 e il '37. Nella complessa situazione della guerra civile, dove i comunisti erano i soli ad avere la forza di reggere la coalizione democratica perché ricevevano aiuti militari (dall'URSS), Orwell si ritrovò nelle file di un movimento minore che assunse presto un ruolo scomodo. Si trattava del POUM, movimento marxista e anarco-sindacalista della Catalogna. Per la troppo vivace foga rivoluzionaria il POUM si ritrovò nei guai paradossalmente proprio con i comunisti, che subivano diverse pressioni per non esagerare con le riforme: gli alleati moderati erano allarmati dallo stato dell'economia, gli stati democratici (Francia e Gran Bretagna) anziché intervenire supportavano poco o niente la repubblica, non sapendo cosa fosse peggio per i loro interessi tra i comunisti e le milizie filofasciste di Franco, e spingeva sul freno perfino il buon vecchio Stalin, che non voleva far precipitare le cose: appoggiava i Repubblicani per non dare un regalo a Hitler e Mussolini, ma non voleva in Spagna un governo spagnolo a egemonia comunista, che avrebbe creato contrasti a livello politico e internazionale in un momento in cui Stalin non desiderava guerre.


Quando il POUM venne fatto fuori a tradimento, in uno scontro fratricida con sparatorie, incarcerazioni, persone torturate a morte ecc... Orwell aprì gli occhi sul comunismo di marca sovietica e sui rischi del totalitarismo, e se queste esperienze sono molto ben espresse in Omaggio alla Catalogna, certamente hanno influito sulle convinzioni da lui espresse in altri libri come La Fattoria degli Animali e lo stesso 1984. Orwell tornò in Inghilterra dopo essersi preso una brutta ferita sul fronte; si rirprese ma la sua salute era instabile, e sopravvisse pochissimi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: 1984 è praticamente il suo testamento.

La trama di 1984 (che immagino sia nota a tutti, ma se lo considerate uno "spoiler" allora c'è da saltare questo paragrafo) ci porta in un mondo dominato da tre totalitarismi diversi soltanto per il nome e in perenne guerra fra loro: il protagonista Winston Smith vive in Oceania (che è uno di questi tre mega stati) e lavora per il "Ministero della Verità" ovvero confeziona bugie per il partito al potere (il Partito Socialista Inglese o INGSOC, che diventa SOCING nella traduzione italiana). Come tutti i membri del partito Winston è sorvegliato dalle telecamere (lo schermo gigante che gli spara propaganda in casa e che allo stesso tempo lo riprende) ma tiene un diario dove esprime i suoi pensieri di dissenso.
Winston conduce questa noiosa esistenza senza prospettive e da solo, dal momento che il suo matrimonio senza amore è presto naufragato.
Del resto c'è poco da ribellarsi. Il Grande Fratello (un leader che potrebbe anche essere ormai morto, e trasformato in simbolo) tiene in pugno il paese con un potente apparato repressivo. I "prolet" (proletari) sono mantenuti in uno stato di ignoranza bestiale, la psicopolizia (che tradurrei meglio in polizia del pensiero) vigila su ogni manifestazione di dissenso (ovvero lo psicoreato), e anche il modo di parlare è alterato attraverso una neolingua per rendere impossibile il dissenso.
Ma nonostante questo mondo di disperazione consolidata, Winston incontra una ragazza, Julia, con cui instaura una relazione. Si illude di poter capire qualcosa di più sul suo mondo e sul sistema di potere che controlla tutti, si illude di poter far parte di una resistenza, ma in realtà un membro della psicopolizia lo ha tenuto d'occhio. E' O'Brien, membro del partito interno, ovvero la ristretta cerchia dei veramente privilegiati. Provvederà a distruggere la personalità e il sentimento di Winston, e a rieducarlo.

