lunedì 29 settembre 2008

Il Segreto dell'Alchimista

Una trama con aspetti di intrigo e mistero, sviluppati anche piuttosto bene, trama che supera una prova difficile, quella di descrivere un mondo fantastico comunicante con il nostro universo odierno: non è semplicissimo evitare risultati da mettersi le mani nei capelli ma l'autrice Antonia Romagnoli ci riesce, bisogna dare merito.
Il Segreto dell'Alchimista (edito da L'Età dell'Acquario) non è il suo primo libro fantasy, mi ero accorto dell'uscita, non molto tempo fa, dell'umoristico La Magica terra di Slupp, però non avevo provato alcun interesse, perché da solo potrei tranquillamente immaginare mille modi in cui è possibile, oggi come oggi, prendersi gioco del fantasy (vedasi ad esempio qui).
Di questo libro una cosa mi ha davvero spaventato: il prezzo. Ma è inutile lamentarsi, le scarse tirature del fantasy per adulti e le logiche dei costi di distribuzione ecc... rendono impossibile praticare condizioni più vantaggiose senza mandare la casa editrice in perdita. Recentemente su diversi siti, blog ecc... ho visto sviscerato l'argomento. Solo il fantasy per ragazzi può muoversi su numeri un po' più comodi, volendo, e quello scritto da stranieri. L'autore di fantasy italiano deve prendere la situazione così (e il lettore idem). Se non vi va bene, magari vi consolerà sapere che probabilmente gli appassionati di fantascienza sono messi anche peggio.

La protagonista del Segreto dell'Alchimista mi ha posto un grave interrogativo che non affronto per la prima volta, in verità. Sono io che non sopporto i personaggi femminili scritti da donne (ah, la mia amata Marion Z. Bradley!), o sono le scrittrici donne che hanno difficoltà a descrivere personaggi femminili? Questo perché Ester, la maga che terrà le fila della storia, fin dall'inizio mi ha ammazzato di noia, quando arriva al Palazzo Centrale, che è una specie di università, e diventa una docente nonostante sia giovane come i suoi allievi. E' una prima della classe, e questo è già grave, peggio ancora è gentile, modesta, sicuramente una bellissima donna visto che attira l'attenzione di tutti (e l'interesse sentimentale o carnale di parecchi personaggi del libro), è una maga di capacità eccezionali, ha altri segreti che non vi svelo qui... Insomma è la classica Mary Sue anche se ho evitato di passarla al test perché non volevo far esplodere il contatore.
Non molto più interessanti sono certi intermezzi da melodrammone rosa, che fanno all'inizio quasi passare in secondo piano una minaccia che si sta delineando contro il pacifico mondo di studenti e cavalieri dove Ester muove i suoi passi.
Non essendo riuscito a simpatizzare molto con i personaggi (con l'eccezione del vecchio mago mattacchione, Dert, e del Cane di Pietra che, essendo appunto un cane, porta una ventata di serietà e umile saggezza), per godermi il libro ho dovuto attendere fino a circa la metà, quando l'azione finalmente si svolge fitta e interessante.
Ma per non anticipare la trama, interrompiamo qui e passiamo al sistema magico descritto nel libro. La magia consente all'autrice di introdurre alcuni intermezzi comici o graziosi, ma è anche essenziale alla storia e, per il cattivo del libro, strumento per compiere gran carognate. E' una magia potentissima, eppure carente in alcune arti (ad esempio, non cura le malattie e le ferite), mi è venuto da chiedermi se non sbilanciasse un po' l'ambientazione, ma dev'esserselo chiesto giustamente anche l'autrice che introduce un concetto di "autolimitazione" comune a tutti i maghi, insomma un'inibizione morale ferrea che impedisce di strafare (il problema nella trama è proprio un mago che non obbedisce alla regola, ma il cattivo non è solo questo...). Insomma abbiamo un'ambientazione che tutto sommato funziona, anche nel rapporto con la nostra epoca "reale."
Cosa dire di questo libro? Ben curato, solo un paio di particolari che ho trovato anacronistici o poco logici, e gradevole come storia, nonostante il cattivo faccia un po' la figura del fesso per come si comporta verso la fine, a mio modesto parere. D'altra parte la nostra Ester doveva sconfiggerlo in qualche modo.
Poteva essere un libro migliore, a parte il mio personale tedio verso la perfezione della protagonista? Secondo me sì, e qui divento un po' ripetitivo nei miei giudizi: si poteva tranquillamente raccontare la storia con 150-200 pagine in meno.

sabato 27 settembre 2008

(Off topic) Il Partigiano Johnny


Questo libro ha la particolarità di esser stato pubblicato dopo la morte dell'autore, imponendo ai curatori un compromesso tra due stesure, e di portare al nostro giudizio un modo di scrivere che l'autore presumibilmente non riteneva presentabile ma che ha avuto successo, facendo del Partigiano Johnny l'opera più conosciuta di Beppe Fenoglio.
Lo stile in questione comprende l'utilizzo esteso della lingua inglese, che a quanto pare era la forma in cui Fenoglio pensava quello che scriveva, e la creazione di una quantità di neologismi abbastanza arditi, uso insolito e sperimentale di forme verbali ecc... L'uso dell'inglese quando non necessario a me (contrariamente alla maggior parte delle persone che lo considerano figo sempre e comunque) fa proprio pena, lo vedo roba da terzo mondo, da indigeni con la sveglia al collo; conoscendo il contesto in cui questo autore è cresciuto e si è formato riconosco le sue ragioni ma l'impressione negativa e un po' ridicola mi rimane; a volte invece ho trovato azzeccata la sua ricerca di parole e significati nuovi per quanto riguarda la nostra lingua.
Tra forma e concetti Fenoglio ha creato una storia estremamente espressiva, viva, senza retorica e tormentata. Un libro bello come lettura e anche una grande storia di guerra, un personaggio delineato in maniera efficace, nella sua formazione intellettuale, nella sua decisione irrevocabile di fare la scelta giusta, lo scontro con la realtà (particolarmente duro, poiché Johnny inizia la sua vita partigiana con i non proprio amati comunisti: I am in the wrong sector of the right side), la sopportazione di privazioni e fatiche inaudite, che diventano sempre più mordenti quando, andando avanti, le batoste subite da parte di tedeschi e fascisti fanno trascorrere un inverno di fame, freddo e morte ai partigiani.

Sia i comunisti che gli "azzurri" lo deludono, nonostante tutte le difficoltà Johnny brucia dalla voglia di combinare qualcosa e non sopporta la finzione di presidiare posizioni che in realtà non si possono difendere se il nemico decide di venirsele a riprendere.
Tiene duro, sopporta fino a primavera, decide di lottare fino alla fine, nonostante gli suggeriscano che forse ha già fatto più che abbastanza, perché si è impegnato a dir di no fino in fondo.
Consiglio di leggerlo perché è un bel libro al di là di condividerlo politicamente o meno, offre inoltre una finestra su un periodo storico e permette di dare uno sguardo all'Italia di una volta.

Due parole sul film di Guido Chiesa, con Stefano Dionisi nella parte di Johnny. Di solito il cinema italiano non ci prende proprio, ha troppo pochi soldi da spendere e soffre inoltre di una carenza cronica di attori minimamente capaci. Questa trasposizione del romanzo ci prende a metà. Parte un po' male, nella solita maniera troppo legnosa, ma se la cava nel rendere l'impressione della fatica e del pericolo della vita partigiana. Il protagonista non è malaccio, le scene di guerra sono rese con un realismo che mi è piaciuto, mostrando veri scontri a fuoco, avversari lontani ma già letali, proiettili che uccidono da grande distanza in un attimo, che costringono a buttarsi disperatamente al coperto, limitando la visuale dei combattenti a un masso o a un cespuglio a pochi centimetri dal loro naso. Magari le scene di battaglia sono realizzate così perché la produzione aveva quattro soldi, ma non sono venute male, a mio parere.

I guai vengono nei personaggi, che per essere caratterizzati avrebbero bisogno di maggiore spazio, che non c'è. E nel tentativo del regista di trasporre nella pellicola tutto un libro troppo lungo per questo genere di operazione. La mia opinione l'ho già data in un altro post (titolo: il film tratto dal libro). Passare dal testo alla pellicola impone sempre (o quasi) una reinterpretazione: raramente l'operazione riesce bene e i registi che hanno un rispetto religioso per il testo son quelli che fanno i lavori peggiori. Riportare un libro al gran completo su pellicola non si può, sono mezzi di espressione differenti e normalmente il libro dice molto di più (e se non può usare le immagini, ha il vantaggio di poter descrivere tanti avvenimenti e tanti concetti). Quello che il regista avrebbe dovuto fare sarebbe stato sacrificare la complessità della storia e salvarne il senso. Invece abbiamo un film troppo lungo, con scene di scontro ripetitive, troppi personaggi che non è possibile raccontare come si deve e che quindi diventano inutili. Perdiamo invece il pensiero, i dubbi e le idee del partigiano Johnny, che passano in secondo piano.
Bella però l'ultima scena, tronca, come il finale del libro in cui la morte è "implicita."
Comunque, meglio il libro.

martedì 23 settembre 2008

Come scrivere un romanzo fantasy di successo


Non sono riuscito a capire chi è l'autore di questo piccolo pezzo di satira che gira per la rete, ma poiché è troppo divertente ne abbozzo una traduzione (frettolosa, volutamente abbreviata e senz'altro piena di errori) in italiano. Ok, rischio di violare un principio sacrosanto: il copyright di chi ha scritto queste righe o, per lo meno, il riconoscimento e i ringraziamenti. Mea culpa.




Come scrivere un romanzo fantasy di successo

1. Create un protagonista.
La maggior parte dei vostri lettori saranno maschi privi di fiducia in se stessi. Perciò il protagonista dev'essere uno Sfigato. Senza scopo nella vita, timido, vigliacco, oppresso da sensi di colpa, malato, pigro, ignorante - va bene tutto.

2. Inventate una Cerca.
Improvvisamente lo Sfigato viene a sapere che il fato del mondo (o di qualche altro mondo lontano) è nelle sue poco capaci mani. Per salvare il mondo deve compiere un'impresa, sconfiggere un nemico, imparare qualche segreto misterioso.

3. Create un'Accozzaglia di Compagni di viaggio.
Lo Sfigato deve avere una Compagnia proveniente dalle specie più diverse (nani, elfi, tamarri, ecc...). Ciascuno dei Compagni ha qualche abilità che risulterà fondamentale prima o poi nella storia.

4. Create una Guida, saggia ma inutile.
La Guida è un saggio consigliere che sa tutto della Cerca, ma non la rivela mai completamente. Sembra avere anche immensi poteri, ma quando servono non li adopera mai (vedi parte 7: tirala in lungo)

5. Create la Terra.
La prima sfida per la nostra Accozzaglia è compiere un interminabile viaggio attraverso paesaggi e climi dei più disparati. Tutte le terre fantasy hanno ogni tipo di clima possibile, e ogni caratteristica fisica immaginabile (montagne, paludi, foreste, deserti...) disseminate a caso nel territorio senza alcun riguardo per la verosimiglianza geografica ed ecologica.
(Nota: i mondi fantasy sono quadrati: hanno all'incirca la forma di due pagine aperte di un libro tascabile).