Tematiche sorpassate? A dire il vero sono stato sempre del parere che il mondo si diriga in tutt'altra direzione e non verso il totalitarismo orwelliano, e ho visto che l'opinione è diventata diffusa (tra chi si fila i libri ovviamente) dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Forse, adesso che ci dirigiamo verso un futuro apparentemente meno democratico e assai più povero potremmo riscoprire le delize di questa distopia ma continuo ad avere i miei dubbi: il totalitarismo duro e militarista del libro è una faccenda costosa e come sistema per poter controllare la gente lo ritengo piuttosto sorpassato, e messo in crisi dalla tecnologia moderna in vari paesi, perciò sotto questo aspetto 1984 non lo ritengo profetico.
Invece un aspetto del mondo orwelliano che in parte si è verificato è quello delle telecamere di sorveglianza, per quanto il loro corrente uso di controllare i delinquenti non mi veda molto contrario. La degenerazione del linguaggio, l'uso furbo di certe parole per far passare le peggiori porcherie mi ha fatto anche ricordare la "neolingua" di Orwell, e certe facce che parlano di valori e virtù mentre fanno discorsi che coprono le peggiori porcherie di certi governi possono farci davvero pensare al bispensiero, ovvero alla possibilità di sostenere con gli altri e perfino con sé stessi opinioni contrastanti e in contraddizione (e di deformare la visione della realtà). Il condizionamento del mondo dei media, la povertà di linguaggio e di pensiero del cinema dove si fanno per lo più remake di storie famose, tante cose del mondo di oggi fanno pensare alla distopia orwelliana.
Anche il programma televisivo atroce che prende il nome dal Grande Fratello orwelliano ha molto a che vedere con il controllo del pensiero e della personalità, ma il gioco è praticamente scoperto, perché la gente oggi fa un gioco di consapevole complicità con quelli che la condizionano.
Di fatto l'influenza culturale di 1984 è stata immensa, che la "profezia" sia azzeccata o no.

Winston. Il protagonista e la sua disperazione sono quello che fa grande questo libro. L'odio di Winston per il Grande Fratello e la sua ostinata speranza di potersi opporre, la relazione con Julia che gli permette di uscire dalla repressione sessuale del mondo che lo circonda, la volontà di capire e combattere. Per quanto sia un protagonista tutt'altro che eroico, Winston è capace di coinvolgere profondamente il lettore. Con la scomparsa finale della sua personalità, la storia finisce.


Curiosità. Le mie consuete preoccupazioni sulla credibilità e il funzionamento dei meccanismi nei mondi immaginari mi hanno portato a chiedermi se sia veramente possibile andare a riesaminare tutta la produzione culturale (giornali, libri ecc...) per far sparire i riferimenti a una persona quando cade in disgrazia, che è uno dei lavori svolti da Winston al Ministero della Verità. Credo che sia impossibile in un mondo come il nostro, per quanto fin dai tempi degli antichi Romani la pratica sia esistita (damnatio memoriae).
Il mondo di 1984 perciò dovrebbe avere una produzione di libri, riviste, film ecc... relativamente limitata. La guerra vista come mezzo per distruggere il surplus industriale e mantenere "stabile" il mondo potrebbe sembrare un artificio meno realistico, perché una situazione di stallo ininterrotto tra stati moderni è piuttosto improbabile e non si è mai vista in una guerra "calda." Sarebbe bello poter sapere come Orwell avrebbe interpretato questo equilibrio dei blocchi se avesse visto nascere il mondo della guerra fredda e i suoi giochi di spie, frontiere fortificate stile "cortina di ferro," incidenti di confine ecc... uno scenario che era solo agli inizi quando lui morì

Non sono uno che fa la lista dei cento libri che dovete leggere assolutamente (o che portereste con voi sull'isola deserta) però1984, che per me è un libro di fantascienza a tutti gli effetti pur avendo ovviamente tutte le altre implicazione che abbiamo esaminato, è un classico che qualsiasi lettore dovrebbe conoscere.