6. Create il nemico.
Ogni terra Fantasy ha un Oscuro Nemico, un Cattivo quasi onnipotente che cerca di annientarla, anche se non sempre è chiaro che beneficio ne abbia facendolo.
Questo Cattivo ha a disposizione numerose armate che non hanno bisogno di cibo, paga o altro supporto logistico e possono viaggiare per distanze infinite e assalire gli avversari senza difficoltà. Eppure il potere Nemico dipende completamente da qualche oggetto insignificante, come un anello o una roccia.

7. Tiratela in lungo.
La cosa più importante di un romanzo di epic fantasy è che il lettore al termine dev'essere esausto. Si deve sentire come se avesse dovuto attraversare molti ostacoli per arrivare a finire il libro, così come gli eroi hanno dovuto faticare per portare a compimento la Cerca. Perciò il libro dev'essere al più possibile difficile da leggere. Pertanto:
a. Raccontate la storia con ogni dettaglio possibile. Descrivete ciascun giorno del viaggio, quanta distanza hanno percorso, cos'hanno mangiato, dove hanno dormito, il clima: specialmente nei giorni in cui non succede nient'altro.
b. Ogni situazione drammatica dev'essere piena di lunga introspezione. Ad ogni momento critico lo Sfigato deve ripensare ai suoi sentimenti, alla sua identità, se ha lasciato il gas aperto, e così via.
c. Non risolvete mai una crisi nella maniera più facile. Ad esempio, se il Mago che fa da personaggio Guida ha grandi poteri, non li userà mai per risolvere una situazione. Ad esempio:
SBAGLIATO: Groll sollevò il suo randello per colpire. "Non vi preoccupate" disse Gordian: il venerabile mago sollevò la sua Sfera di cristallo e pronunciò le oscure parole "Astalavista." Ci fu un accecante lampo di luce e il Re dei Troll si sciolse in un mucchio di fanghiglia verdastra.
GIUSTO: Groll sollevò il suo randello per colpire. "Se usiamo la Sfera aumenteremo soltanto il potere del Nemico" disse il Mago Gordian. Il randello colpì, e Gimlet il Nano cadde con la testa spaccata.

Se il Mago avesse veramente usato il suo potere, non avrebbe avuto bisogno dello Sfigato per salvare la Compagnia, e il libro finirebbe in un centinaio di pagine. Pertanto, sebbene i Maghi possano evocare spiriti e resuscitare morti, dovranno arrangiarsi come meglio possono per sconfiggere anche il più stupido dei Troll.

8. Saltate le parti difficili.
Nonostante la necessità di scrivere un libro più lungo possibile, ci sono alcune parti troppo difficili. Mentre un viaggio di mille miglia è lungo, ma facile da descrivere, le battaglie sono difficili perché richiedono conoscenza della strategia militare. Perciò se state descrivendo una battaglia ma diventa difficile, basterà che lo Sfigato subisca una ferita e perda i sensi. Ad esempio:
"Improvvisamente la sua testa scoppiò, e fu avvolto come da una nebbia mentre l'oscurità lo avvolgeva, eterea. La spada, ancora in movimento nell'aria, sembrava immobile, imprigionata nel tempo: il suono della battaglia sembrava all'improvviso provenire da molto lontano, mentre egli chiudeva gli occhi e sprofondava nella nuvola nera."
Ecco fatto! Subito dopo il nostro eroe si sveglia nella Sala di Guarigione su un giaciglio candido, e una Vergine Guerriera gli dice che la battaglia è finita ed essi hanno vinto! Così evitate molte pagine di complesse descrizioni militari.
Per altri punti difficili come l'attraversamento di montagne, vedi Caverne, più in basso.

9. Giungete ad una battaglia decisiva.
Sebbene dotato di poteri magici il Nemico, per qualche strana ragione, deve sempre sconfiggere i Buoni alla vecchia maniera, sul campo di battaglia. Per quanto potere il Cattivo abbia, finirà per galoppare alla carica sul campo di battaglia, mulinando una spada.

10. Fate morire quasi tutti.
Lo Sfigato deve raggiungere il suo obiettivo, scoprire la parola magica o quel che è sempre all'ultimo momento, quando tutto sembra perduto. Pertanto bisognerà che cada e si sloghi una caviglia, soffra una crisi d'identità, ecc... mentre cerca di avvicinarsi all'obiettivo. La maggior parte della raffazzonata Compagnia deve morire orribilmente, prima che lo Sfigato riesca finalmente a fare quello che gli compete. Così il lettore se la prenderà con il Nemico anche se è lo Sfigato ad essere lento o incompetente.

Altri punti chiave

I cattivi sacrificabili.
Sono indispensabili. Sono orchi, goblin, troll, draghi o qualsiasi altra creatura che ci piace massacrare a migliaia. Di solito sono scuri, pelosi, viscidi e sudati o comunque inaccettabili in un tradizionale ambiente borghese. Spesso sono anche deformi, seguendo l'antica credenza che un corpo brutto rifletta un'anima malvagia. Facciamo un'opera buona ricordando al lettore che chi è brutto e sfigurato è così perché è malvagio.
Nota: nelle terre Fantasy non esiste il concetto di riabilitazione. Tutti i servitori e i vassalli del Nemico devono essere sommariamente giustiziati, anche se hanno aiutato il Cattivo solo perché costretti con il terrore.

I vecchi veterani.
Tutte le storie fantasy devono avere un ordine di guerrieri di eccezionale capacità e lealtà, che si tramandano il ruolo di padre in figlio. Sono invariabilmente malconci, mutilati e pieni di cicatrici, ma anche se non vi sembra logico, più sono malconci e maggiore è la loro abilità di combattenti.

Pure Vergini Guerriere.
Gli Sfigati hanno paura della sessualità, perciò le donne nei romanzi fantasy sono così potenti e pure che al confronto Giovanna d'Arco è come Paris Hilton.
Sono forti, nobili d'animo e di nascita, leali, coraggiose, e di solito alla fine della storia muoiono. Cos'altro potreste fare di loro? Fanno troppa paura per sposarle, e nei romanzi fantasy nessuno ha mai rapporti sessuali.

Tipi fisici.
Gli smilzi sono sempre astuti e intelligenti, la gente robusta e grossa è invariabilmente cretina.

Nomi dei personaggi.
Per creare i nomi basta combinare sillabe senza senso finché non salta fuori qualcosa che assomiglia a un nome straniero. Sembrerà ancor più vero se è impronunciabile. Le Y, le H e gli apostrofi aggiungeranno un tocco esotico.
Perciò i vari "Dn’a’brht", "ynhazzmhn", "jbreheh’m" vanno benissimo. Potete anche mettere insieme a casaccio delle parole in inglese e usarle come nomi.

Tecnologia
i mondi fantasy hanno sempre delle inspiegabili mancanze tecnologiche. Sono retti da consigli di saggi venerabili, guardiani del sapere accumulato in millenni, eppure non riescono mai a inventare nulla che potrebbe servire contro troll e orchi, ad esempio una 44 Magnum.
Nota: i mondi fantasy non hanno mai economie che funzionino in modo sensato. Sono pochi quelli che lavorano, c'è poca agricoltura e non si sa bene da dove provenga il cibo.

Magia.
Quando i maghi si affrontano a lampi di energia che scagliano l'uno contro l'altro, il fuoco magico del buono è sempre azzurro, quello del cattivo è sempre rosso o verde.

Abitazioni.
Sono di tre tipi: Caverne, Capanne e Castelli.
Le Caverne sono il miglior alleato dello scrittore, sono ideali come nascondigli per armi, santuari dei saggi, tane dei mostri e così via. Richiedono poca descrizione e possono, unite insieme, formare un labirinto. Hanno sempre un pavimento piatto come nei film di Hollywood. Sono anche utili per superare ostacoli geografici intransitabili come montagne elevatissime ecc... basta che la Compagnia vada sottoterra, e quando ne emergerà sarà infallibilmente arrivata dall'altra parte, salvando anche allo scrittore tante pagine di descrizione complessa.

Le Capanne si trovano in luoghi remoti. Chiunque vi abiti è sempre semplice e buono.

I Castelli sono sempre "ricavati dalla roccia viva," quale che sia il significato della frase... le stanze nei castelli sono quasi completamente spoglie, con il minimo di arredi.

La Fortezza del Nemico.

Lo Sfigato deve penetrare prima o poi nella Fortezza del Nemico. Ma non è mai così difficile. Le sentinelle sono sbadate e lo Sfigato può sempre avvicinarsi senza essere visto.
Anche le Fortezze più difese avranno sempre un piccolo passaggio non sorvegliato, tipo una porticina per gettar fuori la spazzatura. Una volta dentro il castello del Nemico, c'è solo una manciata di persone che vanno in giro a casaccio. Lo Sfigato potrà penetrare nelle più recondite nicchie del potere Nemico senza essere fermato.
Nota: il difetto che porta il Nemico alla rovina è invariabilmente un'eccessiva fiducia nei propri mezzi.

E' tutto ciò di cui avete bisogno! Cominciate a scrivere il vostro romanzo fantasy oggi stesso!

sabato 20 settembre 2008

Citation not needed



Sempre contento di essere citato, linkato, ecc... ma quando ha senso è meglio. La frase "citata" non la stavo ripetendo, è mia. Se altri la pensano in maniera simile a me non posso farci niente, anzi direi meno male. E discutere (o non discutere, direi) su qualcosa basandosi su solide argomentazioni tipo: "è passata di moda" fa un po' ridere. Moda? Ma chi se la fila, la moda?
Fine del discorso, non è una polemica ma solo una necessaria precisazione. Se volete dare un occhiata a qualcuno che veramente ce l'ha con l'influenza orientale sul nostro immaginario, fatevi un giro qui. Ben altro blog, ben altra intensità di sentimento, una raffica di risposte entusiaste e ribelli. Cosa posso dire, sembra che il mio commento fuori moda prima ancora di uscire fosse già decisamente scavalcato!

mercoledì 17 settembre 2008

Wuxia, seconda parte

Francesca Angelinelli
(la prima parte la trovate qui)

WU-XIA Seconda parte


Il Jianghu
Jianghu è una parola comparsa durante il dinastia Ming ed usata descrivere il mondo del wu-xia. La parola originalmente si riferiva ai luoghi in cui gli eremiti vivevano, ma successivamente è venuta a indicare il mondo dei vagabondi e delle arti marziali. Si riferisce al mondo delle società segrete e dei banditi. Include tutti coloro che non avevano un residenza fissa e vivevano come in un mondo "sotterraneo" rispetto alla società tradizionale: i guerrieri, gli avventurieri, i monaci, i pirati, i ribelli, contadini e lavoratori disoccupati, venditori ambulanti, mendicanti, soldati dispersi ed altri esclusi della società. A questa gente, il Jianghu ha fornito un lignaggio sostitutivo, ha offerto loro l'assistenza e la protezione che non hanno ricevuto dalla società tradizionale.

Il Lulin
Il Lulin è il mondo della proscrizione. Il Lulin include i banditi, gli scassinatori, i pirati e altri criminali. Generalmente, i banditi ed i pirati si riunivano prima in piccoli gruppi che finivano per allargarsi nel tentativo di rinforzarsi per potersi opporre alle truppe di contadini o soldati dispersi che i signori reclutavano. Così, mentre aumentavano di numero, hanno dovuto sviluppare al loro interno gerarchie e regole, spesso ispirandosi in questo senso al mondo delle società segrete. Effettuavano giuramenti, creavano propri codici di leggi e sviluppavano una loro etica.
In tempi di relativa stabilità i banditi fornivano protezione ai contadini contro altri gruppi di predoni, dando vita a continue rivalità. Ciò conduceva ad un'escalation del conflitto e tale disordine avrebbe dovuto provocare spesso l'intervento del governo, ma spesso a chieder l'aiuto dei briganti erano proprio i funzionari incaricati di fermare le razzie, che, inoltre, trovavano nel Lulin una fonte da cui attingere mercenari per il loro esercito.
Una possibilità era che i contadini stessi si unissero contro i banditi e tali gruppi erano spesso simpatizzanti dei rivoluzionari anti-dinastici a causa di legami sotterranei tra i membri del villaggio e quelli delle società segrete. Così capitava che questi contadini alleatisi contro i banditi, divenivano in seguito banditi essi stessi per via del loro legame con le società segrete.
In tempi in cui le agitazioni contro il governo erano più frequenti, i banditi diventano veri e propri ribelli: conducono rivolte popolari contro i proprietari terrieri e requisiscono terreni da sfruttare in condivisione. Da ciò deriva la figura tipica del genere wuxia del bandito giusto e virtuoso che si è opposto al despota locale e ha protetto i debole.

Il Wulin
Il termine Wulin esiste soltanto nei romanzi ed è usato per descrivere il mondo delle arti marziali in generale, ovvero il mondo degli eroi wuxia creato da autori come Jin Yong e Gu Long o dai cineasti di Hong Kong. È un mondo in cui il guerriero dedica la sua vita a perfezionare le abilità marziali e combatte per la verità, la giustizia, ma anche per la fama e la ricchezza. Nella narrativa i membri del Wulin continuano l'eredità dei loro maestri, sono dediti a molte delle regole e sono guidati da un'elite di grandi guerrieri custodi di molti segreti.

Sette e società segrete
Diversi dai gruppi di banditi rurali del Lulin o dai guerrieri del Wulin, i membri delle società segrete appartengono soprattutto alle comunità urbane. Derivato dalle società del reciproco-beneficio, cioè ritrovi comunali in cui i membri di una comunità si riunivano per socializzare. Durante periodi di crisi fornivano sussidio finanziario aiuto, in altre circostanze offrivano anche protezione fisica di vita e della proprietà. Offrivano sicurezza e un senso della famiglia che i membri non avrebbero altrove. Il tutto regolato da codici di comportamento e da una disciplina rigida esercitata anche tramite riti e prove di iniziazione.
Le società segrete potrebbero essere classificate in due tipologie fondamentali: quelle influenzate dalla religione e quelli che erano di evidente natura politica. Le prime erano maggiormente diffuse nella Cina del Nord, in cui la maggior parte dei gruppi erano rami della Società del Loto Bianco. Le società segrete del Sud si sviluppano successivamente, soprattutto la dinastia Qing e in opposizione ad essa.
Tuttavia malgrado le differenze c'era un grande grado della sovrapposizione fra questi tipi di società segrete: l'organizzazione e gli obiettivi spesso convergevano, così come convergevano molte funzioni politiche con quelle di culto.
Le società segrete che facevano riferimento alla religione spesso si nascondevano sotto l'apparenza di semplici sette di monaci, così da sfuggir ealle persecuzioni del governo, visto che ai monaci Shaolin era stato concesso il privilegio di vendere e acquistare documenti come "ricompensa" per l'aiuto fornito in passato nelle lotte di confine. Così i monasteri divengono luoghi privilegiati di ritrovo dei ribelli e dei dissidenti politici che spesso si travestono da monaci per nascondere la loro identità.
È evidente che gli elementi religiosi hanno avuto un'influenza profonda sulle società segrete, influenzandole con l'ideologia di pace e uguaglianza che si scontrava con la società classista della Cina tradizionale. Inoltre, le società segrete hanno accolto favorevolmente le donne tra le loro fila, asserendo l'uguaglianza dei sessi e liberandole dal ruolo di madre/moglie che era imposto loro dalla tradizione. Nel loro sforzo proteggere gli interessi delle società hanno promosso il sussidio reciproco ed hanno insegnato ai membri le arti marziali, organizzando forze di difesa per villaggio contadini in modo che essi potessero resistere alle difficoltà e all'oppressione delle pesanti tasse imposte dai funzionari e dai proprietari corrotti. Sono stati fautori di una riforma morale e sociale, offrendo un posto tra le loro fila anche a tutti coloro che erano esclusi dalle classiche cariche dei funzionari imperiali, offrendo un percorso alternativo per migliorare le condizioni di vita. Da un punto di vista politico, le società segrete hanno funzionato in un modo simile alle casate dei clan gentilizi cercando di influenzare gli enti pubblici territoriali ed infiltrandosi tra le file dell'amministrazione locale (ehi, come ne La Foresta dei Pugnali Volanti!). Le milizie che venivano organizzate per sopprimere queste società infatti erano guidate solo nominalmente da generali appartenenti alla classi di governo, mentre l'addestramento e il mantenimento dell'ordine era affidato a sottoposti, i quali spesso erano membri delle società segrete che si chiedeva loro di eliminare. Durante i periodi di disordine, di invasione straniera e in cui il governo era più debole, le società segrete hanno istigato frequentemente le sommosse agricole ed si sono alleate con gruppi di banditi professionisti per sfidare l'ordine imperiale.

sabato 13 settembre 2008

Una occasione per gli anglofoni


Nonostante l'inglese lo legga, preferisco godermi anche i libri stranieri in italiano, se possibile. Per chi invece non ha problemi con la lingua, la casa editrice HarperCollins (si scrive proprio così, attaccato...) ha messo a disposizione gratuitamente in formato e-book il libro Neverwhere (Nessundove) di Neil Gaiman.
Scatenatevi a questo link...

giovedì 11 settembre 2008

Dall'Oriente: storie di guerrieri e cavalieri


Francesca Angelinelli

Sul valore reale e concreto dell'influenza culturale che viene dall'oriente sono sempre stato molto scettico, per usare un eufemismo. Sarà sempre un mistero per me il declino del fumetto occidentale presso le giovani generazioni, che hanno preferito i manga giapponesi, generalmente insulsi e disegnati male (le eccezioni ci sono di sicuro, ma non sollevano la media), con il tratto caratteristico di un infantilismo che trovo fastidioso.
E se siete tra quelli che si domandano perché mai abbiano dato quattro Oscar a un film come La Tigre e il Dragone, sappiate che mi pongo la stessa domanda.
D'altra parte nel cinema giapponese e coreano sta sicuramente ribollendo una speranza di novità, e mi sono trovato a seguirlo con interesse, dato anche il prevalere nel cinema americano di favole insulse infarcite con effetti speciali, e la consueta scarsa consistenza del cinema europeo (quasi sempre incapace di cogliere la formula per fare un bel film, quasi sempre perso in intellettualismi barocchi o in budget con cui non si va da nessuna parte).
Ho pertanto deciso di riavvicinarmi senza pregiudizio alla cultura orientale, con un particolare interesse (ovviamente) per il fantastico, e chiesto alla scrittrice Francesca Angelinelli, che di sicuro se ne intende (ha ambientato la sua opera in un oriente immaginario), di prepararmi alcuni articoli.
Pertanto le informazioni che seguono sono state scritte (o raccolte) da lei, ed è a lei che dovrete il vostro ringraziamento, se le troverete interessanti.



Una definizione di Wuxia e di Xia


È onesto nelle parole, efficace nell'azione, fedele nel mantenere le
promesse, impavido nell'offerta della sua propria vita per liberare i giusti
dalla schiavitù.

Sima Qian



La parola wuxia si compone di due caratteri: il primo carattere, wu, è usato per descrivere le cose che riguardano le arti marziali, la guerra, o i militari. Il secondo carattere, xia, si riferisce al tipo di protagonista trovato nei romanzo wuxia ed è inoltre un sinonimo per di cavaliere. Quindi, per romanzo wuxia si intende un tipo di narrazione riguardo i cavalieri esperti di arti marziali. Il modo più semplice descrivere questo genere a coloro che si avvicinano per la prima volta ad esso è definirlo come "storia cinese di spade e magia". La maggior parte delle persone conoscono il genere wuxia attraverso le pellicole quali A Chinese Ghost Story, Swordsman e Zu.

La parola xia nel relativo contesto narrativo descrive il protagonista di questo genere di storie, che include le definizioni di: eroe, spadaccino,avventuriero, soldato di fortuna, guerriero, cavaliere [errante].
Per alcuni rispetti, xia è tutte queste cose e tuttavia queste definizioni non sono completamente esatte. Il più delle volte le definizioni usate per il xia, sono cavaliere e cavaliere errante. Come per i cavalieri medievali europei, l'abilità nel combattimento è una delle caratteristiche principali, ma solo raramente i guerrieri xia sono soldati. Inoltre, diversamente dal cavaliere europeo che era esclusivamente un membro del aristocrazia, il xia può venire da qualsiasi ambito sociale.
Il xia era spesso un vagabondo in cerca d'avventura, ma l'ambizione e l'interesse personale non sono le sue motivazioni. Come la sua fantastica spada il guerriero xia risolve conflitti con l'uso della forza, ma le sue azioni sono temperate da un senso personale di giustizia e onore regolato da un'ideologia e un codice di comportamento.
Egli è una forza del bene, come espresso da Sima Qian. Il guerriero xia tradizionale dei romanzi è un anticonformista che combatte per la giustizia. Il suo senso dell'onore si spinge all'estremo, la sua parola è inviolabile e la sua reputazione è più importante della vita in se.
Inoltre, è padrone delle arti marziali che non esita ad usare nella difesa della sua credenza. Questo tipo di xia è la versione idealizzata del guerriero eroico che incontriamo nei romanzi moderni ed nei film. Meno romantica è la descrizione del guerriero xia disegnata dalla storia e dal romanzo tradizionale. Questo xia è uno spadaccino, ma più dogmatico che altruistico.
È un campione della propria causa (qualunque essa sia) per la quale impegna tutti suoi ideali, sia essa benevola o meno. Questa definizione considera la natura a volte dubbia delle azioni realizzate dal xia. Seguendo queste linee, in Once Upon a Time in China vediamo che gli spadaccini aderiscono ai principii di lealtà, di reciprocità e del dovere sono xia, ma non c'è nessuna distinzione tra quei guerrieri che combattono per un ideale altruistico e quelli le cui motivazioni sono di merito discutibile.


Il sistema di valori Xia


Apprezza il dichiarare, l'amicizia, il dovere, le promesse, la bontà, l'onore
e la rettitudine più della sua propria vita.

Liang Qichao



In The Chinese Knight-Errant, vengono elencati otto attributi comuni del guerriero: altruismo, giustizia, individualismo, lealtà, coraggio, veridicità, il rifiuto della ricchezza e del desiderio di gloria. Tranne l'individualismo, queste sono anche caratteristiche tipiche del junzi (signore) Confuciano che sono: ren (benevolenza), zhong (lealtà), yong (coraggio) e yi (rettitudine).
Quindi, per molti aspetti i valori dello xia sono soltanto un'estensione dei valori cinesi tradizionali.

In realtà pochissimi uomini possono raggiungere così alti livelli di purezza, perfino tra i guerrieri e perfino tra colo che sono sostenuti da un forte ideale. Quindi non tutti questi valori vengono sempre rispettati e lo stesso senso di giustizia frequentemente è soggettivo, così la lealtà è spesso basata su un principio di reciprocità e un guerriero che non è stato trattato con il rispetto dovuto non ha alcun obbligo di servire il suo patrone con zelo, il coraggio dello xia è quello tipico degli uomini di spada, ma il suo amore per la verità spesso non coincide con l'onestà. Gli uomini di spada sono troppo spesso più impegnati a crearsi una reputazione che a seguire i principi dello xia. Altri però seguivano un'ideale del tutto opposto, considerando sbagliato il desiderio di gloria e valorizzando i principi del wude (le virtù marziali) che predicava l'umiltà, più che la gloria.

Ciò che realmente regolava la vita dei guerrieri xia era l'individualismo e la compiacenza ad usare la forza per realizzare i loro obiettivi. Così malgrado il fatto che la maggior parte della loro credenza fosse legata a valori abbastanza tradizionali, vennero visti come parte di un mondo sovversivo e sono stati spesso criticati anche per la disposizione della lealtà personale sopra lealtà della famiglia. Spesso, un giuramento che legava un guerriero ad uno sconosciuto era considerato più importante di un l'obbligo con i membri della famiglia. E ciò è stato visto come un oltraggio alla convenzione sociale, tanto da far considerare tale comportamento come un atto di ribellione. In molti casi però si trattava semplicemente di un concetto di egualitarismo, secondo cui gli individui erano superiori alle etichette arbitrarie dettate della condizione sociale, sconosciuto alla società cinese.

sabato 6 settembre 2008

Stardust


Un libro scritto volutamente nei toni del fantastico inglese prima dell'arrivo di Tolkien, e un autore di cui era ora che leggessi qualcosa. In effetti Neil Gaiman lo sento nominare in giro tantissimo, la curiosità si è fatta inarrestabile. Così ho colto l'occasione di leggere questo libro. Stardust è una favola per adulti, e qui non mi ha deluso perché la lettura è piacevole. Il giovanotto che cerca la stella caduta è il classico eroe di poca esperienza ma coraggioso e tutto sommato ingegnoso. Certamente, simpatico. Tra gli altri personaggi abbiamo gli aspiranti Signori di Stormhold (fratelli coinvolti in una dura rivalità), streghe in cerca della Stella caduta, che è stata catturata dal protagonista Tristran, e varie creature bizzarre: tutti insieme compongono una storia vivace narrata con un ritmo che sa prenderti.
Quanto all'ispirarsi ai vecchi scrittori, il risultato m'è sembrato così così. Non posso fare paragoni con Lord Dunsany o simili, ma mi è sembrato che Gaiman abbia preparato abilmente una buona pietanza con ingredienti un po' vecchi.
Il risultato è comunque un libro leggero e divertente, non un capolavoro ma un valido intrattenimento.
Solo un problema di credibilità: al mondo fatato si accede tramite il varco in un muro, presso un villaggio che si trova a una giornata di viaggio dalla Londra ottocentesca... si poteva fare qualcosa di più complicato, no? Che mi dite? O magari poteva anche usare un'uscita della Tangenziale?

venerdì 5 settembre 2008

In finale...

Beh, sarà una bella soddisfazione vada come vada. Il mio Magia e Sangue (per alcuni che mi hanno letto è un titolo osceno, ma a me piace tantissimo...) è arrivato alla selezione finale del Premio Odissea della Delos Books. Ovvero: sette libri tra cui verrà scelto a breve il vincitore.
Facciamo i finti sportivi e diciamo: vinca il migliore.

lunedì 1 settembre 2008

Le parole immaginarie


Scrivendo fantasy, qual è il migliore linguaggio da usare?
Il quesito me lo sono già posto su questo blog, e ne hanno parlato altri, qui e altrove. Per me una pulce nell'orecchio.
Parto dal chiarire che: il sottoscritto ha una sua precisa idea in merito, ma non ritiene che sul tema si possano lanciare dottrine sostenute da qualche Verbo assoluto. In altre parole, per quanto si possa fervidamente desiderare altrimenti, bisogna rassegnarsi al fatto che questo è uno dei tanti campi in cui la soggettività e il gusto personale dominano.

La verbosità aulica discende da certe atmosfere tolkieniane e soprattutto dalla tendenza a preferire l'uso di parole difficili: particolarmente diffusa (almeno qui in Italia) tra quelli che scrivono male ma s'illudono diversamente. Uso che non significa saper scrivere in toni aulici, peraltro, né saper scrivere tout court. Credo che sia uno stile da lasciare ai pochi che veramente lo sanno usare: e a mio parere spesso genera solo noia anche in quel caso. Ovviamente non intendo sparare a zero su questo modo di esprimersi, Tolkien è comunque Tolkien e ad ogni modo non è sempre pesantemente aulico, ma non nego che anch'io qualche brano del grande maestro lo trovo un po' stancante, tutto sommato.

Il linguaggio moderno mi sconcerta, quando viene usato per il fantasy. Si può giustificare dicendo che la storia viene da un mondo immaginario, mettiamo dal Magico Mondo di X, ed è stato necessario tradurla, quindi non facciamoci menate e usiamo la nostra lingua. Ma mi domando, al di là di quello che si può dire per sostenere la legittimità di una simile scelta, dove vada l'immedesimazione del lettore, soprattutto nel caso in cui il lettore subisca una doppia violenza, quella di uno stile colloquiale attuale unita agli anacronismi, quando il mondo oggetto della narrazione è il classico mondo simil-medievale o comunque arcaico. In molti autori recenti si trova questo uso di termini che presuppongono una conoscenza di concetti moderni. Cosa ci si guadagna a spezzare ogni sospensione d'incredulità con un linguaggio incompatibile con la materia narrata? Chiaramente, possono esistere difficoltà che forse giustificano l'uso di termini poco appropriati, ma in linea di massima, se non sto leggendo un urban fantasy alla Luk'janenko, ambientato in tempi moderni, gli anacronismi non li voglio, grazie. Lo stesso valga per i colloqui resi in toni gergali che potrei sentire pari pari per strada oggi in Italia.

La coerenza ad ogni costo con l'ambientazione può dare buoni risultati nel creare un'immersione in un mondo fantastico, purché non imponga un eccessivo sforzo al lettore per immedesimarsi in quest'ambientazione.
A mio parere l'autore dovrebbe sempre inventarsi la propria ambientazione anziché prendere il mondo di D&D e rimaneggiarlo un po', o imitare malamente Tolkien, o ispirarsi (addirittura) ai videogame. Farebbe meglio a lavorare un po' di più per dar forma a un proprio mondo immaginario, almeno fino al punto da muoversi senza troppa fatica all'interno della propria creazione. Così potrà evitare di fare errori banali e avrà, implicitamente, un ambiente che lo circonda e che aspetta solo di essere descritto, quando necessario.
Il problema è che non sempre è giusto e opportuno ingozzare il lettore con l'ambientazione. L'iceberg ci deve essere tutto, ma di solito il lettore deve vederne solo la punta: perciò l'uso di una terminologia e di un linguaggio adatti all'ambientazione resta un obiettivo a cui si deve tendere, ma con la capacità di farlo con leggerezza, e rinunciare alle esagerazioni. Pochi tratti potrebbero essere sufficienti a far capire che ci troviamo in un ambiente alieno. Per passare a un esempio di fantascienza anziché fantasy, pensate a come Frank Herbert ha caratterizzato i Fremen di Dune, facendo girare i loro ragionamenti e i loro concetti intorno all'acqua (bene inestimabile per quel popolo). Non è indispensabile inventare parecchi termini nuovi o esprimersi in maniera oscura... Anche se ci sono autori a cui piace farlo. Soprattutto bisogna dare il giusto spazio alla storia, all'idea da raccontare.

Centomila casi controversi sulla modernità delle parole e dei mondi.
C'è una gran quantità di termini moderni nel Nome del Vento di Rothfuss. Si tratta di un libro in cui il protagonista diventa allievo in un'accademia di magia, dove di conoscenze scientifiche ne girano, e parecchie. Certi concetti evoluti ci possono stare. Mi ha comunque lasciato perplesso, ma non mi ha rovinato il godimento del libro.

Cosa fare se si desidera usare termini gergali? Ce li si inventa? E in tal caso come li si traduce per il lettore, si mette una nota a pié pagina? Oppure si usa il dialetto del proprio paese o città, o magari i modi di dire dei propri amici? Il mio modesto suggerimento: dare l'impressione usando una parlata non perfettamente corretta, rinunciando ad ardite creazioni linguistiche o ad anacronismi che gridano vendetta al cielo.

Termini che richiamano il nostro mondo in maniera inevitabile e non hanno semplici sostituti pongono sempre un grosso problema. Per esempio, un suolo carsico in un mondo immaginario stona perché il Carso è un luogo ben definito della nostra Terra. Meglio cambiar parola e far diventare il nostro terreno arido, anche se non ha lo stesso significato? O ce ne freghiamo e lo facciamo rimanere carsico, perché stiamo scrivendo per i nostri lettori terrestri? Un dilemma simile che ho trovato in giro per la rete: i termini sadismo e masochismo derivano entrambi da nomi di persone. Se racconto di un mostro (collocato in un mondo fantastico) che gode del dolore altrui, e mi sfugge una definizione di sadico ci può stare? O al contrario il richiamo al Marchese de Sade fa cascare il fondale di cartapesta e distrugge l'ambientazione? E se è così, che sostituto adopero? L'unica è fare un lungo giro di parole. Così poi, per chiudere il cerchio, magari il lettore commenta: ma non poteva semplicemente usare la parola sadico?

Nel mio mai pubblicato capolavoro Magia e Sangue, un gentile lettore che ha fatto la cortesia di sorbirselo mi ha rimproverato l'uso della parola sbirro. E' una storia dove parecchia gente ce l'ha con gli sbirri, perciò mi sono preoccupato: ho sbagliato termine? Da una parte le verifiche mi hanno rassicurato: la parola sbirro è di origine medievale e quindi in un mondo medievaleggiante ci può stare (la mia ambientazione non è proprio così, però non ha tecnologia evoluta, almeno non apparentemente). Ma ho scoperto di aver sbagliato qualcosa, comunque: il significato dispregiativo della parola è piuttosto moderno, perciò anacronistico, se vogliamo. Cosa devo fare? Per adesso, la parola non l'ho cambiata. Magari un giorno lo farò.
Ci si potrebbe porre un'altra domanda: se ai lettori sembra anacronistica una parola che non lo è, chi ha ragione? O meglio, all'autore a cosa serve in tal caso avere ragione?

Se mi avete seguito in queste riflessioni e scoprite di avere le idee meno chiare di prima, vuol dire che potete concordare con me su una cosa: l'uso del linguaggio nel fantastico è un problema complesso, e secondo me non riducibile a quattro regolette facili da usare.